Il vero prezzo del raccolto: l’impatto ambientale di pesticidi e diserbanti

Sono veleni nascosti, molto utilizzati in agricoltura sui cui rischi effettivi ci sono ancora pareri discordanti. Una cosa però è sicura. Alcuni di loro potrebbero essere cancerogeni per l’uomo e rappresentano la principale causa di morte degli insetti impollinatori.
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Rubrica a cura di Sara Del Dot
2 Settembre 2019

Non li vediamo mai. Eppure ci sono, ovunque intorno a noi. Li respiriamo, li mangiamo, li assimiliamo consentendo loro di mettere a rischio noi e gli altri abitanti del Pianeta. In favore di un raccolto sano, bello e ricco. Erbicidi e pesticidi si trovano nell’aria e sul cibo che mangiamo. Permettono a frutta e verdura di crescere copiose e indisturbate uccidendo erbacce, funghi e parassiti. Ma il prezzo, a volte, è decisamente troppo alto. Sia in termini ambientali che della nostra salute. I cittadini ormai lo sanno e desiderano cambiare le cose. È infatti del 2017 la prima marcia “Stop pesticidi” per chiedere la riduzione e la rinuncia all’utilizzo pervasivo di queste sostanze nocive. Ma i pesticidi vengono ancora utilizzati moltissimo e il livello di rischio e decisamente sottostimato.

I pesticidi possono essere di vario genere. Ci sono quelli chiamati “fitosanitari”, utilizzati per proteggere o conservare le piante e garantirne una crescita positiva e ricca, e poi ci sono i biocidi, che come dice il nome nascono per debellare forme di vita non desiderate.

Secondo i dati ISTAT 2015 in Italia si usano oltre 130.000 tonnellate di prodotti fitosanitari ogni anno, mentre sui biocidi non ci sono informazioni certe.
In Italia la guida normativa per questi prodotti è il Pan, Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. Scaduto a febbraio 2016, andrebbe sottoposto ad aggiornamento per via delle sempre nuove evidenze scientifiche. Da pochi giorni è stata pubblicata la nuova bozza aperta alla consultazione pubblica fino al prossimo 15 ottobre.

Pesticidi nelle acque: rischi ancora poco chiari

Moltissimi fiumi e corsi d'acqua contengono pesticidi. Ogni due anni l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) pubblica un rapporto nazionale sui pesticidi nelle acque, in cui fornisce dati sui monitoraggi in merito alla presenza di queste sostanze nei bacini idrici. Nel rapporto 2018, che prende in considerazione il biennio 2015-2016, lo stesso Istituto ha ammesso che i monitoraggi effettuati non sono adeguati al soddisfacimento della ricerca perché non prendono in considerazione le miscele ma soltanto le sostanze analizzate singolarmente. Questa situazione ha insinuato la consapevolezza di una sotto-stima del rischio e del fatto che sarebbe necessario modificare le procedure di analisi e aggiornare i valori soglia, che al momento sono impostati per valutare il singolo principio attivo.
Secondo il rapporto Ispra, infatti, nel 2016 sono stati individuati pesticidi nel 67,0% dei punti delle acque superficiali e nel 33,5% di quelle sotterranee. E non è tutto. Perché in questa analisi sono le miscele a ricoprire un ruolo fondamentale.

“Sebbene i volumi totali dei pesticidi utilizzati ogni anno in Italia stiano diminuendo grazie a una serie di accorgimenti”, dichiara Simona Savini di Greenpeace, “continua ad aumentare la varietà di sostanze attive trovate nell’ambiente e la frequenza delle miscele, che consistono in veri e propri “cocktail di pesticidi”. Queste miscele consistono in concentrazioni di basse quantità di singoli principi attivi, di conseguenza analizzando il singolo elemento il valore appare molto basso. Ad esempio, nell’indagine Ispra in un singolo campione si sono trovate miscele in quantità variabile da 5 a 55 sostanze. Analizzarle singolarmente è inutile, perché non sono mai da sole. Bisognerebbe iniziare a prenderle in considerazione tutte insieme per capirne la reale portata.”

Un pericolo a lungo termine

Un altro problema dei pesticidi, poi, è anche la loro permanenza a lungo termine nell’ambiente. “A novembre abbiamo pubblicato un rapporto su alcuni campionamenti sulle acque superficiali che abbiamo effettuato in tutta Europa nell’ambito di una ricerca sugli allevamenti intensivi,” prosegue Simona. “In Italia, naturalmente i campionamenti li abbiamo fatti in pianura padana, dove abbiamo trovato anche diversi residui di origine agricola. Tra questi, c’erano anche nove pesticidi fuori legge ormai da anni in Unione Europea. E non necessariamente si trovavano lì perché continuavano a essere utilizzati illegalmente, ma perché accumulatisi nel corso del tempo. Una chiara prova del fatto che la persistenza di queste sostanze nell’ambiente può durare anche decenni.”

Glifosato: l’erbicida più usato al mondo

Il glifosato è forse la sostanza erbicida di cui hai maggiormente sentito parlare. Si tratta dell'erbicida più diffuso al mondo, utilizzato per anni anche da chi voleva soltanto togliere le erbacce dal giardino di casa sua. Infatti, si tratta di un diserbante non selettivo, ciò significa che uccide indiscriminatamente tutte le erbe infestanti con cui si trova ad avere a che fare. Oggi, in Italia non è più possibile utilizzare il glifosato vicino a scuole o parchi pubblici nei centri abitati. Questo perché nel 2015 lo IARC (Agenzia nazionale per la ricerca sul cancro) ha dichiarato questa sostanza “potenzialmente cancerogena” per le persone e, secondo il principio di precauzione, che imporrebbe di non fare uso di un prodotto se ci sono dubbi o sospetti che sia dannoso, l’Austria l’ha definitivamente vietato. Diversamente ha agito l’Ue, che ha rinnovato l’autorizzazione per 5 anni, ovvero fino al 2022, anche se proseguono le proteste e le lotte per far sì che venga dichiarato fuori legge.

Sono infatti milioni i cittadini europei che hanno partecipato nel 2017 alla campagna StopGlyphosate, in cui veniva richiesto il divieto di questa sostanza, anche attraverso il diniego al rinnovo dell’autorizzazione dell’azienda Bayer di produrre e mettere in commercio questo principio attivo, ma non solo. Nella campagna veniva richiesto di riformare i processi di autorizzazione del commercio di queste sostanze, rendendo più trasparenti, prudenti e solidi i processi di autorizzazione delle sostanze utilizzate in agricoltura, in particolare facendo effettuare gli studi e le analisi da enti terzi, e non solo dalle aziende stesse, che vengono così messe in posizione favorevole per complicare le verifiche indipendenti necessarie.

Pesticidi: il peggior nemico delle api

Gli insetti impollinatori sono legati a doppio filo con la nostra sicurezza alimentare. Dal momento che da loro dipende circa il 75% delle colture alimentari mondiali, è facile comprendere che la loro esistenza è strettamente connessa alla nostra. Tuttavia, questi animaletti non se la passano affatto bene, anzi. Sono in continuo declino. E la colpa è anche e soprattutto dei pesticidi.

In particolare, a essere sotto accusa sono alcuni pesticidi chiamati neonicotinoidi che presentano, appunto, un principio attivo simile a quello della nicotina. Queste sostanze agiscono sul sistema nervoso degli animali, confondendoli e impedendo loro di alimentarsi e di tornare all’alveare, spesso condannandoli a morte certa. Nel 2018 il Consiglio dell’Unione europea ha bandito in via definitiva tre di questi insetticidi neonicotinoidi, che sono: imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam. Ma non è sufficiente. “Anche qui è fondamentale sottolineare il modo in cui vengono effettuati i test e le analisi per stabilire quanto queste sostanze siano dannose prosegue Simona Savini. “Attualmente ci si basa sull’esposizione acuta e concentrata ad alta intensità. Quindi magari viene valutato che, anche se colpito dal pesticida, l’insetto riesce comunque a rimanere in vita e a volare. Ma dovrebbe essere presa in considerazione anche la tossicità cronica, l’esposizione prolungata a dosi inferiori e gli effetti a lungo termine, per capire esattamente il rischio in cui incorrono gli impollinatori se entrano a contatto con determinate sostanze.”

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Sono nata e cresciuta a Trento, a due passi dalle montagne. Tra mille altre cose, ho fatto lunghe passeggiate nel bosco altro…