In Nuova Zelanda si vuole vietare la vendita di sigarette ai nati dopo il 2004: idea efficace o rischiosa?

Si tratta ancora di una proposta, la più drastica all’interno del percorso tracciato dal governo che ha come ambizione quella di rendere la Nuova Zelanda il primo Paese smoke-free al mondo entro il 2025. Ma le domande che solleva sono diverse e ci si chiede se il rischio non sia quello di un aumento del contrabbando o della nascita di altre dipendenze.
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Giulia Dallagiovanna 22 Aprile 2021
* ultima modifica il 22/04/2021
Intervista al Prof. Pasquale Caponnetto Ricercatore e docente di Psicologia Clinica e Generale presso l’Università degli Studi di Catania e che da anni collabora con la Lega Italiana Antifumo (LIAF)

La Nuova Zelanda ha in mente un progetto molto ambizioso e, per certi versi, anche delicato: vuole diventare il primo Paese smoke-free al mondo entro il 2025. E pensa di arrivarci anche vietando la vendita di tabacco a partire da tutte le persone nate dopo il 2004. In altre parole, l'obiettivo è quello di non vedere più nemmeno un abitante che stringe tra le dita una sigaretta.

Diciamo subito che quello sarebbe l'atto finale di un percorso fatto anche di aumento del costo minimo dei pacchetti, riduzione degli esercizi commerciali dove è possibile acquistarle, innalzamento dell'età minima che consente di comprare il tabacco. Inoltre, siamo di fronte a una proposta che è ancora in fase di discussione e per la quale il governo presieduto da Jacinta Ardern ha chiesto direttamente ai cittadini cosa ne pensassero, attraverso un documento pubblicato sul sito del Ministero della Salute.

La questione infatti è complessa. Se da un lato il fine è evidente, ovvero quello di estirpare un'abitudine molto dannosa per la salute e che in Nuova Zelanda provoca 4.500 decessi ogni anno (in Italia sono almeno 93mila, come ricorda il Ministero della Salute). Dall'altro le domande che solleva una simile politica sanitaria sono tante: è corretto che un governo intervenga così tanto nella vita dei cittadini? Vietare è davvero una soluzione o può diventare controproducente? Tra i possibili rischi, ad esempio, c'è quello dell'aumento del contrabbando. Secondo il rapporto ITTP NEXUS in Europe and Beyond dell'Università Cattolica, il traffico illegale copre già il 10% di tutte le sigarette che vengono fumate in questo momento nel mondo.

"Un cambiamento così drastico, se avviene in modo repentino e improvviso, può anche far emergere nuovi problemi – ci ha spiegato il professor Pasquale Caponnetto, ricercatore e docente di Psicologia Clinica e Generale presso l’Università degli Studi di Catania e che da anni collabora con la Lega Italiana Antifumo (LIAF). – Oltre al possibile aumento del contrabbando, bisogna tenere in conto i comportamenti antisociali che una situazione del genere potrebbe scatenare. Ecco perché è importante accompagnare una simile iniziativa da un percorso massiccio di disintossicazione".

"Un cambiamento così repentino potrebbe far emergere comportamenti antisociali, oppure indurre a dirottare la propria dipendenza verso altre sostanze"

Come qualunque fumatore sa, il tabagismo passa presto dall'essere una cattiva abitudine, all'assumere le caratteristiche di una dipendenza vera e propria. E viene interrotta a causa di un cambiamento esterno e senza il coinvolgimento della volontà della persona, potrebbero esserci più perdite che guadagni. "In contraccolpo potrebbe anche essere quello di un incremento dei livelli di rabbia e di frustrazione – prosegue il professore. – Gli ex tabagisti potrebbero dirottare la propria dipendenza su altre sostanze e annullare quindi i possibili benefici di questo provvedimento".

Le cosiddette terapie d'urto insomma non sempre funzionano. "Pensiamo, ad esempio, alle immagini che sono state inserite sui pacchetti di sigarette per scoraggiare i fumatori. È aumentato l'acquisto di copripacchetti", ricorda Caponnetto.

L'approccio che fino a questo momento è sembrato essere il più efficace è quello di un percorso graduale, che passi attraverso piccoli traguardi e il progressivo abbandono della nicotina con l'aiuto temporaneo di sigaretta elettronica o di quella con tabacco riscaldato.

"In Italia abbiamo un Osservatorio contro il fumo e l'alcol dell'Istituto Superiore di Sanità che ha anche un numero verde, e poi tutti i centri antifumo dove lavorano specialisti in grado di programmare un percorso combinato, sia medico che psicologico. Questo approccio consente di trattare le persone in modo integrato e completo ed è anche quello che finora ha dato risultati migliori", conclude il professore.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.