L’innalzamento del Mediterraneo è tre volte superiore al previsto: quali sono le aree più a rischio inondazioni

La ricerca è stata condotta da alcuni studiosi italiani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ecco quali saranno le zone interessate dal fenomeno.
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Francesco Castagna 2 Gennaio 2024

Con l’acqua alla gola, così potrebbero ritrovarsi alcuni cittadini italiani in futuro, se non si prenderanno le giuste misure per scongiurare il rischio inondazioni.

Il Mar Mediterraneo infatti, per quanto affascinante e pieno di risorse che sia, non sta reagendo per niente bene all’aumento della temperatura globale che sta avvenendo nell’ultimo decennio. Lo spiega uno studio condotto da tre scienziati italiani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, uno dei centri di ricerca più accreditati a livello europeo nella comprensione dei fenomeni che riguardano questo grande bacino d’acqua.

Per Vecchio, Anzidei e Serpelloni, i cambiamenti climatici provocati dalle attività umane stanno accelerando la fusione di numerosi ghiacci presenti sul nostro pianeta, oltre a causare di conseguenza l’espansione termica degli oceani.

Lo studio 

Per il nostro mare starebbe accadendo lo stesso, solo che le previsioni sono di gran lunga diverse da come ce le aspettavamo e, purtroppo, sono peggiori. Il Mar Mediterraneo infatti si starebbe riscaldando tre volte più velocemente, con il rischio di far sparire numerose zone, abitate e non, dell’Italia.

Per Anzidei, come riporta in un articolo pubblicato sul sito dell’INGV, accrescimenti e depauperamenti delle calotte glaciali sono sempre avvenuti durante il ciclo vitale della Terra, il punto semmai è limitare il più possibile le emissioni di gas che alterano la temperatura globale, e capire come fare per prepararsi ad eventuali innalzamenti del mare: i cosiddetti piani di adattamento ai cambiamenti climatici. Queste strategie si basano sul ripensamento di alcuni sistemi cruciali per la vita di tutti i giorni, tra cui: un miglioramento della gestione delle risorse idriche, un ripensamento della pianificazione urbana, una più attenta cura degli ecosistemi costieri e delle politiche mirate a rendere resiliente al clima i sistemi agricoli attuali.

Il Mar Mediterraneo infatti è una delle zone più colpite dagli effetti dei cambiamenti cimatici. Affermazione per nulla campata per aria, dal momento che l’allarme è arrivato proprio dall’IPCC, che ha analizzato le misurazioni delle temperature estive, trovandole in forte aumento. Le conseguenze per la popolazione e per la fauna sono numerose, non c’è soltanto il rischio di salinizzazione delle falde acquifere costiere, che a dir la verità sarebbe uno dei meno gravi, ma la possibilità che città come Venezia possano venire sommerse si fa sempre più concreta. Temperature più alte portano poi ad habitat differenti, con conseguente proliferazione di specie invasive e riduzione della biodiversità.

Purtroppo però, come hanno segnalato gli autori dello studio, le proiezioni dell’IPCC sottostimerebbero il fenomeno, perché non prenderebbero in considerazione i movimenti tettonici e altri fattori locali. Così circa 38.500 km quadrati del Mar Mediterraneo sarebbero a serio rischio, su un’analisi che ha preso in considerazione circa 44 km quadrati di coste, di cui 163 pianure costiere principali distribuite in 15 Paesi.

Quali sono le aree a rischio 

I principali problemi legati al rischio di queste aree costiere derivano dalla mancanza di barriere naturali e dalla morfologia costiera in leggera pendenza. Per cui, erosione costiera, subsidenza del terreno e pressione antropica (la costruzione elevata di strutture in zone costiere) sono attualmente i “grandi nemici” dei litoranei mediterranei.

Sul podio, al primo posto, finisce l’Egitto con 12.879 chilometri quadrati, medaglia d’argento per l’Italia con 10.060 chilometri quadrati, seguita dalla Francia con 3.681 chilometri quadrati. Le zone che potrebbero subire i rischi più elevati sono quelle vicino ai fiumi di queste aree: il Nilo, il Po, e il Rodano “che stanno subendo alti tassi di subsidenza del terreno a causa di processi naturali (compattazione del suolo) e antropici (sfruttamento dei fluidi sotterranei)”, secondo lo studio.

Possibili soluzioni

Tutte le ricerche condotte sul tema portano alla luce un problema che, negli anni futuri, potrebbe diventare sempre maggiore: la mancanza di consapevolezza dei rischi da parte delle istituzioni e delle popolazioni che abitano nelle zone interessate. Per esempio, a Venezia, i ricercatori hanno espresso forti preoccupazioni sul fatto che le istituzioni non stiano prendendo adeguatamente in considerazione informazioni e dati scientifici aggiornati per il completamento del MoSE.

Sono necessari massicci programmi di intervento sulle popolazioni locali, come quelli messi in atto dalla Protezione Civile europea con i progetti SaveMedCoasts e SaveMedCoasts2. Due piani pensati per preparare le popolazioni costiere che si affacciano sul Mediterraneo ai rischi connessi all’aumento del livello marino.

Fonte| INGV;

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