La Cop26 volge al termine. Giovanni Mori (Fridays for Future): “La crisi climatica va più veloce di noi”

Abbiamo chiesto a un attivista come il movimento Fridays for Future giudica l’andamento dei negoziati di Glasgow: “Manca ancora la volontà politica di comunicare l’urgenza della crisi climatica”, ci ha detto.
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Gianluca Cedolin 12 Novembre 2021

Manca ormai pochissimo alla chiusura della Cop26, la conferenza Onu sui cambiamenti climatici. In attesa dell'accordo finale, abbiamo sentito Giovanni Mori, portavoce di Fridays for future Italia, ingegnere ambientale ed energetico, che sta seguendo i negoziati da Glasgow come attivista e li sta raccontando sulla pagina Destinazione Cop.

In queste due settimane sono stati presi diversi impegni, sullo stop alla deforestazione e ai finanziamenti fossili, sul graduale abbandono di carbone e metano, sulla transizione alle energie rinnovabili. Come li valuti?

Bisogna distinguere tra gli accordi laterali e i negoziati veri e propri. Questi ultimi riguardano gli obiettivi posti sei anni fa dagli accordi di Parigi, e stanno procedendo a rilento, soprattutto per il meccanismo della Nazioni Unite secondo cui bisogna essere tutti d'accordo per procedere. Per questo vengono stretti diversi accordi collaterali, per permettere alle trattative ufficiali di proseguire. Il problema è che la maggior parte sono molto informali, un po' casuali, quasi sempre non vincolanti. Questo non vuol dire che siano negativi; tutt'altro, però l'obiettivo di contenere l'aumento delle temperature entro 1,5 gradi resta ancora lontano.

Come giudichi quindi in generale i negoziati di Glasgow?

Il punto è che questa Cop26 non sta rispettando nemmeno le aspettative che lei stessa si era data. Non solo quelle di noi giovani attivisti, che sono poi quelle della scienza: lo ha detto l'Ipcc che bisogna limitare il più possibile l'aumento di temperatura. Parlando di numeri, Climate action tracker ha sottolineato che con questi impegni arriveremo a 2,4 gradi di aumento, e nella bozza di ieri notte gli accordi si sono allentati ulteriormente. Vedremo come andrà a finire.

Voi come attivisti pensate di aver fatto sentire abbastanza la vostra voce?

Abbiamo provato e stiamo provando a spingere il più possibile per avere un impatto, ma purtroppo c'è chi ha interessi totalmente opposti, che per ora viene ascoltato più di noi. La politica non capisce quanto rapidamente debba agire per salvaguardare la salute e la sicurezza dei propri cittadini. Stando qui ho vissuto l'enorme differenza di rumore tra dentro e fuori, in termini sia acustici che umani. Fuori le persone chiedono rapidamente un cambiamento, dentro si vive in una bolla, in una moquette gigante che attutisce quello che arriva da fuori. Non solo perché c'è effettivamente la moquette ovunque, ma perché ci si dà pacche sulle spalle per un piccolissimo passo in avanti. Qualcuno esulta perché finalmente non si mette più in dubbio la scienza quando parla della necessità di azzerare le emissioni: fino a poco tempo fa era in dubbio anche questo! Non possiamo esultare per il minimo sindacale.

Giovanni Mori, portavoce Fridays for Future Italia – foto di Pietro Verga

Fuori però la risposta della gente, dei giovani soprattutto, è stata straordinaria.

Addirittura maggiore rispetto alle aspettative. C'è stata forse la più grande manifestazione per il clima da prima della pandemia, gli organizzatori parlano di 250mila persone, la polizia di 130mila persone. È stata una cosa fortissima, considerando l'emergenza Covid-19, che siamo in Scozia, su un'isola, con dei prezzi folli e che pioveva pure. Nonostante tutto questo, c'erano centinaia di migliaia di persone in piazza a dimostrare che il movimento per il clima è vivo e trasversale, che la lotta alla crisi climatica è "il" tema che deve unire tutte le battaglie e le lotte per costruire un mondo migliore.

Durante le manifestazioni abbiamo sentito Fridays for Future e gli altri comitati giovanili ribadire le loro richieste: giustizia climatica, transizione ecologica. Quali sono le vostre proposte per raggiungerli?

C'è un piano, si chiama "Ritorno al futuro", in cui proponiamo sette soluzioni di partenza: lo abbiamo scritto insieme a 300 esperti di varie discipline lo scorso anno e lo abbiamo portato al governo, nonostante non dovrebbe essere il nostro ruolo quello di proporre soluzioni. Bisogna però far passare un messaggio positivo, raccontare come la transizione, se governata dalle istituzioni, porterà a vivere meglio. Risparmieremo soldi per l'energia, mangeremo meglio, respireremo un'aria migliore, lavoreremo meno e meglio. Dobbiamo far capire i benefici di un cambiamento del sistema.

In conclusione, come si possono migliorare vertici come le Conferenze sul clima per renderli più incisivi, per aumentare il loro impatto?

La risposta può sembrare banale, ma bisogna trattare l'emergenza come un'emergenza. Abbiamo visto con la pandemia cosa i governi e le persone sono disposti a fare di fronte a una minaccia mortale: siamo rimasti in casa e abbiamo seguito le regole di comportamento che media e istituzioni hanno ribadito di continuo. Ecco, queste cose andrebbero ripetute sulla crisi climatica: dovremmo parlare continuamente dello stop ai combustibili fossili, agli allevamenti intensivi, della riduzione delle emissioni, di un ripensamento del sistema dei trasporti.

Noi conosciamo tutte le soluzioni alla crisi climatica, quindi evidentemente manca la volontà politica di comunicare l'urgenza della crisi climatica. Basti pensare che ci sono Paesi come l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti contrari addirittura a inserire la parola "combustibili fossili" nella bozza di accordo della Cop26. In Europa fortunatamente siamo messi meglio, ma dobbiamo dimostrare di andare velocemente nella direzione giusta, cambiare il sistema, sviluppare una nuova economia più giusta e sostenibile. Le Cop sono essenziali, ma la soluzione arriverà quando i governi decideranno di agire. La crisi climatica va a una velocità maggiore rispetto a quella a cui stiamo andando noi. Ultimamente stiamo accelerando, ma non ancora abbastanza.