La grande “beffa” della plastica compostabile: il 60% non si decomporrebbe per davvero

Un’indagine dell’University College di Londra ha svelato che più della metà della plastica considerata compostabile e gettata nell’umido non si decomporrebbe ma resterebbe intatta finendo così negli inceneritori o nelle discariche, immodificabile per secoli. Non solo: moltissime etichette applicate sugli oggetti di questo materiale sarebbero fuorvianti, confuse e in grado di spingere i consumatori a uno smaltimento sbagliato.
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Kevin Ben Alì Zinati 7 Novembre 2022

Inquina, la plastica, e pure tanto. Ma questo ormai lo sappiamo, le prove non mancano e da tempo ci stiamo attrezzando – e dovremmo farlo sempre di più e meglio – per abbandonarla (pensa alla Sup e all’addio al monouso), sostituirla o riciclarla.

Vincere la sfida contro la plastica, però, spesso diventa come giocare a tennis con una benda sugli occhi. Specialmente se in mezzo ci metti dei difetti nei processi di decomposizione delle plastiche compostabili e un pacchetto di informazioni mancanti, confuse e sbagliate fornite a chi tenta di fare la cosa giusta.

Una sfida tennistica impari e autosabotata, in ogni caso, non rende ancora del tutto giustizia alla scoperta appena pubblicata sulla rivista Frontiers in Sustainability da un gruppo di ricercatori dell’University College di Londra.

Coinvolgendo un gran numero di cittadini del Regno Unito, gli scienziati hanno scoperto che il 60% della plastica compostabile che a casa separiamo e buttiamo non si decompone davvero ma finisce per sopravvivere intatta inquinando orti, giardini e ogni ambito dove viene inconsapevolmente riutilizzata.

Avvelenamento da plastica

Tra le sfide del nostro tempo, come sai, grande, grandissima è quella contro l’invasione della plastica. Un materiale che impiega secoli per decomporsi e la cui produzione è una delle maggiori fonti di gas inquinanti.

I numeri della plastica sono spaventosi. Un recente rapporto dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, per esempio, ha infatti mostrato che il consumo di plastica negli ultimi 30 anni sarebbe addirittura quadruplicato, mentre la percentuale di quanta ne viene riciclata starebbe andando ancora a rilento: oggi, infatti, saremmo bloccati ancora su un misero 9%.

Per di più, il nome “Great Pacific Garbage Patch” ti sarà familiare, vero? Si tratta di una vera isola di plastica che galleggia nelle acque tra la California e le Hawaii. Ed è enorme: pensa che ce ne sono almeno altre cinque al mondo e questa è la più grande di tutte, con delle dimensioni che sono due volte quelle dell’Italia.

Ma ormai sai bene che l’invasione è arrivata fino all’uomo, letteralmente. Minuscole particelle di plastica sono state ritrovate nel sangue, dentro i polmoni o nella placenta.

La dottoressa Maria Rosaria Marchili, poi, ci aveva anche raccontato che gran parte di queste microplastiche la assumiamo attraverso un gesto banale e apparentemente innocuo come bere da una bottiglietta, appunto, di plastica dove residui di questo materiale “eterno” resistono in quantità enormi.

La contro-risposta

Sappiamo quanto male possa fare la plastica e pre questo ci siamo attrezzati per contrastarla. La domanda di plastica compostabile in questi anni infatti è fortunatamente cresciuta. E cresce sempre di più.

Diversi paesi si stanno impegnando ad eliminare tutta la plastica monouso rendendo gli imballaggi in plastica riciclabili al 100%, riutilizzabili o compostabili entro il 2025.

Sì, ma cosa vuol dire compostabile? La plastica compostabile è un materiale a base biologica realizzato con elementi naturali (come ad esempio il mais) e in grado di decomporsi al 90% in meno di tre mesi quando inserito in un sistema di compost, senza lasciare residui visibili e dunque tossici.

Una volta decomposto, questo materiale viene riutilizzato per realizzare sacchetti per rifiuti organici, imballaggi per alimenti, piatti e posate, borse, tazze.

Ci sono, tuttavia, dei problemi.

La (brutta) scoperta

Lo studio messo punto dei ricercatori inglesi, tuttavia, ha messo in evidenza grossi limiti. Anzi, dei veri e propri problemi legati alle plastiche compostabili.

Coinvolgendo un ampissimo numero di volontari, i ricercatori dell’University College di Londra hanno messo a punto un grande esperimento di compostaggio domestico, chiedendo poi ai partecipanti di cercare eventuali tracce dei loro oggetti di plastica compostabili nei propri composter. I dati raccolti hanno coperto un periodo di 24 mesi.

E cosa hanno trovato? Le etichette applicate sugli oggetti di plastica compostabile e biodegradabile, prima di tutto, sarebbero per la maggior parte fuorvianti, confuse e in grado di spingere i consumatori a uno smaltimento sbagliato.

"Attualmente mancano etichette e comunicazioni chiare per garantire che il pubblico possa identificare ciò che è compostabile industrialmente o imballaggi compostabili per la casa e come smaltirli correttamente”, hanno spiegato.

Questo tipo di plastica attualmente sarebbe incompatibile con la maggior parte dei sistemi di gestione dei rifiuti e una volta buttate via, dunque, non verrebbe riutilizzata ma finirebbe negli inceneritori o nelle discariche, dove resterebbe intatti in attesa di una decomposizione lunga secoli all’insaputa dei consumatori.

Il risultato più scioccante, però, è stato un altro. E cioè che il 60% della plastica certificata come compostabile gettata in spazzatura non si era completamente disintegrata.

E quel composti, poi, i partecipanti hanno dichiarato di averlo utilizzato nei loro orti, che a quel punto erano inevitabilmente pieni di plastica non degradata.

Quindi? 

Dimostrando che il compostaggio domestico, sembrerebbe poco efficace, i ricercatori inglesi sono convinti che la soluzione migliore oggi resta comunque quella di inviare la plastica compostabile agli impianti di compostaggio industriale, dove le condizioni di compostaggio sono certamente più regolamentate e sicure.

Sono consci, tuttavia, che non può essere questa la strada maestra. Anche perché ognuno di noi vuole/deve/può contribuire in prima persona alla lotta contro l’inquinamento da plastica. “Nel complesso – hanno quindi concluso – è necessaria la revisione e il miglioramento della plastica compostabile domestica. L'idea che un materiale possa essere sostenibile è un malinteso diffuso. Solo un sistema efficiente di produzione, raccolta e rielaborazione di un materiale può essere sostenibile”.