L’epidemia di bostrico nelle aree colpite da Vaia? Non sottovalutiamo il legame con la crisi climatica

A poco più di tre anni di distanza dalla tempesta che ha abbattuto milioni di alberi nel Nord-Est, la presenza del bostrico, insetto che attacca in particolare gli abeti rossi, è cresciuta sensibilmente per via della grande quantità di legname a terra. Il danno, come ci spiega il professor Emanuele Lingua dell’Università di Padova, è più economico che ecosistemico: “La natura farà il suo corso, ma temperature più elevate e siccità potrebbero aggravare il problema”.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Federico Turrisi 16 Dicembre 2021

Anche gli abeti rossi di diverse aree del Veneto e del Trentino-Alto Adige sono alle prese in questi mesi con un'epidemia. No, il Covid-19 non c'entra nulla. Stiamo parlando del bostrico, un parassita che attacca soprattutto gli abeti rossi indeboliti e morenti. Questo insetto è normalmente presente nelle nostre foreste. Ma nell'ottobre del 2018 si verificò uno degli eventi meteorologici estremi più gravi degli ultimi anni: la tempesta Vaia, diventata il simbolo dei cambiamenti climatici in atto.

Il bostrico ha approfittato dei milioni di metri cubi di legname a terra per riprodursi in maniera esponenziale, arrivando ad attaccare anche gli alberi sani. Un fenomeno visibile anche da quelle chiazze rosse che si possono vedere in alcuni boschi di abete rosso del Nord-Est che sono stati colpiti dal passaggio di questo parassita. Ma quali danni sta provocando precisamente il bostrico e come si può arginarlo? Abbiamo provato a fare il punto con Emanuele Lingua, professore associato del Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali presso l'Università di Padova.

Il bostrico non rappresenta certo una novità. Era prevedibile che scoppiasse un'epidemia di questo tipo dopo il disastro provocato dalla tempesta Vaia?

Hai detto bene. Il bostrico tipografo (Ips typographus) non è un insetto nuovo: c'è sempre stato e sempre ci sarà all'interno dei boschi dove sono presenti degli abeti rossi. È una specie endemica dei popolamenti forestali, ma normalmente ha una densità di popolazione molto bassa. Per cui attacca solo gli alberi malati o morenti; e finché si parla di numeri ridotti, il bostrico non desta preoccupazione. Si passa a un livello di epidemia quando ci sono condizioni particolarmente favorevoli alla proliferazione di questo insetto. Quando infatti le piante sono indebolite (e quindi hanno meno barriere), l'insetto si sviluppa e si moltiplica più facilmente e a densità elevate può arrivare ad attaccare anche le piante sane.

Nel caso di Vaia, il bostrico è stato attirato dal materiale fresco atterrato – parliamo di milioni di metri cubi – e gli alberi non sono stati in grado di difendersi. Insomma, in certe aree il bostrico trova molto cibo e nessun ostacolo, riproducendosi in maniera esponenziale. La pullulazione può rimanere elevata per tre, quattro, anche cinque anni a seconda delle condizioni climatiche, e poi si ritorna alla condizione endemica in cui non ci accorgiamo del bostrico, se non in casi isolati. Quindi sì, ce lo aspettavamo. Già alla fine del 2018 noi studiosi avevamo messo in evidenza che dopo tre anni era atteso un picco del bostrico. Non è detto che l'anno prossimo sarà in declino. Il punto è se il 2022 sarà un anno particolarmente siccitoso e con temperature ben al di sopra della media: allora ci possiamo aspettare un picco ancora più elevato. In base al monitoraggio con le trappole a feromoni, si riuscirà a capire quando ci sarà il ritorno alla situazione endemica.

Quali danni sta facendo il bostrico?

Il danno ecosistemico al bosco, in realtà, è tutto da dimostrare. Il bostrico è un elemento naturale che adesso raggiunge un certo grado di severità perché c'è una serie di concause. Ma la natura farà il suo corso, e il bosco potrà trarre perfino giovamento. Con la proliferazione di questo insetto arrivano infatti gli antagonisti, ovvero specie che si cibano degli scolitidi. Per esempio, i picchi che si nutrono delle larve. Possiamo dire che c'è senz'altro un danno economico, perché chi gestisce il bosco non riesce a ottenere lo stesso prezzo della pianta sana.

Quello che perdiamo a causa degli attacchi del bostrico è soprattutto la protezione che i popolamenti di abeti rossi sul territorio sono in grado di dare per prevenire frane e valanghe. Immaginiamoci un intero versante bostricato: le piante morte in piedi prima o poi crollano. Dopo di che si innescano le dinamiche naturali, ripartirà il bosco eccetera. Però per un certo periodo la funzione di protezione che il bosco garantiva può venire meno. E quindi, se voglio ripristinarla, dovrò fare degli interventi, per esempio di rimboschimento (valutando caso per caso). Tutti aspetti che Veneto, Province Autonome di Trento e Bolzano stanno mettendo nero su bianco nelle linee guida per la gestione delle aree colpite dal bostrico.

Ecco, parliamo dei possibili interventi. Come si contrasta l'epidemia di bostrico?

Una volta la tendenza era quella di portare via la pianta bostricata quando era in una fase conclamata e presentava già una colorazione rossa. In realtà, quando la pianta è morta, lo scolitide non c'è più ed è andato a colonizzarne un'altra. Che magari è di colore verde, per cui non notiamo subito la presenza del bostrico. Per controllare efficacemente la popolazione di bostrico bisognerebbe quindi tagliare le piante vicine dopo aver visto sul tronco se ci sono i fori di entrata e aver verificato che dentro c'è lo scolitide, piuttosto che portare via quelle morte in piedi dove magari si sono già insediati gli antagonisti.

Oppure si può togliere il problema alla base. Dove l'abete rosso non è nel suo areale ideale, posso scegliere di riforestare con altre specie più adatte, accelerando i processi di successione ecologica. Ti faccio l'esempio dell'altopiano di Asiago, dove in questo momento sta imperversando il bostrico. Un'ampia superficie è stata rimboschita dopo la Prima Guerra Mondiale con abete rosso, ma al suo posto ci potrebbero stare tranquillamente faggi, abeti bianchi o comunque si potrebbe optare per un popolamento misto, più resistente. Ma questo è più un discorso che posso fare in un contesto post-epidemia e non di lotta all'insetto.

Noi umani possiamo compiere degli interventi mirati, ma la natura lavora meglio di noi generalmente. Il bosco ripartirà gradualmente, e si creeranno dei popolamenti migliori di quelli precedenti, che erano retaggio di una gestione marcatamente antropica (frutto cioè di rimboschimenti fatti con abete rosso dove prima non c'era questa specie). Il bosco che si insedierà sarà molto più in linea con le dinamiche naturali. Noi stiamo monitorando il processo di rinnovamento nelle aree schiantate, e anche nelle aree in cui hanno portato via tutto. L'innovazione si sta insediando. In alcune situazioni sarà più lenta, in altre la si può aiutare con i rimboschimenti.

Si può considerare il bostrico una sorta di cartina di tornasole dei cambiamenti climatici?

Certamente. Basti pensare che nell'Europa centrale la siccità del 2018 è andata a stressare i popolamenti di abete rosso, e adesso devono fronteggiare una crescita esponenziale del bostrico in maniera molto più severa rispetto all'Italia. Noi dovremo fare i conti più avanti e alla fine vedere se supereremo i danni provocati da Vaia, e cioè circa 9 milioni di metri cubi di legname a terra. Ma in Germania, Repubblica Ceca e altri Stati del Centro Europa stiamo parlando di 100 e passa milioni di metri cubi danneggiati dal bostrico. Per la siccità del 2018, ovvero per un evento riconducibile al cambiamento climatico. Il grosso problema è più di tipo commerciale che ecologico, visto che in quei Paesi c'è un'importante filiera di segherie che tratta prevalentemente l'abete rosso.

In Italia invece che cosa succede per colpa della crisi climatica? Ci ritroviamo più spesso con due popolazioni all'anno anche nelle zone dove non si presentava la problematica, perché faceva più freddo e la stagione vegetativa era piu corta. Quindi anche a quote più elevate. Il che vuol dire che diversi popolamenti di abete rosso, che magari potevano essere interessati marginalmente dal fenomeno o solo da popolazioni di bostrico con una gestazione l'anno (che quindi difficilmente arrivavano a densità elevate), adesso hanno due generazioni l'anno. Ci è andata bene negli ultimi due anni perché abbiamo avuto stagioni relativamente fresche e piovose. In presenza di eventi siccitosi, potremmo assistere a un ulteriore peggioramento dell'epidemia di bostrico. Quest'ultimo è una di quelle specie che con i cambiamenti climatici stanno attaccando dei popolamenti che prima erano fuori dalla loro portata, perché appunto a quote più elevate e con un clima più freddo.