Perché i pronto soccorso sono sempre intasati? Ne parliamo con il presidente del 118

Cercare di capire perché i pronto soccorso sono «sempre» intasati significa anche riflettere sulle falle del sistema stesso: lo abbiamo fatto insieme a Mario Balzanelli, presidente nazionale del 118.
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Kevin Ben Alì Zinati 5 Gennaio 2024
* ultima modifica il 06/01/2024
In collaborazione con il Dott. Mario Balzanelli Presidente Nazionale Società Italiana Sistema 118

Dicembre, per i pronto soccorso, è il mese più temibile. Lo è sempre stato e quest’anno non ha fatto eccezione.

Considera che secondo i dati della Società italiana di medicina di emergenza urgenza, solo nel Lazio il 2 gennaio c’erano oltre 1100 pazienti in attesa di ricovero nei Ps, altri 500 erano bloccati in Piemonte mentre in Lombardia i ricoveri ordinari sono stati addirittura sospesi proprio per via di un sovraffollamento ingestibile.

Capire perché i pronto soccorso sono «sempre» intasati è complesso e chiama in causa diverse ragioni: strutturali, politiche, economiche.

Cercare di trovare una spiegazione in un certo senso significa anche provare a capire quando è necessario presentarsi al Ps.

Pensiamo che saper discernere quando è necessario andare in Ps o meno può giovare a noi tanto quanto all’intero sistema. Sì, perché molte volte lo spavento e la paura sono più forti dell’emergenza in sé e alla fine quel mal di testa, quella febbre o quel dolore strano non nascondono davvero qualcosa di grave o preoccupante.

Riflettendo sulla situazione dicembrina, tuttavia, il dottor Mario Balzanelli, presidente Nazionale Società Italiana Sistema 118, ha ribaltato questo pensiero.

Il problema, dice, non è lì: non risiede nella paura o nell’esagerazione dei quei cittadini che dietro a una febbre vedono una condizione ben peggiore. “Ogni soggetto percepisce la propria condizione come urgente perché, giustamente, non ha la capacità discrezionale di capire se un problema può metterlo o meno in pericolo di vita. Questa valutazione non spetta al cittadino, che invece ha bisogno di qualcuno di competente che lo faccia per lui”. 

Il problema, per il dottor Balzanelli sta quindi nel fatto che a non rispondere correttamente è il sistema stesso, a partire dai medici del territorio oberati di lavoro a quelli ospedalieri estremamente depauperati fino al personale del 118 stesso, preso da turni massacranti e richiosi.

Capire se si sta soffrendo di un problema serio o meno non spetta al cittadino ma a figure competenti 

Dott. Mario Balzanelli, presidente 118

“Non si può dire a un cittadino di non chiamare il 118 o di non recarsi in pronto soccorso. Ogni paziente – ha continuato il presidente del 118 – cerca risposte perché ha la pressione bassa, perché ha 38 di febbre, perché deve cambiare i cateteri. Le persone chiamano per ogni cosa perché non trovano più risposte, che invece vanno garantite. Se mancano le risposte, i cittadini a loro volta non risponderanno a nessuna campagna di educazione sanitaria”.

Si tratta di un circolo vizioso che gradualmente sembra si stia cronicizzando e i cui effetti sono diventati ancora più lampanti proprio in questi ultimi giorni di feste.

Nell’arco di 2-3 settimane, il sistema dell’emergenza è stato messo a dura prova non tanto dalle situazioni ad elevate criticità cliniche, quei caso di emergenza o urgenza che ci sono sempre stati, sono anche fisiologiche e per le quali il sistema è perfettamente attrezzato sia a livello territoriale che ospedaliero.

Se mancano le risposte da parte del sistema, i cittadini non risponderanno a campagne di educazione sanitaria

Dott. Mario Balzanelli, presidente 118

“Il sistema 118 è stato messo in difficoltà per un iper afflusso indiscriminato di pazienti con acuzie minime. Pazienti in cerca di risposte che, non trovandole da altre parti, hanno pensato di rivolgersi in massa ai pronto soccorso determinando una paralisi gestionale rilevante – ha spiegato il dottor Balzanelli – Questo, di fatto, compromette la fluidità dei percorsi gestionali e rallenta le prese in carico degli ammalati”.

Questo aumento rilevante di chiamate ha avuto picchi nei giorni più delicati dell’anno, ovvero dal 26-29 dicembre e poi sotto Capodanno, quando si è superato del 40% delle chiamate ordinarie che si registrano per esempio in inverno e nel mese di novembre. In alcune parti d’Italia si è arrivati addirittura al 60-70%.

Secondo il presidente del 118, la situazione si sarebbe poi ulteriormente aggravata perché la congestione dei pronto soccorso ha portato al blocco delle procedure di sbarellamento del paziente. “Le ambulanze si impilano in fila indiana anche decine di ore in una situazione paradossale che abbiamo visto con la pandemia”. 

In quel momento, però, il «caos» era l’espressione di un disastro sanitario legato a un’emergenza non convenzionale. Una volta tamponata e superata la crisi, però, la situazione non è cambiata, anzi. “In grossi centri urbani come Milano o Roma c’è stata una paralisi generale: è una barellopoli. Una situazione incresciosa, irricevibile che espone i pazienti in attesa di una valutazione a ore di attesa in condizioni inappropriate: una barella non è assimilabile a un posto letto”. 

Il circolo vizioso però non si ferma. Bloccandosi le ambulanze, il sistema 118 viene inevitabilmente amputato di una quota rilevante di mezzi e così anche il soccorso ad altri pazienti, magari quelli che «veramente» versano in condizioni di emergenza e urgenza, finiscono per tardare. “La barrelopoli per di più determina anche uno spreco enorme di risorse perché le Asl sono costrette a chiamare ambulanze private, con un ulteriore esborso di denaro pubblico. E alla fine la berellopoli rischia di diventare una barellandia”.

A proposito di risposte: come si risolve questa soluzione? La soluzione, secondo il dottor Balzanelli, deve prima di tutto trovare una consapevolezza ai massimi livelli decisionali del governo, che deve puntare su un potenziamento e rafforzamento del sistema dell’emergenza. Ma non solo.

Ore di attesa in condizioni inappropriate sono inammissibili: una barella non è un posto letto

Dott. Mario Balzanelli, presidente 118

Oltre a rendere rendere "più attrattiva” la professione del medico e dell’infermiere del 118, che Balzanelli definisce come figure professionali soggette a rischi oggettivi e a una vita stressante, servirebbe comprendere che non ha senso pensare di risolvere il problema “ampliando gli spazi di accoglienza di pronto soccorso o costruendone di nuovi. L’85% di tutti coloro i quali sovraffollato i Ps richiedono una risposta sanitaria, una valutazione clinica e un trattamento terapeutico che non ha nulla a che vedere con i compiti del Ps perché non rientrano in condizioni di emergenze né di urgenza. Non ha senso chiedere ai colleghi del Pronto soccorso di fare un lavoro che non compete loro”. 

La risposta, per il presidente del 118, deve partire dal territorio, dalla case della salute, gli ospedali di comunità e dalle postazioni medicalizzate infermierizzate del 118, i punti di primo intervento, “che però il Dm70 in modo miope ha ritenuto di abolire”.

L conclusione del dottor Balzanelli è comunque votata alla speranza, e alla fiducia. “Dopo il colloquio dello scorso aprile, il ministro della Salute Orazio Schillaci mi ha assicurato che darà al sistema 118 la massima attenzione e supporto. È il primo ministro che fa una dichiarazione simile. Guardiamo con fiducia a Schillaci: comprende i nostri problemi, lo sentiamo uno di noi”.

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