Quale è la situazione oggi sul fronte dell’emergenza aviaria in Italia

I numeri sono importanti: 308 focolai, 1.800 aziende coinvolte e 18 milioni di capi abbattuti. La mente corre subito ai primi anni 2000, quando un’epidemia di aviaria provocò tra i 50 e i 60 morti nel Sudest asiatico. Ma qual è la situazione oggi e come stiamo affrontando il problema nelle regioni del Nord-Est?
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Giulia Dallagiovanna 10 Febbraio 2022
* ultima modifica il 10/02/2022

Quante volte a settimana mangi carne di pollo o di tacchino? E da quale allevamento proveniva l'animale che è finito nel tuo piatto? Sono domande necessarie per prendere coscienza del nostro sistema di produzione e consumo, nonché dei rischi che nasconde. Uno di questi riguarda l'aumento delle epidemie, solco nel quale si inserisce l'aviaria, che da ottobre imperversa negli allevamenti del Nord-Est, in particolare in quelli di Veneto e Lombardia, dopo essersi già ampiamente diffusa in Europa. Ad oggi si contano in tutto 308 focolai, 1.800 aziende coinvolte e 18 milioni di capi già abbattuti.

Tieni presente che stiamo parlando di un problema confinato al momento ai volatili, se si esclude l'unico caso di infezione in un uomo, registrato a dicembre nel Regno Unito. Dunque per ora non c'è ragione di temere un contagio, ma gli esperti stanno monitorando l'evoluzione del virus per individuare in tempo eventuali mutazioni che possano consentirgli il salto di specie. Quel che è certo è che gli allevamenti intensivi, a causa della prossimità forzata a cui costringono gli animali, sono un evidente terreno fertile per la circolazione di patogeni che possono diventare pericolosi anche per noi.

Cos'è l'influenza aviaria

Quando si parla di influenza aviaria, tornano in mente le notizie che Tg e giornali trasmettevano nei primi anni 2000. Tra il 2003 e il 2005, infatti, il Sudest asiatico si era trovato di fronte a un'epidemia su larga scala che era arrivata a colpire almeno 50 milioni di animali in 10 diversi Paesi, facendo capolino anche in Europa. A spaventare, allora, furono soprattutto gli oltre 200 contagi e i 55 morti che si registrarono tra la popolazione di Hong Kong, Vietnam, Cambogia e Thailandia. Non solo, ma in Vietnam emerse anche un possibile episodio di trasmissione da persona a persona, di cui si discusse anche in un case study pubblicato sul New England Journal of Medicine.

Devi sapere, però, che questo virus è con noi da ben più tempo. La prima epidemia di cui si ha conoscenza è scoppiata addirittura nel 1890 e la famosa spagnola, che nel 1918 provocò almeno 17 milioni di morti, aveva avuto origine anch'essa in alcune specie di uccelli selvatici diffuse in Nord America, come hanno ricostruito diversi studi (tra cui uno pubblicato su Nature nel 2014). Sono in particolare le anatre selvatiche a fungere da serbatoi naturali per questo virus.

Nei fatti, si tratta di un virus influenzale di ceppo A, dunque affine alla comune influenza che tutti conosciamo. Nonostante ciò, ricorda che è un problema relativo soprattutto a volatili e pollame e che solo in un secondo momento può coinvolgere l'essere umano. Oggi sappiamo che vi sono almeno 15 sottotipi di virus in circolazione: i più comuni possono essere identificati dalle sigle H5, H7 e H9. I primi due vengono definiti ad alta patogenicità (HPAI), al contrario dell'ultimo che si contraddistingue per la bassa patogenicità (LPAI). La differenza sta nel tipo di malattia che possono provocare, andando da sintomi leggeri a fatali addirittura nel 100% dei casi. Un fattore da non trascurare però è la rapidità con cui il microorganismo può mutare, evolvendo in uno ad alta patogenicità.

Tra tutte, la sigla da conoscere è H5N1 (la N indica la proteina combinata con il virus) che ha provocato l'epidemia del 2003-2005 e che è all'origine anche dei focolai nel Nord-Est. Ma cosa sta succedendo in quest'area?

Cosa sta succedendo in Italia

Il primo caso è stato registrato il 19 ottobre scorso in un allevamento di tacchini da carne di Verona. Al 3 febbraio, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) decriveva 308 focolai, di cui l'80% concentrati proprio in Veneto. Altri 56 sono emersi nelle province lombarde di Brescia, Mantova e Cremona, mentre tre casi isolati hanno fatto notizia in Lazio, in Toscana e in Friuli Venezia-Giulia. Ma non è stato un fenomeno del tutto inaspettato, se consideri che l'H5N1 circolava in Europa già dall'autunno in almeno 28 Paesi tra cui Francia, Svizzera e Austria. Minimo comune denominatore non è tanto la vicinanza tra Stati, quanto la presenza di uccelli migratori che hanno difuso il patogeno in tutto il continente, dove sono arrivati per trascorrere l'inverno.

L'80% dei focolai è concentrato in Veneto, mentre altri 56 sono in Lombardia

Queste specie spesso non manifestano la malattia, ma espellono il virus tramite le feci contagiando in questo modo i loro colleghi da cortile, come anatre, tacchini, polli e galline ovaiole. Il patogeno può passare attraverso i macchinari e gli attrezzi che si utilizzano in agricoltura, i mangimi o gli indumenti stessi degli operatori. I cortili di oggi, però, sono immense strutture dove vivono stipati centinaia di migliaia di animali, senza alcuno spazio vitale per muoversi. E proprio l'estrema vicinanza favorisce la rapida circolazione di microorganismi infettivi, nonché lo scoppio di epidemie.

Dal punto di vista strettamente epidemiologico, la situazione oggi appare sotto controllo. Nel Polesine, ad esempio, rimarrà attiva la sorveglianza fino al 13 febbraio e poi verrà dichiarata ufficialmente finita l'emergenza. E si comincerano allora a contare i danni su un'industria, quella avicola, che è rimasta l'unica a non avere bisogno di importare capi dall'estero. Si parla già di oltre 500 milioni di euro di risarcimenti.

Il rischio per l'uomo

In passato, l'influenza aviaria ha causato morti anche tra le persone. Nell'epidemia in corso, però, si conta un solo caso di contagio a un essere umano. Si tratta di un uomo di 80 anni che ha contratto l'infezione dalle sue anatre lo scorso dicembre. Sottoposto a terapia preventiva con antivirale, è rimasto asintomatico per tutto il tempo e ora è guarito. Dunque nessun allarme e soprattutto niente segnali di una nuova pandemia alle porte.

Il salto di specie, però, non è da escludere. L'Istituto supeiore di sanità spiega che: "Condizione essenziale perché virus che normalmente sono ospitati da animali diventino patogenici per l’uomo è che nel processo di riassortimento acquisiscano geni provenienti da virus umani, che li rendano quindi facilmente trasmissibili da persona a persona". Il fatto dunque che i focolai siano emersi proprio durante la stagione influenzale potrebbe rappresentare un elemento di rischio: in una persona che contrae entrambi, infatti, l'H5N1 potrebbe ricombinarsi e diventare in grado di attaccare l'uomo. Bisogna inoltre ricordare che nel 20o3, il virus aveva effettuato il salto di specie anche nei confronti di maiali, gatti e topi, tutte specie che vivono a contatto con l'essere umano.

Le misure di prevenzione

Dopo l'epidemia del 2005, anche in Italia è stato messo a punto un piano di prevenzione e contenimento dell'influenza aviaria che gli allevamenti hanno dovuto seguire in questi mesi. Lo scopo è quello di riuscire a controllare il diffondersi dei contagi entro 4 mesi dalla scoperta del primo animale infetto, periodo oltre il quale l'emergenza potrebbe cronicizzarsi.

È prevista una stretta collaborazione tra veterinari ed epidemiologi, affinché vengano prontamente identificati i casi iniziali e si attivi subito il monitoraggio. Devono poi essere rintracciati tutti i canali di distribuzione attraverso i quali il pollame proveniente da quell'allevamento potrebbe essere stato venduto e infine gli allevamenti vicini devono osservare un periodo di quarantena. Ma la misura più risolutiva, ad oggi, passa per l'abbattimento di tutti i capi infetti e per la sanificazione dei locali.

Un'ultima spiaggia semplice solo in apparenza. Secondo la Lav, in Veneto la quantità di corpi è stata talmente elevata da saturare gli inceneritori e da rendere necessario l'interramento. L'ong Essere animali è riuscita a filmare con un drone come funzionano queste operazioni. In un allevamento di Vicenza si vedono operatori caricare migliaia di polli su ruspe, che a loro volta li scaricano in un container fino a saturarlo, per poi chiuderlo e gasare i volatili. In 300mila hanno conosciuto questa fine e probabilmente gli altri non sono morti in modi poi tanto diversi.

Il problema degli allevamenti intensivi

Non è solo una questione di etica, né di benessere animale. La necessità di superare il sistema di produzione intensiva è in tema di salute pubblica (oltre che di sostenibilità ambientale). Allevare centinaia di migliaia di volatili o capi di bestiame in un capannone che non garantisce una certa distanza, significa creare un assembramento. E dopo la pandemia di Covid, sappiamo tutti dove può condurre una situazione del genere. Nel suo ultimo rapporto sull'epidemia di aviaria, l'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare), suggerisce proprio di ridurre la densità degli allevamenti. L'IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) sottolinea invece come in natura vi siano ancora oltre 1 milione di virus non conosciuti, di cui un numero compreso tra i 540mila e gli 850mila potrebbe avere la capacità di infettare l'essere umano.

In natura vi sono ancora tra i 450mila e gli 850mila virus che possono arrivare a infettare l'uomo

A corredo dell'ultima indagine pubblicata, Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance nonché uno degli autori, ha riassunto la minaccia che lo sfruttamento del Pianeta da parte dell'uomo nasconde proprio per la nostra specie: "Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente, conducono al rischio di pandemia. I cambiamenti nell’uso del territorio, l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura e del commercio, la produzione e il consumo non sostenibili stanno sconvolgendo la natura e aumentando il contatto tra fauna selvatica, animali allevati, agenti patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie".

Una soluzione potrebbe essere quella suggerita da Greenpeace, ovvero utilizzare i fondi della nuova Politica Agricola Comune (PAC) dell'Unione europea, così come quelli del PNRR, per avviare una transizione verso un sistema di produzione più sostenibile anche a livello di allevamenti. Un altro passaggio riguarda invece la nostra dieta e la riduzione del quantitativo di carne che mangiamo ogni settimana. Secondo un report di Essere animali, dal 2010 al 2019 il consumo di carni bianche è aumentato di circa 1,7 chilogrammi a persona, mentre la quantità di polli macellata è cresciuta dell'11%. Và detto, però, che sempre più italiani scelgono uova da allevamento biologico e che, in generale, ci manteniamo al di sotto della media europea proprio per quanto riguarda le volte in cui scegliamo di portare in tavola questo alimento.

Fonti| Istituto superiore di sanità; Izsve; Efsa; Ipbes;
            "Probable Person-to-Person Transmission of Avian Influenza A (H5N1)" pubblicato sul New England Journal of Medicine il 27 gennaio 2005;
             "Study revives bird origin for 1918 flu pandemic" pubblicato su Nature, il 16 febbraio 2014

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