Seguire le fluttuazioni di un ormone potrebbe aiutarci a predire il rischio per una donna di incorrere nella depressione post partum

Un gruppo di ricercatori ha scoperto che monitorare i cambiamenti dei valori di un determinato ormone durante la gravidanza può aiutare a predire la possibilità, per una donna, di incorrere nella depressione post partum. Si tratta, insomma, di un potenziale alleato per una diagnosi precoce e un’azione preventiva a tutela della salute di moltissime neo-mamme.
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Kevin Ben Alì Zinati 9 Maggio 2024
* ultima modifica il 09/05/2024

Colpisce tra il 10 e il 15% delle donne che partoriscono e provoca sintomi pesanti, che vanno dal pianto fino a un profondo senso di inadeguatezza alla nuova situazione, che può portare anche a prova vere e difficoltà di interazione e attaccamento al proprio neonato.

Purtroppo, però, prevedere il rischio che una neo-mamma possa andare incontro a una forma di depressione post partum è sempre stato complesso.

Almeno fino ad ora. Un nuovo studio dell’Università della California, infatti, ha identificato un potenziale campanello d’allarme in grado di predire la possibilità di insorgenza di questa sindrome. Un alleato dunque per poter intervenire in maniera rapida e preventiva e tutelare la salute di moltissime donne.

L’attenzione, come descritto sulla rivista Psychoneuroendocrinology, è ricaduta su pCRH. Se non l’hai mai sentito, devi sapere che si tratta di un ormone coinvolto nel rilascio della corticotropina placentare (un altro importante ormone) durante diverse fasi della gravidanza.

Fluttuazioni nelle sue concentrazioni sono normali, ma i ricercatori sono riusciti a capire che un suo rapido innalzamento sarebbe effettivamente correlato a un rischio maggiore di depressione post-partum.

Sono giunti a questa conclusione analizzando i valori di pCRH in un campione di 173 donne in gravidanza e ricercandone la correlazione con il rischio di sviluppare questa particolare forma di depressione.

Durante la fase di analisi, i ricercatori hanno sottoposto ogni campione di sangue a 3 esami tra l’ottava e la sedicesima settimana di gravidanza, tra la ventesima e la ventiseiesima e tra la trentesima e la trentaseiesima settimana osservando un aumentato livello dell’ormone pCRH in tutte le donne.

Ciascuna poi stata sottoposta a uno specifico questionario per valutare la presenza di sintomi di depressione post-partum, dopo uno, sei e 12 mesi dal parto e il 13,9% delle donne ha risposto al test ha messo in evidenza una probabile insorgenza della depressione.

A sorprendere i ricercatori però è stato l’aver notato che tutte queste donne avevano avuto in comune un rapido aumento di pCRH, che aveva raggiunto anche picchi più alti rispetto alle altre.

Lo studio sembra suggerire dunque che le traiettorie del pCRH potrebbero davvero influenzare i sintomi depressivi post-partum diventando dunque un potenziale grande alleato per una diagnosi preventiva.

“I nostri risultati – ha spiegato Isabel F. Almeida, professoressa assistente di studi Chicano/Latino alla UC Irvine e principale autrice dello studio – evidenziano i cambiamenti fisiologici dinamici che si verificano durante la gravidanza e chiariscono come tali cambiamenti si riferiscono alla salute postpartum. Il lavoro futuro dovrebbe esplorare ulteriormente il modo in cui i cambiamenti nella risposta allo stress nell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene sono correlati ai sintomi depressivi postpartum, concentrandosi specificamente sui modelli di cambiamento del pCRH”.

Fonte | "Placental corticotrophin-releasing hormone trajectories in pregnancy: Associations with postpartum depressive symptoms" pubblicata sul numero di giugno della rivista Psychoneuroendocrinology

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