Spostare gli animali a rischio estinzione potrebbe essere più dannoso di quanto pensiamo

Pur essendo l’ultima spiaggia, questa pratica un tempo considerata pericolosa è oggi utilizzata per diverse specie di animali. Ma dovremmo prendere in considerazione tutte le conseguenze, perché dare un nuovo habitat a pesci, uccelli o mammiferi non è privo di rischi.
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Sara Polotti 11 Febbraio 2023

Ormai sono molte le specie a rischio che vengono spostate dal loro habitat naturale per trovarne uno simile che le accolga e in cui possano evitare l'estinzione.

Ma i pro e i contro da tenere in considerazione sono diversi e le perplessità non possono venire ignorate. Il pericolo? Provocare epidemie e distruzioni involontarie, ancora più impattanti del singolo gesto di salvaguardia.

I motivi degli spostamenti

La pratica a cui accenniamo, ovvero il trasporto di alcune specie di animali da un habitat a un altro habitat dalle caratteristiche simili, ha motivi che di base sono assolutamente ammirevoli e positivi. Si tratta, infatti, di trovare a pesci, uccelli, mammiferi o rettili un nuovo luogo, quando quello che solitamente li ospita viene danneggiato dai cambiamenti climatici.

Un esempio può essere il caso di alcuni uccelli hawaiani, che nel corso degli ultimi anni sono stati spostati poiché le spiagge che li ospitavano stanno via via venendo inghiottite dall'oceano che si innalza. Oppure quello delle farfalle autoctone del Midwest e del Nord Est degli Stati Uniti (in pericolo), o ancora quello dei cervi che abitano il Sud della Florida. Per tutti questi animali sono stati trovati nuovi spazi, lontani ma simili per clima e vegetazione.

Le perplessità

Benché la conservazione della biodiversità e delle specie a rischio di estinzione sia di vitale importanza, questa pratica ha dei pro (quelli che abbiamo visto) e dei contro, che non possono essere ignorati e a cui bisognerebbe trovare una soluzione, o quantomeno ragionare sul lungo periodo. Gli animali a cui si trova un nuovo habitat, infatti, potrebbero potenzialmente diventare invasori del territorio, mettendo a loro volta in pericolo altre specie. Allo stesso tempo, questi stessi animali potrebbero involontariamente diffondere virus e batteri e provocare quindi epidemie ipoteticamente devastanti per altre specie che non hanno sviluppato le giuste difese immunitarie (come per esempio fanno notare i ricercatori autori del paper "Don't move a mussel? Parasite and disease risk in conservation action", che si concentra sui pericoli sanitari rispetto allo spostamento di alcune specie di cozze a rischio estinzione).

D'altro canto, non li si può lasciare morire insieme all'habitat che li ospita. Se, infatti, gli animali nel corso dei millenni hanno saputo sopravvivere e mutare di fronte ai cambiamenti climatici, quello che il pianeta sta vivendo ora è molto più accelerato rispetto al passato, e non lascia il tempo alle specie di adattarsi o muoversi autonomamente.

Meglio valutare i rischi

Serviranno ancora molti studi e molte ipotesi, molte osservazioni e molte ricerche (non immediate ma spalmate nel tempo) per osservare quali siano i reali pericoli e quale sia la corretta pratica da adottare. Ciò che scienziati e scienziate in questo periodo vogliono sollecitare è quantomeno un ragionamento più profondo, che non si limiti alla salvezza immediata, ma che guardi alla salvaguardia a lungo termine e più ampia, che tenga conto di tutti i fattori e di tutte le specie (animali e vegetali) coinvolte nel processo.