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Un nuovo New Deal per la natura, ma manca il fondo per la biodiversità: cosa accade adesso?

I primi passi sono stati fatti, ma la natura non è sicura di salvarsi. L’accordo siglato alla fine della Cop15 servirà per tutelare la biodiversità, ma molti Stati hanno il dubbio che il piano rischi di non essere rispettato a causa del fondo mancante. Vediamo allora nel dettaglio tutti i nostri dubbi.
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Mattia Giangaspero 29 Dicembre 2022

L’accordo ottenuto a metà dicembre in Canada, durante la Cop15, ha aggiunto nuovi elementi fondamentali alla salvaguardia del Pianeta. Oltre ad avere un piano globale per combattere l’inquinamento, l’Onu è riuscita a far firmare un accordo a 190 Stati (fuori gli Usa e la Corea del Nord) per arrestare e invertire la rotta sulla diversità biologica.

Il piano è stato chiamato Global Biodiversity Framework (GBF) e prevede quattro diversi obiettivi. Il più importante è il “30by30” che servirà a tutela del 30% delle terre, degli oceani e delle coste del Pianeta entro il 2030. Inoltre è stato inserito anche il ripristino, sempre del 30%, degli ecosistemi degradati.

Gli scontri sul fondo per la biodiversità

Durante la quindicesima Conferenza delle parti sulla biodiversità (Cop15) ci sono state anche alcune frizioni, tra diversi Stati, in merito all’istituzione o meno di un nuovo fondo. Camerun, Uganda e Congo hanno cercato in tutti modi, senza poi riuscirci, di ottenere un ulteriore sostegno economico da assegnare a tutti quei Paesi che non hanno sufficienti capacità e competenze per portare avanti il progetto.

Inizialmente, anche il Brasile aveva proposto di creare un nuovo salvadanaio ad hoc per la biodiversità e sia l’Unione Europa, sia il Regno Unito avevano appoggiato la proposta, mai accolta.

Il solo fondo dell’Onu, il Global Environment Facility (GEF), potrebbe non essere sufficiente per ottenere i risultati sperati. E infatti l'idea era quella di stanziare, dal 2025, 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2030.

Alla fine la decisione di tutti i governi è stata quella di incrementare ulteriormente le risorse già presenti, impegnandosi a discutere in futuro di un fondo separato, focalizzato per i Paesi in via di sviluppo con economie di transizione.

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Punto 19 del "Global Biodiversity Framework", documento redatto dalle Nazioni Unite dopo Cop15.
L'obiettivo delle Nazioni Unite è quello di stanziare 200 miliardi di dollari all'anno per salvare la biodiversità

Come puoi vedere nel punto 19 del piano redatto GBF,  l’obiettivo è quella di arrivare a mobilitare all’anno 200 miliardi di dollari, ma i Paesi più ricchi per il momento si sono impegnati a stanziare solo tra i 20 e i 30 miliardi. 

La mancanza di controllo

L’incongruenza, o meglio, la debolezza dell’accordo risiede nell’attuazione del piano da parte di ogni singola Nazione. Infatti ogni governo agirà in modo volontario aggiornando autonomamente il progetto e il fatto che non ci sia un ente esterno che giudichi l’operato fa temere per la sua attuazione. Solamente poi nel 2026 e nel 2029, i vari Stati dovranno mostrare i risultati ottenuti.

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Le reazioni dell'accordo

Molte sono state le reazioni in merito all’incontro del 18 dicembre in Canada. Il Direttore generale del WWF Marco Lamberitini ha commentato così: “Abbiamo un New Deal per la natura e le persone.” 

Mentre per la Commissione Europea per l’ambiente è stata una giornata storica che darà la possibilità di mantenere la Terra vivibile per le prossime generazioni.

Il compito dell'Italia

Se prima ti ho parlato del punto debole di quest'accordo, adesso è giusto anche essere soddisfatti e contenti per il risultato ottenuto sulla riduzione dei sussidi che danneggiano la biodiversità. Infatti è presente un punto nel testo che porta ad una diminuzione di risorse economiche per pesticidi e tutte quelle sostanze chimiche che danneggiano la natura.

Adesso l'Italia, avendo già una lista di elementi fossili dannosi per l'ambiente dovrà solo aggiornarla, implementando anche gli elementi dannosi per la natura per poi procedere alla loro eliminazione.

Adesso cosa manca?

La direzione che le Nazioni Unite ha intrapreso è quella giusta, anche se non sufficiente per contrastare l'impoverimento delle terre. I governi restano ancora liberi di agire in modo differente nell'attuazione del piano e allora servirà anche un'azione collettiva e globale di controllo che lo faccia rispettare.

In attesa della Cop16 del 2024 tutti noi avremo un ruolo fondamentale, a partire da enti non governativi e associazioni. Dobbiamo prefissarci il compito di osservare che il piano per invertire la rotta sulla biodiversità venga portato avanti correttamente e laddove ci fossero criticità, bisognerà farle emergere, solo ed esclusivamente nell'interesse del nostro Pianeta.