Xylella: quando resistere non basta

Un vero e proprio cimitero ha sostituito le rigogliose distese di ulivi che riempivano la Puglia, trasformando in modo irrimediabile il territorio e la sua economia, mettendo in ginocchio gli agricoltori e mandando in crisi la comunità scientifica. La causa è un batterio chiamato Xylella fastidiosa. Un batterio che ha cambiato tutto.
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Sara Del Dot 17 Gennaio 2020

Sono ormai sei anni che senti parlare di Xylella fastidiosa. Da quando nel 2013 si è scoperta la ragione per cui gli ulivi salentini morivano, questa strana parola ha acquisito un significato sempre più importante nel panorama italiano ed europeo, simboleggiata da un enorme ulivo secolare divenuto ormai inerme, senza vita. Mano a mano che se ne parlava e la si capiva, la Xylella si è trasformata da batterio quasi sconosciuto a emergenza dichiarata, nemico numero uno dell’agricoltura e dell’economia comunitaria.

Un vero e proprio disastro economico, ambientale e sociale che ha danneggiato oltre 6,5 milioni di ulivi in appena 5 anni. Sentire parlare le persone che da questo batterio sono state colpite, chi ne ha subito le conseguenze e le implicazioni emotive ed economiche, è quasi straziante. E ascoltare le personalità scientifiche e istituzionali che da anni ci hanno a che fare lascia intuire che, forse, le cose sarebbero potute andare diversamente. Dal mio punto di vista, immergendomi nella storia brulla di questo batterio sono diverse le parole che rimangono in mente. Parole che portano con sé un pesante carico emotivo e di responsabilità.

Cimitero

La prima è cimitero: diverse volte durante le mie interviste il paesaggio pugliese, il Salento degli ulivi, mi è stato descritto con questo termine. Ciò che un tempo era motivo di vanto e biglietto da visita dei turisti in una delle regioni più belle d’Italia, ora non è altro che un ammasso di cadaveri (sì, perché di cadaveri si tratta) ingialliti che accolgono le persone che percorrono le strade per entrare in uno dei territori più amati al mondo. Un cimitero che non fa che espandere le proprie mura, forse proprio perché, di mura, non ne ha. E nessuno ha pensato di mettergliele prima che fosse troppo tardi.

Comunicazione

La seconda parola è comunicazione: secondo molti si tratta di uno dei problemi principali della questione Xylella. Infatti, pare che le istituzioni non siano state in grado di esprimersi in modo efficace e di essere chiare riguardo l’entità del problema in cui la regione stava scivolando. A questa comunicazione piena di lacune, si è aggiunta quella promossa da una corrente negazionista che, pur di preservare gli amati ulivi secolari che per tutti rappresentavano famiglia, un tesoro inestimabile, un simbolo di vita, ha spinto molti agricoltori a credere che fosse possibile fermare il batterio senza eradicare gli ulivi. Nel frattempo, il batterio continuava la sua corsa fino ad arrivare a percorrere indisturbato 30 km all’anno.

Immune

L’ultima parola è immune: questa mi ha colpito in modo particolare perché gli esperti con cui ho parlato ci hanno tenuto molto a sottolinearne la differenza con “resistente”. Si parla delle specie di ulivo che dovrebbero essere diffuse maggiormente sul territorio per consentire la ripresa della produzione di olio. Al momento, la soluzione adottata e autorizzata dalla Regione è quella di utilizzare delle cultivar di Leccino e FS17 (detta anche Favolosa) che sono resistenti al batterio, mentre ciò di cui il territorio avrebbe bisogno è una cultivar immune al batterio, per eliminare qualunque rischio di un’altra epidemia.

In questo panorama di termini, retorica, accuse e strade testate, credo che la direzione giusta, l’unica, quella in cui è davvero impossibile sbagliare, sia la ricerca scientifica. La ricerca che sta lavorando per creare una varietà di ulivo immune, la ricerca che dovrebbe acquisire informazioni per evitare che una tragedia del genere si ripeta, salvaguardando i territori italiani ed europei. Magari non riporterà in vita gli ulivi, ma permetterà a tutti di ricominciare con dignità. Dignità che, in questi anni, è spesso venuta a mancare.

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Sono nata e cresciuta a Trento, a due passi dalle montagne. Tra mille altre cose, ho fatto lunghe passeggiate nel bosco altro…