
Con Alessia si riesce anche a scherzare sulla sclerosi multipla. Ha perso l'uso delle gambe, ma non la voglia di vivere, di conoscere cose e persone, e soprattutto di condividere i suoi progetti. L’Agenzia Erasmus+ Indire e l’Unità EPALE Italia aderendo all’iniziativa della Commissione europea di istituire una rete di figure di riferimento positive, l'ha nominata Role Model. Alessia, infatti, è un vero simbolo di resilienza. E da studentessa universitaria è arrivata a creare un'associazione di Promozione Sociale con tanti studenti che hanno un solo obbiettivo, quello dell'inclusione sociale. Come ci è arrivata? Attraverso la malattia. Accettandola fino a chiamarla "amico fantasmino".
Stavo andando a fare l’esame di matematica al primo anno di università. All’improvviso sono cascata per terra. Non ho percepito l’equilibrio e il mio piede si è completamente girato. Pensavo di essere solo inciampata, ma trascorsa l’estate, ho voluto vedere un ortopedico. Dalle prime radiografie non è uscito nulla, ma qualcosa c’era e ho fatto una risonanza magnetica: da questo esame è risultata una notevole carenza di mielina. Il corpo umano è come un computer dove i nervi sono i collegamenti all’interno della macchina. La mielina rappresenta i cavi. Quando la sclerosi multipla attacca è simile a un topolino che si nutre di questi cavi. Non c’è più comunicazione e la macchina viene danneggiata.
Ci sono 14 farmaci che la fermano, ma è una malattia dalla quale non si guarisce, è degenerativa. E sottolineo che “Non è infettiva!” come qualcuno purtroppo crede. Nel mio caso, quando la malattia è arrivata, essendo in una forma molto aggressiva, ho dovuto prendere la fascia di farmaci più forte, ma dopo 6 mesi, ho avuto una ricaduta e ho perso l’utilizzo delle gambe. Ho cambiato farmaco, ma sono risultata allergica. Ho avuto diverse ricadute e ora sto facendo una chemioterapia, utilizzata per curare la leucemia, ma che ha effetti anche sulla sclerosi.
È una malattia invisibile che io chiamo “amico fantasmino”. La chiamo così perché è qualcosa che sta sempre con te. È come un migliore amico, devo sentirlo e ascoltarlo in qualche modo. Devo rendermi conto che c’è. Se sono stanca, devo fermarmi. Se non mi ricordo una parola, devo ricordarmi che è per colpa della malattia. Se non riesco a deglutire, è perché è lei che si fa sentire.
Ho proprio fatto una tesi sulla resilienza. Una parola che mi è stata assegnata all’inizio della malattia. In principio non l’avevo presa bene, ma ho ringraziato che non si trattasse di un tumore. E inizialmente vedevo la malattia come una nemica. In quel periodo andavo all’università, era la mia motivazione per sopravvivere, perché avevo promesso a mia madre (scomparsa prematuramente) che mi sarei laureata. Quella era la mia forza. Così un giorno mi sono svegliata e mi sono detta che ero sempre io, Alessia. La sedia a rotelle è solo un mezzo. Ho iniziato a farmi molte domande, a a farle anche agli altri, e ho trovato nelle risposte la capacita di rialzarmi moralmente. Ho iniziato a studiare la resilienza da un punto di vista psicologico ed economico.
Il coraggio non è arrendersi ma combattere.
In università c’era infatti un materia dedicata all’Economia delle felicità che studia il benessere dell’essere umano da un punto di vista economico. Vari gli argomenti trattati, dal benessere temporaneo che da l’acquisto di un prodotto, al centro della città che se prima era la Polis, ora è il centro commerciale: da qui la sempre più scarsa comunicazione tra le persone che le rende meno felici. Ho costruito una tesi sulla resilienza, su questa città che si rialza dal cambiamento con una struttura ambientale più sostenibile, con il ritorno alla piazza e non più al centro commerciale. Studiare per la tesi mi ha aiutato molto. L’istruzione e la cultura sono la migliore medicina, perché nel mio caso, dove non arriva la medicina è arrivata l’università. Studiare mi ha fatto capire che il mondo è un arcobaleno, dobbiamo condividere il bello che c'è nella vita. Mia nonna diceva che “in ogni famiglia, c’è un problema”: oggi purtroppo tendiamo a chiuderci, io ho fatto l’opposto, con la mia malattia ho cercato di aprirmi al mondo.
È un’associazione di Promozione Sociale creata con altri ragazzi del territorio. Crediamo molto nell’inclusione, ma non solo in termini di disabilità. Anche parlare di ambiente, di riciclo, di moda, scuola e bambini, anche quella è “inclusione”. Io sono donna, giovane e disabile: tre categorie che hanno bisogno di inclusione. Alla mia nipotina ho letto un sacco di volte il libro "Il Buco" di Anna Llenas. Una storia che parla della nostra capacità di resistere e di superare le avversità, di trovare il senso della vita. Quando provi qualcosa di bello non lo devi tenere solo per te, devi passarlo agli altri e circondarti di tutto il bello che esiste. Una storia che mi rappresenta perché credo molto nella rete: da soli non possiamo essere qualcosa, insieme invece siamo più forti. È questo il concetto che sta dietro all’associazione. Quando ho scoperto la malattia ero molto sola, avevo solo mio padre e mia sorella. Gli altri non riuscivano ad accettare l’Alessia diversa; l’hanno accettata solo quando sono stata io a diventare consapevole della mia “non diversità”. È partito tutto da me, ed è importante trasmettere questa cosa.
Vorrei trovare un lavoro. All’inizio dell’estate stavo affrontando il percorso dell’insegnamento, per fare il concorso per abilitarmi ed entrare in graduatoria. Gli insegnanti hanno davvero un compito importante. Devi essere un esempio, fare l’insegnante è una missione. In attesa di capire come andranno avanti le cose, tutte le mie forze sono concentrate nell'associazione, tanto sudata e voluta, creata con sacrificio e con i risparmi di tutti noi che siamo solo studenti, ma il lavoro è la cosa principale.