Chernobyl, scomparso uno degli eroi del disastro: era stato tra i primi liquidatori a mettere in sicurezza la centrale

L’eroe di Chernobyl, Viktor Smagin è morto. Si è suicidato il 23 ottobre 2023 gettandosi dalla finestra del palazzo dove abitava a Mosca. Fu uno dei primi liquidatori che lavorarono alla centrale dopo il disastro: per tutta la vita ha combattuto con le conseguenze della malattia da radiazioni.
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Kevin Ben Alì Zinati 27 Ottobre 2023

Viktor Smagin è morto. Si è tolto la vita gettandosi dalla finestra del suo palazzo a Mosca.

Il suo nome probabilmente ti dirà poco ma Viktor Smagin fu uno dei primi liquidatori di Chernobyl, uno di quegli uomini che con protezioni praticamente inesistenti provarono per primi a mettere in sicurezza la centrale nucleare.

Viktor Smagin era uno degli ultimi testimoni di quello che è stato ribattezzato come «l’incidente che non poteva succedere» e che invece ha cambiato per sempre la storia di un Paese, di un popolo e del mondo intero.

I liquidatori furono tra i primi a lavorare alle operazioni di messa in sicurezza della centrale di Chernobyl. Tutto con protezioni praticamente inesistenti. Photo credit: Wikipedia

Fu uno di quelli che tentò di rimuovere i pezzi di grafite e altri giganteschi detriti radioattivi scaraventati sul tetto mentre sotto ai suoi piedi bruciava incontrollata una reazione di fusione nucleare.

Viktor Smagin aveva 75 anni e fu uno di quelli che diede la vita a Chernobyl. In forme e modalità diverse ma tutti in quei giorni diedero la vita: consegnata sull’altare dell’Umanità.

Viktor Smagin sopravvivesse al disastro ma per quasi 40 anni dovette convivere con le gravi conseguenze della malattia da radiazioni.

L’esposizione cui fu sottoposto durante quelle operazioni fu massiccia, al punto che le radiazioni finirono per devastargli l’organismo. La funzionalità del midollo osseo venne compromessa così come la regolare produzione di globuli bianchi, rossi e piastrine. La sua salute divenne una percorso a ostacoli tra emorragie, tumori e operazioni. All’ennesima, infausta, diagnosi ha deciso di dire basta. A modo suo.

Il reattore 4 di Chernobyl esploso. Fonte: Wikipedia

Alla notizia della morte, avvenuta il 23 ottobre 2023, i giornali di tutto il mondo hanno ricostruito le ore più drammatiche della vita di Viktor.

Quella mattina del 26 aprile 1986 Viktor avrebbe dovuto sostituire un collega e attaccare servizio alle 8 ma all’1.26 il reattore IV della centrale di Chernobyl esplose.

Come tanti, corse al balcone del suo appartamento al 14esimo piano, da cui assistette a uno spettacolo devastante fatto di fiamme, luci dai colori tanto incredibili quanto sinistri e a una pioggia di pulviscolo radioattivo. Come tanti, corse alla centrale per dare una mano.

“All'interno degli edifici la gente combatteva il fuoco. Non c'era panico, ognuno stava semplicemente facendo il proprio lavoro. Il personale ha spento l'incendio e ha drenato l’olio in contenitori sotterranei; gli elettricisti hanno scaricato l'idrogeno. Molti di coloro che hanno salvato la stazione hanno ricevuto dosi letali di radiazioni e successivamente sono morti in ospedale, aveva raccontato Viktor, ricordano anche il momento dell’evacuazione di Pripyat, la cittadina appositamente creata per i dipendenti della centrale. “La stazione però non poteva essere lasciata incustodita. Pertanto il personale visse nella città ancora per qualche giorno”. 

In seguito all’incidente, sopra al reattore 4 scoperto fu costruito un "sarcofago" per contenere le radiazioni.

Con il tempo, molti hanno chiamato Viktor un «eroe» ma nonostante il riconoscimento internazionale, una medaglia, le pacche sulle spalle Viktor rimase solo: solo a combattere contro lo stigma. Contro il divieto di lavorare in aree soggette a radiazioni, di lavorare di notte. Nessuno poteva affidarsi a un lavoratori come Viktor. Nessuno voleva un «eroe» di Chernobyl.

Viktor è sopravvissuto anche a questo, ha trovato un lavoro ministeriale e ha combattuto con la macabra eredità di quell’incidente fino a quando ne ha avuto le forze. Non avrebbe voluto morire in ospedale, così ha salutato la sua famiglia con una lettera e si è gettato. «Miei cari: Larisa, Dima e Sveta! Ora è il momento di salutarci. Grazie mille per gli anni che abbiamo vissuto insieme. È stata felicità. Mi dispiace!».

Per tutta la vita, nei suoi occhi rimase impressa l'immagine del mondo barcollare sul ciglio della catastrofe.

Ora quegli occhi si sono chiusi ma nei nostri resterà impresso il suo sacrificio. Per sempre.