Climate Change, siccità, fiumi in secca: se tornassimo al nucleare, avremmo un problema di acqua?

Il dubbio sorge soprattutto dopo gli scorsi mesi contraddistinti da eccezionali quanto drammatici episodi di siccità: se la scarsità di acqua perdurasse negli anni, sarebbe possibile tornare al nucleare come diverse forze politiche propongono?
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Kevin Ben Alì Zinati 21 Settembre 2022
In collaborazione con Alessandro Dodaro Direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare di Enea.

Cambiamento climatico e nucleare. È uno dei binomi oggi al centro del dibattito per il futuro del Pianeta. Nelle ultime settimane lo è stato soprattutto in Italia.

Da qui a pochi giorni si tornerà al voto per decidere il prossimo governo nazionale e per la prima volta nella nostra storia l’ambiente ha orientato per davvero le diverse posizioni politiche.

Nella rubrica “Che ambiente votiamo” ti abbiamo raccontato come e quale spazio partiti e coalizioni hanno concesso al «green», alle politiche di sostenibilità energetica, alle rinnovabili e di conseguenza anche all’atomo.

Già il professor Marco Enrico Ricotti ci aveva spiegato che nella partita contro il Climate Change sembra non si possa non convocare il nucleare e lungo questa intensa campagna elettorale anche diverse forze politiche paiono giunte alla stessa conclusione.

È il caso di Azione di Carlo Calenda, che fin dall’inizio della corsa al Colle ha spinto sul nucleare proponendo la creazione di 7-8 centrali nei prossimi anni. Una linea che poi ha trovato il consenso e il sostegno di Italia Viva e +Europa, i nuovi alleati del cosiddetto “terzo polo”.

C’è ovviamente anche chi dice «ni», come Fratelli d’Italia, M5S e PD che invece considerano «questo» nucleare ancora troppo costoso e lento a differenza di «quell’altro», cioè la fusione nucleare. Verdi e Sinistra Italiana rappresentano invece il fronte dei «totalmente contrari», quelli decisamente contro il nucleare. Così come Italexit.

Analizzando le diverse «proposte nucleari» si è parlato di tempi, costi, filiera (che non avremmo secondo il senatore Carlo Martelli). Si è discusso su dove fare le centrali, della disponibilità dei sindaci e degli enti territoriali alla loro costrizione, di ritardi burocratici e del consenso popolare e istituzionale tra Regioni e Stato.

Fino ad oggi però si è data per scontata una risorsa imprescindibile per un impianto nucleare come l’acqua. Forse non lo sapevi, ma la maggior parte dei reattori attualmente attivi utilizza l’acqua come sistema di raffreddamento e di moderazione delle reazioni nucleari interne al nocciolo.

Ma è giusto considerarla una risorsa illimitata? Avremo sempre a disposizione fiumi e laghi per alimentare una nuova popolazione di reattori atomici? Il dubbio ci è venuto soprattutto guardando indietro ai mesi appena passati, contraddistinti da eccezionali quanto drammatici episodi di siccità e scarsità di acqua che hanno portato, per esempio, il fiume Po a trasformarsi in una sorta di deserto.

Secondo l’ingegnere Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare di Enea, la maggior preoccupazione “non è avere a disposizione questa acqua perché i quantitativi ci sono. Il problema piuttosto sta nel reimmettere in ambiente quest’acqua: “In caso di secca del fiume o di scarsa portata di un lago non si riesce a reimmettere acqua nel bacino del fiume perché la temperatura sarebbe troppo alta rispetto a quella del bacino stesso”. 

Un reattore nucleare trasforma in energia una parte del calore prodotto con il processo di fissione. Funziona così: all’interno del nocciolo sono contenute delle barre di combustibile in cui avviene il processo di fissione con l’emissione di neutroni, quando queste barre si scaldano, cedono l’energia prodotta sotto forma di calore.

Forse non lo sapevi, ma il reattore generalmente si trova in una piscina, all’interno della quale c’è acqua che si scalda. Questa si trova confinata all’interno di un circuito detto «primario» che avvolge il nocciolo ed è chiuso, “nel senso che l’acqua che vi circola costantemente all’interno non esce mai ma viene utilizzata come moderatore e mezzo di riscaldamento”.

Vi è poi un circuito «secondario», ha spiegato l’ingegnere dell’Enea, costituito invece da fasci di tubi che si intersecano senza mai entrare uno nell’altro, entrano solo in contatto con i tubi del circuito primario. All’interno di questo circuito secondario vi è appunto dell’acqua che viene scaldata dal circuito primario.

“In questi tubi viene scaldata l’acqua presa dall’ambiente. Questa viene inviata al generatore di vapore dove diventa vapore che poi finisce all’interno di una turbina ha spiegato il direttore Dodaro, specificando che il vapore fa girare la turbina producendo così energia elettrica a partire da energia termica.

Capisci quindi che l’acqua che entra nel generatore non entra mai in contatto con il reattore con alcuna fonte radioattiva: viene prelevata dall’ambiente, passa nel generatore di vapore, diventa vapore e poi finisce nelle torri di raffreddamento,quelle enormi strutture con profilo iperbolico da cui esce vapore acqueo. L’acqua non subisce dunque nessun processo chimico e non ha alcun contatto con la parte nucleare del reattore”.

Si tratta di un dettaglio non secondario perché contribuisce a rispondere alla domanda che ci siamo posti e che, arrivato a questo punto, ti starai facendo anche tu: che fine fa l’acqua utilizzata da un reattore?

Dalle torri di raffreddamento l’acqua fa poi il percorso inverso ritornando ad essere acqua reimmessa nell’ambiente. “Ogni centrale termica ha bisogno di acqua ma la cosa importante è che non viene consumata ma viene presa, utilizzata e restituita all’ambiente per il 97%”.

L’acqua di un reattore non subisce nessun processo chimico e non ha alcun contatto con la parte nucleare

Ing. Alessandro Dodaro, Direttore Dipartimento Fusione nucleare Enea

L’unica differenza, ha aggiunto il direttore Dodaro, è che verrebbe reintrodotta nel fiume o nel lago da cui era stata prelevata a una temperatura leggermente più alta di quella ambientale per evitare così di avere un impatto negativo sull’ecosistema. “A livello internazionale, la temperatura a cui viene restituita l’acqua non deve superare di più di 10°C quella in cui si immette, in Francia invece la legislazione è diversa e più stringente perché ammette acqua solo di +1°C”. 

L’eventuale decisione di costruire centrali nucleari in Italia, nonostante potenziali crisi di siccità cui abbiamo assistito quest’anno e la dipendenza da condizioni climatiche imprevedibili, non sembra dunque rappresentare un limite per il direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare di Enea.

Le quantità di acqua che stanno nel circuito primario e secondario sono piccole e restano invariate per tutta la vita di un reattore, dunque non preoccupano. “Quella che invece serve per trasformare il calore in lavoro e che viene poi restituita all’ambiente può essere un problema perché ne serve veramente molta: 6 litri per kilowattora. Ma anche questi quantitativi non mancano” ha spiegato Dodaro.

Il punto, come ti ho accennato all’inizio, è l’acqua da reimmettere in ambiente. Se troppo calda, può innescare un surriscaldamento generalizzato del bacino di reimmissione che avrebbe un impatto negativo sull’ecosistema: “Negli ecosistemi acquatici – ha sintetizzato l’ingegnere – molti cambiamenti fenologici e biogeografici, ovvero relativi alle fasi di sviluppo degli organismi e alla distribuzione delle specie, sono stati associati all’aumento della temperatura dell’acqua”. 

In caso di siccità e di mancanza di acqua nel bacino di riferimento bisognerebbe ricorrere dunque ad altre soluzioni: penso alle torri di raffreddamento elettriche, una tecnologia più costosa e che potrebbe ridurre il guadagno netto generato dalla produzione di energia con il nucleare.

Non si tratta di un aumento clamoroso, il costo kilowattora resterebbe comunque competitivo. “Questa tecnologia permetterebbe di costruire una centrale nucleare anche dove l’acqua scarseggia, come il deserto. Non a caso gli Emirati Arabi ne stanno costruendo sei”.

L'acqua di un reattore nucleare non viene consumata ma viene presa, utilizzata e restituita l’ambiente per il 97%

Ing. Alessandro Dodaro, Direttore Dipartimento Fusione Nucleare Enea

Fatto salvo che l’acqua non rappresenta un problema in termini di quantità o urgenza, resta da capire se, in caso di vittoria dei «nuclearisti» il progetto di una o più centrali sul nostro territorio nazionale sia effettivamente realizzabile in tempi e costi accettabili oppure no.

Anche il direttore Dodaro, che è evidentemente a favore dell’atomo come alleato alla transizione energetica, è convito che a definire i tempi è l’abitudine – termine caro al professor Ricotti – al nucleare.

“In un paese che possiede già la tecnologia nucleare attiva e in cui non è difficile trovare un sito adatto e convincere la popolazione, servirebbero da 5 ai 7 anni per costruire un reattore modulare di piccole dimensioni.

Se invece bisogna ricostruire una base giuridica e trovare consenso, allora il percorso è decisamente più lungo. “Usa e Francia stanno mettendo in campo due schiere di reattori ad acqua di piccola taglia e contano di metterli in campo in maniera massiva nei prossimi dieci anni. In Italia il problema non è tecnologico, è più di quadro giuridico e di accettazione da parte della popolazione”. 

Il rischio con l’atomo, tuttavia, è sempre lo stesso ormai da anni: restare fermi alla sterile dicotomia «sì-no» finendo così per cadere in un circolo vizioso stagnante che serve a poco o nulla. “Se non iniziamo oggi, quando? – ha cristallizzato Dodaro – Più tempo si aspetta e più diventa tardi e si rischia per non partire mai”. 

Il suo discorso è chiaro: nel 2021, il fabbisogno energetico italiano è stato di 320 TWh, come ci si arriva? Producendo almeno il 70% da fonti rinnovabili, sì: e il resto? “Il restante 30% con nucleare, come fanno i francesi, con il gas naturale (anche se poco ecologico), come fanno i tedeschi, oppure comprando energia dall’estero”. 

Costruire centrali? In Italia il problema non è tecnologico, è più di quadro giuridico e di accettazione popolare 

Ing. Alessandro Dodaro, Direttore Dipartimento Fusione Enea

Nucleare e rinnovabili però non sono equiparabili, intercambiabili. Questo però non è mai stato in dubbio. Non devi chiederti quindi quanto potrebbero progredire le rinnovabili e quanta energia si potrebbe produrre in quegli ipotetici 5-7 anni necessari per realizzare un reattore nucleare. “Nel tempo in cui si costruirebbe un SMR si deve comunque investire nelle rinnovabili, anche più di quello che si spende per le centrali"

Nucleare? Più tempo si aspetta e più diventa tardi e si rischia per non partire mai

Ing. Alessandro Dodaro, Direttore Dipartimento Fusione Nucleare Enea

Il nucleare nella visione di molti è semmai un alleato, ha spiegato Dodaro, anche perché "le fonti rinnovabili non possono essere l’unica soluzione" e l’ipotesi di un mondo «100% rinnovabili» è “da dimenticare perché oggi non abbiamo modo di accumulare l’energia prodotta dalle queste fonti”. Il segreto è trovare il modo per compensare.

“Nel 2021 in Italia abbiamo utilizzato 320 TWh ma dobbiamo cercare di elettrificare il parco automobilistico italiano. Andare verso questa elettrificazione completa (e quindi verso la transizione ecologica) significa aumentare sensibilmente il fabbisogno energetico nazionale. E come possiamo riuscirci?

Tra eolico e fotovolatico oggi in Italia si produce il 13,8%, l’idroelettrico fornisce invece il 14,5%: arriviamo dunque quasi al 30%. Anche raddoppiandolo, saremmo comunque sotto al 60% del fabbisogno energetico del 2021. “Se raddoppiamo il fabbisogno energetico elettrificando tutto, questo 30% diventa il 15%. Bisogna investire e massimizzare ogni fonte di energia pulita e sostenibile, senza preconcetti ideologici o raccontare favole” ha concluso il direttore Dodaro.