Martelli (Italexit) a Ohga: “Sì al sovranismo energetico e ambientale, costruiamo le filiere per affrontare la transizione”

Tra i partiti minori che potrebbero superare la soglia di sbarramento del 3% c’è anche Italexit, la forza politica che corre per la prima volta alle elezioni nazionali del 25 settembre. Ma cosa propone il partito di Gianluigi Paragone per quanto riguarda i temi ambientali e la transizione ecologica? Ne abbiamo parlato con Carlo Martelli, senatore di Italexit.
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Rubrica a cura di Francesco Castagna
14 Settembre 2022

C'è una parte del centrodestra che comincia a vedere con preoccupazione la crescita di una nuova forza politica: Italexit. Gianluigi Paragone, dopo essere stato espulso dal Collegio dei Probiviri del Movimento 5 Stelle, ha raccolto delusi e altri espulsi del m5s e ha fondato "Italexit con Paragone". La forza anti-sistema ha come principale obiettivo quello di portare l'Italia fuori dall'Unione Europea, dall'OMS e di ritornare a una sovranità monetaria.

Nel corso di questi due anni il movimento di Paragone è stato sempre considerato tra i partiti minori, ma la presenza della sua lista anche nell'ultima tornata delle Comunali era già un segnale. Italexit è il partito per antonomasia dei manifestanti No Green Pass e contro ogni imposizione dell'obbligo vaccinale, mentre alcuni partiti maggioritari hanno strizzato l'occhio a queste tendenze, nel programma di Paragone è scritto chiaro: no a entrambi.

Negli ultimi mesi Italexit si è fatto sempre più spazio tra i partiti politici e ora, secondo gli ultimi sondaggi pubblicati dall'Istituto Ipsos e commentati dal Presidente Nando Pagnoncelli sarebbe al 3%. Un consenso che permetterebbe a Paragone di superare la soglia di sbarramento (che è appunto al 3%), ma soprattutto di portare in Parlamento la rappresentanza di movimenti che, fino a oggi, hanno sempre manifestato contro le decisioni istituzionali durante l'emergenza sanitaria.

Questa è "Che Ambiente votiamo?", la maratona green di Ohga per le elezioni del prossimo 25 settembre. In vista di una campagna elettorale molto breve ma intensa, il nostro obiettivo sarà quello di accompagnarti fino a quando metterai la tua X sul simbolo di un partito o di una coalizione. Per il numero di oggi, Ohga ha chiesto al senatore Carlo Martelli di approfondire le proposte green di Italexit.

Senatore Martelli, qual è la vostra posizione per quanto riguarda gli accordi sul gas firmati dal governo Draghi, per diversificare l'approvvigionamento e garantire il fabbisogno energetico italiano?

Per quanto riguarda quelli firmati con l'Angola (il governo italiano ha stretto di recente degli accordi per le forniture di gas naturale con l'Algeria, l'Angola e la Repubblica del Congo n.d.r.), a me non risulta che ci sia nessuna infrastruttura di collegamento fra l'Angola e i gasdotti che riforniscono l'Italia, quindi è un accordo che è scritto su un foglio di carta, e con il Congo men che meno.

Rimane quello con Sonatrach (Algeria n.d.r.), io in una fase di transizione sono neutro su questa posizione perché capisco che ci sia un difetto di approvvigionamento, però in ogni caso non si risolve il problema perché il solo accordo con Sonatrach non riesce a coprire la quota-parte di gas naturale che arriva dalla Russia.

In secondo luogo, Sonatrach è gestita per quasi il 50% dal gestore russo di energia, di conseguenza ogni sanzione risulta insignificante. In ultimo, a lungo termine -come dicono tutti gli studi- il metano non è il vettore energetico giusto per una transizione ecologica. Se nel breve periodo posso accettare che vengano fatti dei tentativi di sostituzione delle forniture, nel lungo termine no.

Resta il fatto che Italexit si oppone alle sanzioni che in questo momento vengono erogate. La nostra posizione deriva da un ragionamento elementare: le sanzioni servirebbero a punire chi le subisce, nel momento in cui si ribaltano i ruoli chiaramente queste sanzioni andrebbero rimosse.

E sui rapporti diplomatici con la Russia?

Assolutamente si, la fase della ricerca della pace e della risoluzione diplomatica è assolutamente fondamentale. Questo richiede che si segua la vicenda con un'ottica storica, esistono degli accordi di Minsk, di cui nessuno parla, che dovevano essere vincolanti. La posizione è: ripartiamo da ciò che è stato firmato e fermiamoci tutti. Sicuramente per noi la strategia non è continuare a inviare armi all'Ucraina.

Per affrontare la transizione energetica quale è la vostra strategia? 

Non siamo assolutamente favorevoli al nucleare come forza politica, tanto che nel nostro programma non viene minimamente menzionato. La non menzione al nucleare vuol dire che questa fonte di energia non è nei nostri piani. Quando si apre uno scenario di crisi il "sistema nucleare" prova sempre ad approfittarsi della situazione.

La nostra esclusione parte innanzitutto dalle tempistiche, probabilmente non avremo il nucleare prima di 20 anni, i due casi presenti nel continente europeo la dicono lunga: in Finlandia e in Francia. Quei due nuovi reattori sono stati pensati in siti dove il nucleare c'era già, l'ostacolo del convincimento delle persone e della burocrazia era già stato superato, mentre in Italia si partirebbe con un foglio bianco.

Guardando i numeri, Olkiluoto (Finlandia) è stato progettato nel 2005 e doveva essere pronto nel 2009 con un costo di 3,2 miliardi. Non è ancora nella piena produzione adesso, quindi i finlandesi hanno sbagliato di 13 anni con un costo che è arrivato a 11 miliardi nel 2014. A Flamanville (Francia) la centrale non è ancora finita, con un costo che si è quadruplicato nel frattempo.

Questo vuol dire che, se noi partissimo con un foglio bianco adesso, per costruire quello che ci servirebbe per sostituire il gas russo cioè più di 20 impianti da 1500 MW, avemmo qualcosa di operativo tra 20 anni, e avremmo due vincoli: la durata operativa -questi impianti si ammortizzano nell'arco di 40-50 anni e quindi potremmo chiuderli solo nel 2090 da quando entrano in funzione- e un costo a 20 miliardi per ciascuna.

Qualunque tipo di investimento energetico in altre forme di energia (nucleare a fusione o altri tipi n.d.r.) sarebbe sterilizzato, perché vorrebbe dire che tutti i soldi che una nazione può convogliare nell'ambito energetico finirebbero lì, e chiaramente nessun  privato si metterebbe in testa di fare investimenti senza la copertura dello Stato.

Poi c'è un altro problema: noi non abbiamo quasi niente della piattaforma industriale che serve per esercire un impianto nucleare. Possiamo fare la parte convenzionale, ma la parte del nucleare dovrebbe farla qualcun altro. I problemi sono di diverso tipo:

  • non abbiamo nessun sito per l'allestimento delle barre di combustibile
  • non disponiamo della tecnologia per impiantarle, quindi dovremmo rivolgerci a terzi
  • non siamo a disposizione della tecnologia per sostituirle, e anche lì dovremmo rivolgerci ad altri
  • non abbiamo un deposito per le scorie
  • c'è un problema di decommissioning (smantellamento) per cui anche lì il nostro Paese non ha a disposizione le tecnologie

Insomma sostanzialmente per l'Italia sarebbe "più la spesa che l'impresa". Noi abbiamo questa spinta dei nuclearisti per fare il nucleare a fissione, ma in questo momento i privati stanno lavorando a una tecnologia come la fusione. Ci sono due progetti, uno del MIT e uno di una società che si chiama TAE Technology, loro hanno alcuni brevetti per un sistema diverso di gestione della fusione che non utilizza materiali che possono creare attivazione neutronica, quindi niente deuterio e niente trizio, ma litio e boro. Loro parlano di una possibile commercializzazione nel 2030, nel momento in cui tu hai un'apertura su un altro tipo di tecnologia, che non produce scorie, io credo che perseguire la via delle rinnovabili e non impegnarsi per 80 sul nucleare da fissione sia un atto doveroso.

La transizione energetica dobbiamo affrontarla in un altro modo. Le rinnovabili devono essere integrate con la parte industriale e la parte ambientale, perché noi in questo momento non possiamo separare le cose. Noi abbiamo un problema di acqua in questo momento, per cui l'energia rinnovabile nella parte idroelettrica mette assieme le due cose.

Sul fotovoltaico noi non disponiamo della filiera, che è in mano prevalentemente alla Cina. Noi abbiamo demandato tutto ciò che potremmo fare in casa all'estero, per questo parliamo di sovranismo in senso energetico. Dobbiamo lavorare su idroelettrico, eolico, fotovoltaico e solare, ma soprattutto dobbiamo predisporre l'Italia di tutte le tecnologie utili a non pagare a prezzo maggiorato ciò che potremmo fare nel nostro Paese. Sul gas estratto tramite un nuovo utilizzo delle trivelle, mi pare abbastanza evidente che se strutturiamo un piano di installazione delle rinnovabili possiamo progressivamente farne a meno.

Cosa ne pensate dei termovalorizzatori?

Per noi è un no all'incenerimento, in qualunque forma lo si voglia chiamare, perché è uno spreco di risorse e non risolve il problema. Noi sappiamo che anche alcune classi di materiali, che attualmente sono considerati "riciclati" in realtà bisognerebbe considerarli "subriciclati", cioè la loro possibilità di essere utilizzati con un utilizzo uguale alla materia prima originale non sussiste.

Questo non vuol dire che siamo contro il riciclo, anzi noi proponiamo questo nel nostro programma tramite impianti di trattamento della materia, ma il fatto è che si devono ridurre tutti gli imballaggi e le plastiche. Ogni imballaggio deve essere marchiato e poi possibilmente ogni prodotto dovrebbe essere il più eterogeneo possibile tramite un processo di ridesign, penso alla bottiglia di plastica che contiene tre tipi diversi di questo materiale.

In questo caso bisognerebbe andare a parlare con i produttori. Poi c'è il problema del colore delle plastiche e il numero: in Italia ci sono 600 tipologie. Inoltre, come Italexit vorremmo intervenire modificando le norme che escludono dal riciclaggio tutte le plastiche che non vengono configurate come imballaggi.

Ma la vera sfida sarà la raccolta differenziata dei rifiuti domestici, innanzitutto va fatta in modo migliore: più separata e con una maggiore  educazione sulle plastiche. Come scriviamo sul programma, vorremmo ridurre la produzione di rifiuti di almeno 100 kg/pro capite. Per quanto possa sembrare strano, il cittadino virtuoso non è quello che produce poco indifferenziato, ma quello che produce meno di tutto. L'esempio che io faccio sempre è il seguente: se io producessi 200 kg all'anno di rifiuti e 50 kg di differenziata, sarei più o meno virtuoso di un cittadino che produce 1000 kg di rifiuti totalmente differenziati? Il problema delle quantità rimane.

A questo punto le chiedo, come si produce meno?

Innanzitutto riducendo il numero degli imballaggi, noi abbiamo sul mercato dei prodotti che hanno 5 involucri diversi, bisogna ridurli a due come fanno in Germania. Poi bisogna ridurre l'usa e getta per quanto riguarda le bevande, noi siamo il terzo Paese al mondo per quanto riguarda il consumo in bottiglia. Noi abbiamo il maggior numero di acque minerali al mondo e ci riduciamo alla bottiglia di plastica, questo è un grandissimo problema che va risolto, con l'educazione e con una tassazione come fanno in Finlandia.

Noi in Italia paghiamo un euro per una bottiglia d'acqua, di cui 95 centesimi di recipiente e 5 soltanto di acqua. Questo ci fa capire che dobbiamo promuovere il consumo dei prodotti alla spina. Dobbiamo strutturare un sistema capillare, sarà un percorso lungo ma va fatto. Noi tra l'altro non siamo neanche per la sostituzione 1 a 1, ovvero no alla sostituzione di una bottiglia di plastica con una Bio e no con il vuoto a rendere, perché banalmente se sostituissimo tutto con alluminio e vetro avremmo un problema di gestione dei vuoti e anche di logistica.

Per quanto riguarda la frazione organica bisogna immediatamente procedere a un compostaggio organico e, se possibile, il compostaggio di prossimità per i centri abitati più piccoli.

Tra le vostre proposte c'è una legge quadro per l'uso e il consumo del suolo, qual è la vostra visione?

Il consumo del suolo è un tema di cui si è sempre parlato ma non si è fatto mai nulla per cambiare le norme. Bisogna stabilire che il principio deve essere demolizione e ricostruzione e non nuova urbanizzazione, quindi oltre a una legge quadro serve una nuova sistemazione dei piani urbanistici locali. In Italia c'è la brutta concezione che ci siano vuoti da riempire.

Al contrario quei vuoti devono diventare punti verdi che diano nuova linfa ai centri urbani. Poi bisogna bonificare il territorio, noi abbiamo circa il 10% del territorio italiano che è contaminato, ricompreso nei SIN (Siti Interesse Nazionale) e SIR (Siti di Interesse Regionale) che sono stati una truffa e un modo per mettere i territori in mano alla Regione che non hanno i mezzi per intervenire. Un piano di bonifica con investimenti è necessario ed è fondamentale per restituire territori all'Italia con tecnologie di bonificazione, che portano un valore aggiunto al nostro Paese.

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