L’ipossia da azoto è una metodica che rientra nell’ambito delle esecuzioni di carcerati condannati a morte.
Ne hai sicuramente sentito parlare perché lo scorso 25 gennaio è stata applicata per la prima volta al mondo su un uomo di 58 anni, condannato nel 1989 per l’omicidio di una donna commissionatogli dal marito.
Al di là della discussione sulla pena di morte in sé, la tecnica di ipossia da azoto è stata molto criticata non solo dai presenti, giornalisti e testimoni, ma anche dagli esperti delle Nazioni Unite perché considerata pari a una forma di tortura.
Proviamo a capire meglio.
Gas incolore, inodore, non infiammabile e stabile, l’azoto non è un elemento tossico per l’uomo così com’è: considera che rappresenta il 78,1% nell’aria che respiriamo.
Quando però supera una certa concentrazione nell’aria, è in grado di ridurre la quantità di ossigeno presente al suo interno, diventando estremamente pericoloso e dunque mortale.
La tecnica dell’ipossia da azoto sfrutta questo concetto perché il detenuto condannato a subire questa procedura viene privato dell'ossigeno e costretto a respirare solo questo gas.
La metodica prevede che l’individuo venga posto su una barella e sul viso gli venga poi applicata una maschera simile a quelle utilizzate in ambienti industriali per fornire ossigeno salvavita ma attraverso cui viene invece fatto fluire l’azoto.
Qui si sono aperte le critiche perché si prevedeva che l'uomo avrebbe perso conoscenza in meno di un minuto e sarebbe morto subito dopo ma sembra che le cose siano andate in maniera diversa, e che ci siano voluti diversi minuti in più.
Secondo le autorità penitenziarie il sistema sarebbe rimasto in funzione per circa 15 minuti – come da protocollo – e l’uomo sarebbe rimasto cosciente per diversi minuti dall’inizio dell’esecuzione, avrebbe tremato e si sarebbe contorto per i due minuti successivi per poi effettuare lunghi e profondi prima di spegnersi.
John Hamm, responsabile del Dipartimento carcerario dell'Alabama, durante la conferenza stampa ha spiegato che ci sarebbero stati dei “movimenti involontari e un po’ di respiro agonico, ma era tutto previsto ed è negli effetti collaterali che abbiamo visto e studiato sull’ipossia da azoto. Quindi, niente fuori dall’ordinario rispetto a ciò che ci aspettavamo”.
Per altri testimoni, invece, sarebbe stata un’agonia. Come aveva sottolineato a gran voce anche l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, la procedura di ipossia da azoto non è priva di rischi.
Se la maschera non viene sigillata perfettamente al volto dell’individuo, c’è la possibilità che faccia passare dell’ossigeno prolungando quindi l’esecuzione e esponendo il detenuto al rischio di finire in uno stato vegetativo.
Non solo: passare diversi minuti a bassi livelli di ossigeno può provocare anche conati di vomito. In questo caso, il detenuto potrebbe dunque morire soffocato dal suo stesso vomito.
Ravina Shamdasani, portavoce dell’OHCHR, aveva affermato infatti che l’esecuzione con questa particolare procedura “nuova e mai testata prima potrebbe equivalere a una tortura o un altro trattamento o punizione inumana o degradante ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani”.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani infatti avrebbe chiesto alle autorità statali dell’Alabama di fermare l’esecuzione e di astenersi dal compiere passi verso qualsiasi altra esecuzione in questo modo.
Shamdasani aveva anche specificato che l’American Veterinary Medical Association ancora oggi raccomanda di somministrare un sedativo anche agli animali di grandi dimensioni prima di essere sottoposti all’eutanasia in questo modo.
Lo stato dell’Alabama però non ha previsto alcuna sedazione.
Fonte | Nazioni Unite