Dal «sì» allo «stop»: come siamo arrivati ad autorizzare e poi vietare lo scarico di rifiuti radioattivi in mare?

Iniziata nel 1946, l’attività di sversamento di rifiuti nucleari negli oceani è continuata per almeno quattro decenni. Solo nel 1972 venne stipulata la Convenzione di Londra per la prevenzione all’inquinamento marino: da quel momento passano circa 10 anni prima che la pratica venne abolita definitivamente.
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Rubrica a cura di Kevin Ben Alì Zinati
21 Novembre 2022

L’era del «sea dumping» è iniziata nel 1946 ed è andata avanti per almeno quattro decenni, fino a quando la pratica non venne del tutto vietata.

Nel mezzo ci sono stati diversi step, come la prima riunione del gruppo consultivo dell’AIEA sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi in mare del 1957 o la prima Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare dell’anno successivo.

Nel 1972 venne poi stipulata la Convenzione di Londra per la prevenzione all’inquinamento marino, nota come London Dumping Convention. La Convenzione rappresentò una vera svolta perché non rappresentò solo uno dei primi documenti globalmente pensati per proteggere l’ambiente marino dalle attività umane.

Gli anni ‘70 videro infatti per la prima volta la nascita di una forma di controllo e prevenzione sull’inquinamento del mare attraverso il divieto di scarico di materiali considerati pericolosi da imbarcazioni, aerei, piattaforme e altre strutture artificiali. Adottata nel ’72, la Convenzione entrò in vigore solo 3 anni dopo.

Fin dai suoi albori, quello del «nucleare» è stato un tema divisivo in ogni sua declinazione. Ad amplificare ulteriormente la confusione sulla questione rifiuti e sversamenti è stata la mancanza di una regolamentazione chiara in grado di guidare l’industria nella gestione e scarico di scarti e sostanze.

Solo gradualmente l’uomo ha preso coscienza del crescente e pericoloso aumento dell’inquinamento dell’ambiente, e quindi solo lentamente ha avviato una serie di riflessioni per capire e stabilire quali sostanze avrebbero potuto essere oggetto di dumping e quali invece avrebbero dovuto essere tenute a terra. Come puoi immaginare non fu un’opera semplice.

La responsabilità venne lasciata in capo alla AIEA, che allo stesso tempo si assunse anche il compito di fornire raccomandazioni sui processi di smaltimento stesso.

Nel ’74 l’Agenzia fornì una definizione provvisoria di quale materiale radioattivo poteva o non poteva essere buttato in mare, unitamente però a una serie di autorizzazioni speciali per lo scarico di rifiuti radioattivi di bassa e media attività. Gli esperti internazionali proposero le cosiddette «liste nere e grigie». 

Si tratta di elenchi di sostanze per le quali il «dumping» doveva essere vietato, contenuti nella «lista nera», e di sostanze che, con determinate precauzioni, potevano essere rovesciate in mare, la «lista grigia». Di fatto, insomma, fino a quel momento qualcosa ancora si poteva gettare in acqua.

Quella definizione fu rivista quattro anni dopo, così come i criteri per le autorizzazioni speciali. «Le revisioni – si legge in un documento AIEA – riflettevano la crescente conoscenza dell’oceanografia e il miglioramento delle capacità di valutazione».

Contemporaneamente, gli Stati firmatari della Convenzione di Londra, nel 1978 (e poi nel ’85) proposero la stesura di un inventario globale dei materiali radioattivi che entrano nell’ambiente marino da tutte le origini e nella riunione del 1988, la richiesta venne ufficialmente rivolta all’AIEA.

Mentre la Convenzione prendeva sempre più forma e superava i passaggi burocratici verso l’ufficiale entrata in vigore, le attività di «sea dumping» intanto diminuivano ma non si fermavano. Solo nel 1982 cominciò a cambiare qualcosa.

Una decina di anni più tardi, nel 1993, la Convenzione di Londra vietò definitivamente l’affondamento di qualunque tipo di rifiuto radioattivo in mare. Merito anche della Convenzione Ospar – Convenzione per la protezione dell’Atlantico nord orientale (l’acronimo unisce le due convenzione di Oslo e Parigi) del 1992.

Da questa data abbiamo dunque cominciato a prevenire ed eliminare l’inquinamento marino nella zona dell’Atlantico nord orientale dagli effetti dannosi delle attività umane. Tra cui quella nucleare.

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Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…