Gli Stati Uniti sono stati grandissimi scaricatori di materiale radioattivo in mare. Secondo i dati dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, prima del 1970 sono riusciti a buttare in acqua quasi 90mila contenitori, disseminandoli tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico.
Ma gli Usa, purtroppo, sono in buona compagnia. La fisica di Enrico Fermi, poi la Seconda Guerra mondiale con Hiroshima e Nagasaki avevano inaugurato l’era dell’atomo e ben presto la maggior parte dei paesi industrializzati del mondo aveva finito per avviare i propri esercizi nucleari, declinati sia a scopi militari che civili.
Insieme alla ricerca era inevitabilmente iniziata anche l’era del «sea dumping» e degli sversamenti di rifiuti atomici in mare. Da quel primo fusto post-bellico datato 1946, altri 12 Paesi hanno utilizzano le acque del Pianeta come discarica dei propri scarti nucleari. Almeno fino al 1993, data dello stop ufficiale a qualsiasi tipo di attività.
I Paesi Bassi hanno lasciato affondare nell’Atlantico del Nord 7420 contenitori, la Francia oltre 46mila mentre il Belgio si è «sbizzarrito» ancora di più facendo scivolare sui fondali oltre 55mila fusti di materiale radioattivo.
C’è stato chi ci è andato un po’ più piano, come la Svizzera (7420 fusti), il Giappone (con 3mila) o la Svezia, che ha riversato 2895 nell’Atlantico e 230 nel Mar Baltico.
La Germania, a 450 chilometri dalle coste del Portogallo ne ha gettati in mare «solo» 480 e in una volta sola, la Nuova Zelanda si è limitata a 9, la Corea del Sud a 115. Altri invece ci danno dentro. Il Regno Unito per esempio ha avuto un’attività di «sea dumping» così lunga (dal ’49 al ’82) che oggi non c’è un numero preciso di quanti contenitori abbia davvero buttato in mare.
Abbiamo solo una stima più o meno univoca del volume di materiale radioattivo riversato in acqua, pari a 74mila tonnellate.
Di ciò che ha fatto l’Unione Sovietica invece abbiamo un bel po’ di dati. Sappiamo che ha sversato più di 190metri cubi di liquidi radioattivi nel mare Artico, 6508 container di rifiuti solidi, 6 reattori nucleari situati verosimilmente su imbarcazioni militari e un contenitore «speciale» con del combustibile nucleare esaurito.
Ah, sì, nella lista c’è pure l’Italia. Anche noi siamo andati al largo delle coste britanniche, nell’Atlantico, con le nostre navi cariche di fusti radioattivi e anche noi abbiamo utilizzato il mare come una discarica gratuita.
Certo, ci siamo limitati a una sola uscita e a «soli» di 100 container carichi: in ogni caso però non siamo stati a guardare.
I fondali sono pieni di materiale radiaottivo, senza contare poi tutto il materiale affondato in seguito a incidenti di sottomarini o imbarcazioni «nucleari».
Secondo la Agenzia Internazionale per l’energia Atomica, la radioattività affondata negli oceani da parte di tutti i paesi del mondo si attesterebbe circa sugli 85.000.000 giga-becquerel (il Becquerel è l’unità di misura del Sistema Internazionale per misurare l’attività di un radionuclide ovvero il numero di decadimenti che avvengono in 1 secondo in un materiale).
Considera poi che gli oceani contengono circa 17 mila miliardi di giga-becquerel di radioattività naturale dovuta alla sola presenza del Potassio-40.