“Esploro i miei limiti esplorando la natura”, l’Ultra Cycling di Omar di Felice

In questa nuova puntata di 3 per la Terra abbiamo incontrato Omar di Felice, atleta estremo di Ultra Cycling e divulgatore, che ci ha raccontato i suoi viaggi alla scoperta dei luoghi più estremi del Pianeta e degli effetti della crisi climatica che stiamo vivendo.
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Rubrica a cura di Beatrice Barra
4 Luglio 2024

C'è chi trova calma e rifugio in una cascina in campagna, chi sdraiato sotto il sole in riva al mare, chi tra le mura della propria casa. Poi c'è chi, come l'ospite di questa nuova puntata di 3 per la Terra, lo trova pedalando tra le strade dei luoghi più estremi del Pianeta.

Ti sto parlando di Omar di Felice, atleta estremo di Ultra Cycling e divulgatore sul tema della mobilità e "da qualche anno, anche sulla crisi climatica".

Il suo lavoro – che coincide con la sua passione – lo porta in giro per i luoghi più complessi e delicati del Pianeta, dove può pedalare in sella alla sua bici, vedere un orizzonte diverso ogni mattina fuori dalla sua tenda e osservare gli effetti della crisi climatica da vicino, come ghiacciai che si ritirano o montagne senza neve.

In cosa consiste l'Ultra Cycling?
L'Ultra Cycling è tutto quello che va oltre il ciclismo tradizionale. Gare di oltre 300 km, lunghe traversate e competizioni anche di 5/6/7mila chilometri, come la Transamerica in modalità non-stop. Il tutto nei luoghi più estremi e più difficili del Pianeta.

Cosa rappresenta per te questo sport?
Per me l'Ultra Cycling è l'esplorazione dei miei limiti personali attraverso l'esplorazione della natura. Sin da subito ho cercato quelli  i luoghi più estremi e difficili da attraversare in bicicletta. Ho un amore, che non nascondo minimamente, per quelli che sono i luoghi più freddi della Terra. I due Poli sono quelli che mi hanno attratto maggiormente durante tutta la mia carriera, fino ad arrivare all'ultima traversata di oltre 700 chilometri e 48 giorni in quello che è definito per eccellenza il luogo più estremo, remoto e isolato del pianeta: l'Antartide.

Cosa ti ha sorpreso maggiormente?
La fusione dei ghiacci si sta manifestando in tutta la sua crudezza. Perdere il ghiaccio significa anche perdere un importante patrimonio. In Antartide ci si va per studiare la storia climatica del Pianeta, per esempio attraverso i carotaggi di ghiaccio che servono per analizzare i vari strati e ricostruire la storia. È un po' come se entrassimo in una biblioteca e bruciassimo tutti i libri che raccontano la nostra storia, la storia dell'essere umano, la storia del Pianeta. La cosa particolare di questi luoghi è che sono incredibilmente estremi e severi, ma al tempo stesso hanno un'immensa fragilità. Sono gli indicatori maggiori della crisi climatica che stiamo vivendo, anche se ormai basta  aprire la finestra, affacciarsi e vedere le montagne per capirne lo stato di salute.

Un altro luogo in cui hai notato maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici?

L'Islanda. La frequento da circa 18 anni in maniera costante, ci vado ogni anno. Quest'anno, prima della partenza per l'Antartide, sono stato nuovamente sul Langjökull, il terzo ghiacciaio per superficie di tutta quanta l'Islanda. Ogni anno trovo il fronte del ghiacciaio ritirato sempre di più e ogni volta mi assale un grande senso di tristezza. Come quando vuoi bene una personae la vedi sfiorire, ti dispiace. Vedere sfiorire così la natura è qualcosa che non mi lascia indifferente, soprattutto perché vivo a stretto contatto con la natura e in sella alla mia bici ho la possibilità di osservarla senza alcun filtro e senza nessuna barriera.

Perché scegliere la bici?
In macchina, così come in un ambiente chiuso, abbiamo sempre un filtro: il parabrezza, il vetro, qualcosa che ci separa e non ci permette di respirare l'aria, di sentire bene i suoni di quello che ci accade intorno, non ci permette di vedere bene l'orizzonte davanti a noi.  E poi la bicicletta è il mezzo ideale per andare a una velocità che ci consenta di cogliere ogni dettaglio intorno a noi, ma allo stesso tempo di andare veloci abbastanza da riuscire a coprire grandi distanze se lo si vuole e ci si allena. Per me è anche un modo anche di vivere le mie giornate, di intendere la mobilità e gli spostamenti in maniera più leggera e in maniera più salutare. Suggerisco sempre a tutti quanti di provare la mattina, una volta nella vita, prendere la bicicletta e andare al lavoro in bicicletta. E poi ditemi come vi come vi siete trovati e quali sono le sensazioni che vi lascia durante tutto l'arco della giornata.

Com'è nata questa passione?

Quando ero molto giovane. Avevo circa 13 anni e ho avuto la fortuna, come tutti quelli della mia generazione, di vivere l'epopea di Marco Pantani che ha messo in bicicletta anche chi non sapeva com'era fatta una bicicletta. Quindi da lì ho iniziato a percorrere le strade del ciclismo tradizionale fino ad arrivare al professionismo, ma avevo dentro me l'ambizione di di fare qualcosa che fosse definibile impresa. Allora ho cercato il senso dell'impresa attraverso  le traversate che realizzo in questi luoghi così estremi, ma anche affascinanti del mondo.

Che sensazioni provi mentre sei in questi luoghi?

Uscire da una tenda, alzare gli occhi e vedere l'orizzonte a chilometri e chilometri di distanza è di per sé qualcosa che riempie la mente, riempie il cuore e dà un relax psicologico ed emotivo. Invece, quando mi muovo nelle città, alzo gli occhi e vedo che l'orizzonte più lontano è a poche decine di metri, perché l'ultimo obiettivo che riesco a focalizzare è il palazzo di fronte o la strada sotto le mie ruote, mi sento in gabbia. Un mio amico dice che quando salgo in sella cambio aspetto, mi cambia lo sguardo. Io questa cosa non riesco a notarla, però sicuramente provo calma nel momento in cui mi siedo sul sellino e assumo quella postura. Mi calmo. C'è qualcosa dentro di me che rallenta.

Com'è la situazione in Italia per chi vuole spostarsi in bici?
Manca la cultura di una mobilità alternativa all'auto. Molte persone scelgono l'auto nonostante per il proprio tragitto casa-lavoro sia il mezzo più sconveniente dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista dell'efficienza in termini di tempo. Una volta creata la cultura, dobbiamo chiedere alle nostre istituzioni che ci sia un ripensamento anche dell'architettura delle nostre città. Questo non significa bruciamo le macchine, abbattiamo gli aerei o smettiamo di fare qualunque attività, ma facciamolo con una consapevolezza maggiore, senza abusare.

Qual è la cosa più sostenibile che fai?

Il mio progetto Bike to 1.5°, che prevede una divulgazione nelle scuole. Mettere a disposizione il mio tempo lavoro, il mio tempo volontario, il mio impegno e l'impegno di altre persone che collaborano con me in termini scientifici e non, per cercare di creare una consapevolezza che dia ai ragazzi quello che non abbiamo avuto noi: una consapevolezza maggiore del problema e gli strumenti migliori per affrontarlo.

Quella meno sostenibile?

Sono di una generazione cresciuta con la cultura dell'automobile a tutti i costi, si beve l'acqua della bottiglia perché l'acqua del rubinetto fa male, si mangia carne a colazione a tutte le ore, quindi tutta una serie di abitudini che sto cercando di scardinare. Ci sto riuscendo, ma se penso alla strada che c'è da fare, penso che c'è veramente un'autostrada da percorrere, altro che attraversare l'Antartide… L'imposizione non porta mai a niente di buono e spesso dopo l'imposizione c'è il rifiuto, ma se si fanno le scelte in maniera ragionata e comprensibile, magari ci vuole un po' più di tempo, ma poi mettono delle radici molto profonde.

Le tue 3 per la Terra?

La prima è gentilezza. Credo che dovremmo essere tutti più gentili verso noi stessi, verso il prossimo e verso l'ambiente circostante. La seconda parola è essenzialità. Nel mio caso, ovviamente, è un'esigenza perché in bici ho uno spazio ridotto, quindi devo fare delle scelte e portare con me solo quello che mi serve per soddisfare bisogni primari. Non chiedo alle persone di vivere con i fornelli e ricavare l'acqua dalla fusione della neve, però possiamo fare tutta una serie di azioni che ci riportino maggiormente all'essenzialità. L'ultima è limiti. L'uomo si è sentito un po' onnipotente. In realtà non è vero, abbiamo dei limiti. Quello che io faccio è esplorare i miei limiti, talvolta nell'esplorare riesco a superarli, altre volte mi accorgo che sto andando troppo in là. Lo stesso facciamo con il con il Pianeta: abbiamo costruito ovunque, disboscato qualunque cosa e coltivato dove non si poteva coltivare. Dobbiamo cominciare a prenderci un più cura e riconoscere maggiormente quelli che sono i limiti, sicuramente l'esplorazione è un buon modo per farlo.

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Polentona acquisita e curiosa instancabile. Sono a Milano dal 2016 e scrivo per passione da quando ho cinque anni. Amo il altro…