Nelle scorse puntate di Green Happiness ti ho parlato di trasporti, turismo, tempo libero e istruzione ma un altro grande tema di cui non ci possiamo dimenticare è il lavoro. È l'attività che, volente o nolente, occupa gran parte della nostra giornata, il perno su cui ruota ogni nostro movimento o decisione e la fonte del nostro guadagno, che ha enormi implicazioni. Lo stipendio che riceviamo ci permette, o meno, di avere un certo stile di vita, di possedere beni, di mostrarci alla società come appartenenti alla classe sociale desiderata. Il denaro, insomma, sarà l'argomento centrale di questa puntata e, accanto ad esso, tutto ciò che di psicologico gli gira attorno, compresa la nostra salute mentale e il rispetto per l'ambiente (che non ci crederai, ma c'entra anche in questo caso).
Il lavoro dovrebbe essere diretta conseguenza delle nostre passioni. Ciò che ci fa alzare dal letto con uno spirito propositivo e che ci fa coricare la sera soddisfatti e consapevoli delle nostre capacità. Eppure, in moltissimi casi viene percepito come quel sacrificio quotidiano utile solo a permetterci di pagare l'affitto o il mutuo e qualsiasi altra spesa accessoria desideriamo fare. L'interesse economico ha sostituito quello intellettuale, l'utilità ha preso il posto del piacere. Ma per farti capire meglio ciò di cui sto parlando, andiamo per gradi.
Se quando ti devi presentare la seconda cosa che dici dopo nome e cognome è la tua professione, dovresti riflettere. O meglio, è normale che accada, ma chiediamoci perché il lavoro abbia assunto un peso così significativo nella costruzione della nostra identità. Dalla Seconda rivoluzione industriale e, soprattutto, dal boom economico della metà del secolo scorso, nulla è più stato come prima. Sempre più persone hanno raggiunto un livello di benessere economico senza precedenti che ha concesso loro di salire di livello nella "scala sociale".
Il bisogno di denaro ha subito un'impennata significativa, ciò ha stimolato la produzione e, quindi, il consumo crescente di materie prime. L'effetto collaterale, però, è stato l'innesco della crisi ecologica a cui stiamo assistendo tuttora. "Abbiamo messo in crisi gli ecosistemi locali e il pianeta stesso – scrive Stefano Bartolini in "Ecologia della felicità" – prelevando dall'ambiente sempre più risorse naturali e scaricandovi sempre più rifiuti, per sostenere un numero di persone sempre più grande ognuna delle quali produce e consuma sempre di più".
Come abbiamo detto all'inizio però, l'implicazione è anche psicologica. Il neo-liberismo e il sogno americano del "se vuoi, puoi" hanno riportato in auge l'antico motto latino "homo homini lupus", ovvero, ognuno vede nel prossimo un nemico, un ostacolo alla propria realizzazione lavorativa perché fare meglio e arrivare prima degli altri è l'obiettivo da perseguire. Ci siamo rintanati nel nostro orticello, coltivandolo con gelosia e dimenticandoci dei beni comuni. L'estrema competizione, lo sgretolamento delle relazioni umane e il mancato rispetto per l'ambiente ne sono le conseguenze.
Ritornare indietro ora non è facile, nonostante iniziamo a renderci conto del malessere diffuso. Rinunciare ai beni materiali che abbiamo accumulato e alla cultura capitalista che abbiamo introiettato significa rischiare il fallimento professionale e privato. Come ricorda Bartolini, "molti capiscono che l'economia attuale non è sostenibile ma immaginano una vita con meno consumi come più difficile, scomoda, cupa, faticosa e meno divertente; in una parola, meno felice. È l'equazione soldi-felicità il motivo per cui un progetto per limitare la crescita incontra pochi consensi". Detto questo, quel è la via d'uscita?
I soldi fanno davvero la felicità? Sì, ma fino a un certo punto. Il livello di guadagno permette sì uno stile di vita agiato ma troppo spesso finisce per essere una consolazione ad altre mancanze. Quella del contatto con la natura, ad esempio, e quella di tempo libero da passare con le persone a noi care. Se dirigessimo la nostra attenzione a questi due fattori, gratis e a zero impatto ambientale, la produzione industriale avrebbe meno motivi per crescere, così come, conseguentemente, il nostro bisogno di lavorare. Ampliare la disponibilità e la qualità dei beni comuni, come le aree cittadine e l'aria che respiriamo, farebbe del denaro un bisogno meno centrale.
La felicità è la realizzazione del proprio potenziale di vita.
Questo concetto è legato a ciò che abbiamo detto prima: ci concentriamo sempre sull'utilità delle nostre azioni. Tutto è finalizzato a uno scopo meramente economico. Quando è stata l'ultima volta che hai fatto qualcosa solo perché ti rendeva felice? Come mi ha spiegato il professor Stefano Zamagni, economista e docente di Economia Politica all'Università di Bologna, "la felicità è la realizzazione del proprio potenziale di vita. Bisogna dissociare il concetto di felicità da quello di utilità perché quest'ultima, insieme al consumo, danno solo una soddisfazione momentanea".
Che il lavoro stesse assorbendo completamente le nostre energie e non ci facesse sentire completamente appagati ce ne siamo resi conto soprattutto nel periodo del Covid. Il fenomeno delle grandi dimissioni deriva da un momento in cui ci siamo guardati allo specchio e ci siamo chiesti se lo stile di vita da sempre assunto ci rendesse davvero felici. La risposta per molti è stata un no. "I lavoratori sembrano cercare un significato più profondo nel lavoro e non vogliono identificarsi esclusivamente con esso – mi ha spiegato la dottoressa Marianna Bove, psicologa e psicoterapeuta del centro Santagostino. – Nel contesto post-pandemia si è registrata una crescente consapevolezza dei rischi legati al workism, quella visione distorta del lavoro come unico motore di realizzazione e felicità che ci spinge a sacrificare altri aspetti importanti della vita. I lavoratori stanno riconsiderando le proprie priorità e il periodo di lockdown e il successivo lavoro in smart li hanno portati a rallentare e a dedicarsi ad attività personali che erano state messe da parte".
Per tirare le somme, un lavoro ci occorre, senz'ombra di dubbio, ma ci dovrebbe appassionare e, soprattutto, non deve essere un ostacolo alla realizzazione di altri progetti di vita che devono, quelli sì, essere la parte più sostanziosa della nostra identità. Può aiutare in questo un'attività lavorativa in modalità ibrida (in parte in ufficio e in parte a casa) che abbatte gli spostamenti e ci permette di avere più tempo per noi. Se ci impegniamo in questo avremo un work-life balance soddisfacente e una qualità di vita nettamente migliore e, allo stesso tempo, risparmieremmo un bel po' di emissioni inquinanti. Come riporta uno studio ENEA del febbraio 2023, infatti, il lavoro a distanza permette di evitare l’emissione di circa 600 chilogrammi di anidride carbonica all’anno per lavoratore (-40%), con notevoli risparmi in termini di tempo (circa 150 ore), distanza percorsa (3.500 km) e carburante (260 litri di benzina o 237 litri di gasolio).
Anche le aziende, dal canto loro, si sono rese conto dell'urgenza di un cambio di rotta. "L'attenzione al benessere dei lavoratori è sempre più rilevante per le aziende – continua Bove – poiché un ambiente lavorativo positivo può influire positivamente sulla produttività e sulla retention dei dipendenti. La comunicazione aperta con i colleghi e con i superiori, il clima organizzativo favorevole, poter condividere le proprie difficoltà e cercare soluzioni collaborative per affrontare i problemi sul lavoro migliorano la soddisfazione lavorativa e il benessere emotivo. La figura del Chief Happiness Officer potrebbe essere un segnale di questa crescente sensibilità". Questa nuova figura professionale è esattamente ciò di cui avremmo bisogno sul luogo di lavoro, un intermediario, all'interno del dipartimento delle risorse umane, che concilia esigenze di produzione e salute mentale dei dipendenti.
Se le persone sono soddisfatte, non hanno bisogno di comprare e inquinare.
Con i soldi non si può comprare ogni cosa, è questo ciò che dovremmo ricordarci, anche perché ciò che più ci può rendere felice non ha nemmeno un prezzo. Come ha aggiunto Zamagni, "se le persone sono soddisfatte, non hanno bisogno di comprare e inquinare", e in effetti il segreto sta proprio qui, nel dirottare la nostra attenzione dal denaro alla serenità, quella vera, quella spontanea a cui non necessitano beni materiali.
Fonti | "Potential Benefits of Remote Working on Urban Mobility and Related Environmental Impacts: Results from a Case Study in Italy" pubblicato su Applied Sciences nel febbraio 2023; Stefano Bartolini, "Ecologia della felicità", 2021, Aboca.