I videogiochi possono diventare una dipendenza per bambini e ragazzi: c’è un maggior rischio in isolamento a casa?

Ragazzi che non riescono a staccarsi dal proprio videogioco preferito e che rischiano di non dedicarsi a nient’altro, scuola compresa. Si tratta nella maggior parte dei casi di una vera e propria dipendenza, che nasconde un disagio, una sofferenza. Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Giulia Tomasi, psicologa psicoterapeuta ad orientamento costruttivista.
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Gaia Cortese 10 Aprile 2020
Intervista alla Dott.ssa Giulia Tomasi Psicologa psicoterapeuta ad orientamento costruttivista

Nel momento in cui il gioco diventa più importante di qualsiasi attività o interesse della vita e diventa impossibile riuscire a gestire il tempo che si passa davanti allo schermo per giocare da solo o in compagnia di altri utenti collegati in rete, è probabile che ci si trovi davanti a una dipendenza dalle tecnologie, nello specifico, dai videogiochi. Un problema che è sempre più diffuso e che non coinvolge solo ragazzi e adulti, ma anche bambini delle scuole elementari. Ne abbiamo parlato con Giulia Tomasi, psicologa psicoterapeuta ad orientamento costruttivista.

Come si riconoscono i sintomi di una dipendenza dalle tecnologie?

Bisogna proprio partire dalla definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha fatto entrare nell’elenco delle proprie malattie il gaming disorder, riferendosi esplicitamente alla dipendenza da videogiochi. Tra i sintomi principali c’è il bisogno costante di aumentare il tempo dedicato al gioco (si pensa di voler giocare 20 minuti, ma senza accorgersene diventano 40 minuti o un’ora), il tutto associato ad altre problematiche come la depressione, gli attacchi di rabbia, che si evidenziano ogni qualvolta un ragazzo non ha possibilità di giocare al videogioco, per esempio, in seguito a un castigo ricevuto dai genitori. Così, se non posso giocare, ho un attacco di rabbia o una crisi di pianto. La dipendenza da videogiochi si manifesta proprio con la perdita di controllo sulla gestione del tempo e del gioco. Penso ai bambini, ai ragazzi, ma anche ai giovani adulti che, non vivendo in un contesto famigliare, possono cadere facilmente in questa incapacità di gestire il tempo dedicato al gioco.

Quali sono le principali cause che portano a questa dipendenza?

Una dipendenza mette radici nella vita di una persona quando c’è difficoltà a gestire problemi di sofferenza e dolore. Così, si cade nella dipendenza del gioco d’azzardo, nella dipendenza da internet e via dicendo. È sempre un tentativo di trovare una soluzione a un problema. Il profilo di chi cade in una dipendenza non è banalmente un ragazzino sciocco, piuttosto quello che non ha amici, che si sente perseguitato e che decide di passare il proprio tempo su un videogame, in cui magari è anche molto bravo. Nel caso della dipendenza da internet, c’è un vero e proprio switch dalla vita reale a quella virtuale e i ragazzi, ma anche diversi adulti, hanno l’illusione che le relazioni qui siano più semplici: se per esempio litigo, posso spegnere il videogioco, se non voglio rispondere, posso fingere di non vedere una notifica, se sbaglio a fare un video su Tik Tok posso sempre rifarlo.

Oltretutto, in Rete non c’è presenza fisica: l’adolescenza è un momento particolare e delicato perché il corpo cambia e i ragazzi non possono controllare questo cambiamento. Al contrario, online possono scegliersi un avatar e anche decidere come vestirlo. Perché Fortnite ha fatto miliardi? Perché in questo gioco si può avere il controllo del proprio aspetto su internet, tant’è che molti arrivano a investire addirittura soldi sulla creazione del proprio avatar.

In termini di dipendenza da videogiochi l’età si è abbassata?

Assolutamente, sì. Io lavoro molto anche con le scuole e da diversi anni abbiamo attivato un progetto, Navigare a Vista, che ha lo scopo di indagare come la tecnologia stia influenzando lo sviluppo e la crescita dei ragazzi nati dopo l'anno duemila, i cosiddetti nativi digitali. Abbiamo cominciato con le scuole medie, principalmente con le classi seconde e terze, ma adesso che collaboriamo con una trentina di scuole, lavoriamo anche con le classi quarte e quinte delle elementari, fino alle superiori. Ogni età ha una sua specificità, e le scuole hanno capito che è necessaria un'educazione al digitale.

È vero che dei bambini sono cosi presi dai videogiochi da non andare più a scuola?

Sì, ed è il primo sintomo che mette in allarme scuola e genitori. Il resto magari viene un po’ minimizzato, ma nel momento in cui un bambino salta la scuola, oltretutto siamo nella scuola dell’obbligo, il problema è evidente. Sono situazioni complicate, i genitori sono in difficoltà, magari non sanno neppure cosa stia facendo il proprio figlio davanti al computer e di conseguenza non sanno come arginare il problema. Molti ragazzini arrivano a puntarsi la sveglia in piena notte per giocare di nascosto, e poi finiscono per addormentarsi sul banco di scuola. Pensano di poter giocare solo mezz’ora e poi lo fanno fino alle 4 del mattino.

Molti ragazzini arrivano a puntarsi la sveglia in piena notte per giocare di nascosto, per poi addormentarsi sul banco di scuola la mattina dopo.

Se alle elementari è forse più semplice fermarli, già in una classe di seconda media non lo è, perché è facile dover gestire degli scatti di rabbia di un ragazzo già alto 1.80 m, nel momento in cui si cerca di togliergli la play station o il cellulare.

In un periodo di isolamento come quello che stiamo vivendo, i problemi possono aumentare?

È chiaro che in questa situazione c’è più tempo a disposizione per stare davanti ai videogiochi, ma non è necessariamente un comportamento legato ad un uso disfunzionale. Il videogioco non è in sé un male. Molti videogame sono utili, cooperativi, anche molto belli, con narrazioni e avventure interessanti. Se il videogioco non toglie tempo ad altro, non è negativo. Dal punto di vista della quantità, è ovvio che se aumenta il tempo, probabilmente aumenterà anche il gioco.

Il problema nasce nel momento in cui si è convinti che la vita virtuale sia migliore della vita reale.

Quello che deve farci preoccupare è un problema di dipendenza che nasce quando si fa fatica a stare nella sofferenza. Essere chiusi in casa perché fuori c’è una pandemia può mettere ansia, ma magari ci sono anche conflitti in casa, un fratello grande alla prese con le problematiche adolescenziali o dei genitori che fino a quel giorno si pensava convivessero serenamente e invece si scopre essere separati in casa. Il problema è rifugiarsi nel videogioco perché li si sta meglio o essere convinti che la vita virtuale sia migliore della vita reale.

Se nel periodo di pandemia mi annoio a casa, vivo in un appartamento al quinto piano senza uno spazio all’aperto di cui usufruire e gioco ad un videogioco, va bene, purché faccia anche altro. Questo per spiegare che la prevenzione ha poco senso se è incentrata sul tempo dedicato al videogioco.

Piuttosto i genitori dovrebbero mettere in atto un altro tipo di interazione, vale a dire trovare tutti i giorni un momento per parlare con il proprio figlio. Basta chiedere, per esempio, “A cosa o con chi stai giocando?", "Hai qualche nuovo amico?". È necessario aprire il dialogo anche sulla vita virtuale.

A questo si possono aggiungere delle regole sul tempo trascorso sui videogiochi, ma occorre capire perché sto dando un’ora di permesso per giocare piuttosto che due o tre: voglio controllare mio figlio? Oppure voglio che conquisti una sua autonomia nella gestione del gioco?

Nel momento in cui mi sono chiarito questi punti, si può trovare un punto di incontro insieme, perché in questo caso, anche le trattative vanno benissimo.

Dialogare sulla regola data fa riflettere sia i genitori sia i ragazzi, fa capire il senso della regola stessa. Se la mamma ha dato un’ora di permesso per giocare, perché è importante che io faccia anche altre cose, non importa se un giorno gioco 50 minuti, e un altro giorno un'ora e 10 minuti: l'importante è capire che non ci può essere solo il momento del videogioco. Altrimenti ci ritroviamo ad avere anche ventottenni che, se non c’è la mamma che li tira giù dal letto al mattino, non si svegliano neppure perché hanno giocato tutta la notte. Bisogna capire le ragioni delle limitazioni date.