Il 24 marzo si conclude la Conferenza ONU sull’Acqua 2023, ma cosa stiamo facendo per il mare? Intervista a Marevivo

Come si stanno muovendo l’ONU e i Paesi membri delle Nazioni Unite per rispondere alle crisi idriche e alla gestione dell’acqua nelle aree più esposte a rischio? Dal 22 marzo al 24 marzo in tutto il mondo il dibattito è ruotato intorno a un obiettivo comune: garantire l’accesso all’acqua a tutte le persone del mondo, per evitare che una cattiva gestione delle risorse idriche e il cambiamento climatico portino a nuovi conflitti.
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Francesco Castagna 24 Marzo 2023
Intervista a Raffaella Giugni Responsabile relazioni istituzionali di Marevivo

Il 24 marzo 2023 si conclude la Conferenza delle Nazioni Unite sull'Acqua, un'occasione importante per i Paesi membri, che hanno avuto l'opportunità di poter discutere delle politiche legate all'accesso alle risorse idriche e all'importanza di garantire a tutti un approvvigionamento d'acqua sana e pulita. Secondo l'ONU infatti, 2,2 miliardi di persone non hanno acqua potabile sicura, a 4,2 miliardi mancano i servizi igienico-sanitari e circa 700 milioni di persone in tutto il mondo potrebbero dover spostarsi a causa della scarsità d'acqua entro il 2030.

A tal proposito, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha detto che: "I disastri legati all'acqua sono più che raddoppiati nell'ultimo decennio. E i Paesi meno in grado di resistere sono i più colpiti. Abbiamo bisogno di azione e ne abbiamo bisogno ora. Rafforziamo la capacità dei sistemi di allerta precoce, delle comunità e dei Paesi di resistere ai disastri naturali". Tutti Paesi delle Nazioni Unite si stanno muovendo per realizzare l'obiettivo 6 dell'Agenda 2030 dell'ONU e per evitare che si verifichino ulteriori guerre per l'acqua.

“Ma l’acqua è in guai seri”, ha avvertito Guterres, “stiamo prosciugando la linfa vitale dell’umanità attraverso il consumo eccessivo e l’uso insostenibile dei ‘vampiri’, facendola evaporare attraverso il riscaldamento globale. Abbiamo interrotto il ciclo dell’acqua, distrutto ecosistemi e contaminato le falde acquifere.

L'Italia quest'anno ha presentato il nuovo rapporto sullo stato delle strutture e delle risorse idriche del nostro Paese: il Blue Book. Altri Paesi, invece, stanno portando avanti una serie di iniziative per far fronte a un problema globale. Tra queste, due sono da segnalare senza dubbio per la loro portata:

  • La "Freshwater challenge", ovvero una sfida per l'acqua dolce guidata da Colombia, RD Congo, Ecuador, Gabon, Messico, Zambia con l'obiettivo di ripristinare 300.000 km di fiumi e 350 milioni di ettari di aree umide (Laghi, stagni, lagune, paludi, acquitrini, fontanili, risorgive e torbiere) entro il 2030
  • 49 miliardi di dollari da parte degli Stati Uniti d'America di investimenti per l'accesso all'acqua

"Il mondo ci sta osservando", ha detto Csaba Kőrösi, Presidente della 77a sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, "questa conferenza non è un luogo per negoziare posizioni, vantaggi e compromessi. Vi invito a deliberare soluzioni che siano basate sulla scienza, sostenibili, pragmatiche e solidali".

E l'Italia? Il ministro per l'Ambiente e la Sicurezza Energetica Pichetto Fratin, che è intervenuto in occasione della Conferenza dell'ONU sull'Acqua, ha affermato che:

  • Il nostro Paese ha mobilitato 4,38 miliardi di euro in 5 anni di fondi PNRR
  • Il governo si sta muovendo per rispondere alla crisi idrica, istituendo un tavolo di coordinamento con nuovi strumenti di legge
  • In programma c'è un piano di potenziamento della capacità di monitoraggio delle acque e di prevenzione dei rischi, tramite un investimento di 600 milioni di euro al 2026
  • Sono stati investiti 357 milioni di euro per la rinaturazione del Fiume Po

È stato fatto e detto molto in questi giorni per garantire l'accesso all'acqua a tutte le persone, ma come si stanno muovendo le nazioni per l'acqua "salata"?. Di recente l'ONU aveva già ottenuto un accordo storico per quanto riguarda gli Oceani: le Nazioni Unite infatti da adesso in poi dovranno impegnarsi per salvaguardare una parte della biodiversità dell’Alto mare: il 30% entro il 2030.

L'Italia non ha sbocchi sull'oceano, ma svolge un ruolo chiave nella tutela del mare, essendo al centro del Mar Mediterraneo. E il nostro Paese? Per via di alcune leggi che non sono ancora entrate in vigore, la tutela dei nostri mari procede a rilento. A segnalarlo sono soprattutto le associazioni ambientaliste, come Marevivo.

Abbiamo parlato con Raffaella Giugni, responsabile relazioni istituzionali di Marevivo, per fare un punto della situazione sulle leggi che ci aiuterebbero a tutelare il nostro mare.

Giugni, voi avete lanciato recentemente un appello al governo sui decreti attuativi che dovrebbero rendere operativa la Legge Salvamare. Cosa chiedete precisamente?

La Legge Salvamare è stata approvata a maggio dello scorso anno ed è entrata in Gazzetta a giugno. Sono passati nove mesi e ancora non ci sono i decreti attuativi, il che vuol dire che la legge effettivamente non è in vigore. Quello che prevede la Salvamare è molto importante, perché ci aiuta a ridurre l'inquinamento del mare, da una parte permette ai pescatori di riportare a terra quello che finisce nelle loro reti e di recuperare un po' di plastica che è finita in mare, dall'altra parte la legge prevede altri interventi pratici, uno di questi è lo sbarramento alle foci dei fiumi, che permette alla plastica di non arrivare a mare, perché l'80% di questi rifiuti finisce in mare attraverso i fiumi.

La stessa cosa vale per la direttiva europea SUP (Single Use Plastic), che è stata recepita dall'Italia a Gennaio del 2022, ancora non ha i decreti attuativi, quindi all'atto pratico non è operativa. Se non rendiamo operative queste leggi sarà difficile tutelare il nostro patrimonio marittimo. Questo perché la maggior parte della plastica che finisce negli oceani è monouso, stiamo parlando del 40% dei rifiuti gettati dall'essere umano. Sono tonnellate di plastica che continuano a finire nell'ambiente in attesa che il governo faccia questi decreti attuativi. Sicuramente non si risolve totalmente il problema con i decreti attuativi di queste due leggi, però sono tutti strumenti che aiutano a migliorare la situazione.

Il ministro Musumeci aveva detto a metà gennaio che avrebbe portato il tema dei decreti attuativi della Salvamare al prossimo Consiglio dei Ministri possibile. Sono passati tre mesi ma non è ancora successo nulla. Perché secondo lei? 

Purtroppo non lo sappiamo. È una legge che è in discussione da circa quattro anni e che era stata rivista e revisionata da tutti, quindi non avrebbe dovuto trovare grandi ostacoli. Peraltro, non mi sembra che leda gli interessi di nessuno, perché si tratta di poter riportare a terra la plastica che è in mare. Non vedo dove possa esserci un problema. È chiaro che forse l'unico ostacolo è di tipo logistico, perché questa plastica quando arriva nei porti deve essere destinata nelle isole ecologiche. C'è sicuramente un tema logistico, ma non mi sembra insormontabile onestamente.

Sulla SUP probabilmente il motivo è più chiaro, dal momento che potrebbero esserci anche delle pressioni da parte dei produttori della plastica.

Per quanto riguarda la Salvamare, c'è chi pensa che ci siano troppi ostacoli burocratici per la realizzazione dei dissalatori. Cosa ne pensa? 

Noi come associazione abbiamo fortemente voluto che ci fossero una serie di step autorizzativi per la realizzazione di questo tipo di impianti, non si tratta solo dell'iter, ma anche come vengono fatti, dove vengono posizionati, perché il vero problema dei dissalatori sono i residui (salamoia). Quella norma serve a migliorare lo stato attuale delle cose.

Ci sono novità per quanto riguarda il tavolo sulle politiche per il mare?

No, non ci sono ancora delle decisioni ufficiali. Noi ci siamo anche fatti sentire come associazione, facendo sapere al governo che saremmo disponibili a contribuire con il nostro lavoro. So che sicuramente ci stanno lavorando, capisco che le emergenze siano tante, ma anche questa lo è e rischia di diventarlo sempre di più. Il problema della siccità è collegato alla situazione degli oceani, alle politiche per il clima e a tutto quello che sta succedendo. C'è un'urgenza, sicuramente, di avere anche questo tavolo.

Di recente è stato approvato un accordo per quanto riguarda l'Alto Mare, che impone ai Paesi membri delle Nazioni Unite di salvaguardare il 30% delle aree marine entro il 2030. Cosa ne pensa e in che modo si tradurrà in realtà?

Intanto siamo molto contenti, è un buon passo avanti. È chiaro che è un obiettivo molto ambizioso, anche perché le acque internazionali al momento sono acque che vengono utilizzate e sfruttate sia per la pesca che per le esplorazioni minerarie. Non sarà facile ottenere una vera protezione. È un ottimo segno, noi monitoreremo affinché questa decisione venga messa in pratica, c'è una necessità assoluta di proteggere delle aree del mare, perché altrimenti non saremo in grado di fare in modo che si rigeneri. Ci vorrà tempo perché tutto ciò si realizzerà, anche perché ogni Paese dovrà capire come muoversi. Senza dubbio ci si rende finalmente conto dell'importanza che ha il mare.