Tra qualche mese prenderà il via una sperimentazione che potrebbe segnare la svolta nella lotta all'HIV e di conseguenza all'AIDS (ti ricordo che il primo è il virus e la seconda è la malattia conclamata). La Food and Drug Administration ha infatti approvato l'uso sperimentale della tecnologia di gene-editing, sviluppata nei laboratori della Temple University di Philadelphia dal professor Kamel Khalili, in collaborazione con un gruppo di ricerca dell'Università Statale di Milano guidato dal professor Pasquale Ferrante. Potranno quindi iniziare i test clinici sui pazienti che permetteranno di verificare se questo specifico utilizzo della tecnica CRISPR possa portare effettivamente alla definitiva eliminazione del virus dalle cellule.
Ma facciamo un passo indietro. Sono più di 38 milioni le persone che convivono con l'infezione da HIV in tutto il mondo, secondo i dati di UNAIDS. Di questi, 1,8 milioni sono bambini con meno di 15 anni. La maggior parte vive nei Paesi in via di sviluppo e in particolare nella vasta area dell'Africa sub-sahariana. Ma stiamo parlando di un problema che esiste ed è ben presente anche in Italia. Sul sito del Policlinico di Milano si stimano 4mila nuove diagnosi in media ogni anno e un ulteriore 30% di casi "sommersi", ovvero che non vengono individuati. UNAIDS ha calcolato che nel nostro Paese ci siano in tutto 140mila pazienti cronicamente affetti da HIV.
Chi è in cura segue la HAART, una terapia antiretrovirale che ha permesso in questi anni di ottenere risultati molto importanti: evitare che il virus si replichi e quindi provochi i sintomi dell'AIDS, evitare che un paziente sieropositivo e aderente alla terapia possa trasmettere il virus al proprio partner, permettere in generale una vita normale. Ma presenta anche qualche svantaggio: "Può provocare degli effetti collaterali non trascurabili – ci spiega il professor Ferrante, Ordinario di Microbiologia e Virologia all'Università degli studi di Milano e professore aggiunto presso il dipartimento di Virologia e Immunologia della Temple University. – Inoltre i pazienti vanno incontro a un invecchiamento precoce. In media la differenza biologica tra due persone della stessa età, di cui una sieropositiva, è di 15 anni".
Si tratta di farmaci che dovranno essere assunti per tutta la vita perché fino ad ora non siamo riusciti a trovare il modo di eradicare il virus dalle cellule. "L'HIV, come d'altronde altri virus, muta continuamente all'interno del corpo umano – prosegue il professore. – E a mano a mano che la terapia riesce a eliminare le mutazioni precedenti, se ne selezionano delle nuove. Un meccanismo che viene chiamato appunto ‘immune escape‘ e che rende difficile poter eliminare del tutto il patogeno". Ma l'HIV presenta anche un'altra caratteristica, ancora più problematica: "Possiede un enzima costitutivo che si chiama trascrittasi inversa e svolge un lavoro molto complesso. Una volta infettata la cellula, il virus, che è a Rna, si riscrive in DNA provirale e si integra nel genoma stesso della cellula. Di conseguenza, la cellula per tutta la durata della sua vita avrà il potenziale di riprodurre il virus".
Professore, veniamo ora alla terapia genica e in particolare al farmaco che avete sviluppato, l'EBT-101: che ruolo può avere in questo contesto?
La terapia genica EBT-101 si basa sull'utilizzo della tecnologia CRISPR, che a sua volta parte dallo studio dei batteri. Questi microorganismi quando vengono infettati riescono a eliminare il DNA estraneo, tagliandolo grazie ad alcuni enzimi che possiedono naturalmente, il CRISPR e il Cas9 appunto. Il nostro obiettivo è sfruttare questa capacità nei confronti dell'HIV.
E come si può fare nel concreto?
Il farmaco viene somministrato per via endovenosa ed è dotato di Rna guida che possono indicare in quali punti è corretto "tagliare" il DNA della cellula per liberarla dal virus. Se il procedimento funziona, la cellula alla fine risulterà sana. Potremmo dunque arrivare alla radice del problema, eliminare definitivamente il patogeno dai santuari in cui si rifugia (principalmente i linfonodi) ed evitare che un paziente debba assumere terapie per tutta la vita. Si tratterebbe della prima cura definitiva per l'infezione.
Intanto è arrivata l'approvazione da parte di FDA per il suo uso in fase sperimentale…
L'approvazione di FDA è fondamentale perché ci consente di partire con le fasi 1 e 2 dei trial clinici che serviranno per valutare in prima battuta la sicurezza e la tollerabilità del farmaco sull'essere umano.
Quando cominceranno i test?
Inizieranno negli Stati Uniti entro la fine del 2021 e arruoleranno dapprima un piccolo numero di pazienti sieropositivi, in terapia HAART e con un livello rintracciabile di virus molto basso o addirittura non rintracciabile. Se i risultati saranno positivi, si allargherà la coorte di partecipanti e si potranno coinvolgere anche Paesi dell'Unione europea, tra cui l'Italia. Ma si parla più o meno della primavera del 2022.
Come avverrà la sperimentazione?
Lo schema terapeutico che abbiamo ipotizzato al momento è piuttosto semplice. Prevede infatti un sola iniezione per poi verificare se l'eradicazione del virus sia effettivamente avvenuta. Dopodiché dovremo monitorare se sospendendo la terapia l'infezione si riformi oppure no.
In caso funzioni, si potrebbe pensare di utilizzare questa terapia anche nei Paesi in via di sviluppo?
Assolutamente sì. La terapia antiretrovirale ha il problema di essere molto costosa, mentre se il gene-editing funzionasse sarebbe sufficiente una sola iniezione. Almeno all'inizio, però, dovrebbero comunque essere utilizzate assieme.