Palm Islands: come le isole artificiali di Dubai hanno danneggiato l’ecosistema del Golfo Persico

Cosa comporta costruire un’isola artificiale dove prima c’era solo il mare? Per capirlo basta osservare i fondali marini e le coste di Dubai, dove il sindaco Amhed Bin Sulayem nel 2001 ha creato 56 km di nuova costa, danneggiando irreversibilmente il delicato ecosistema del Golfo Persico.
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Rubrica a cura di Beatrice Barra
5 Maggio 2023

Sai che c’è una palma che si può vedere dalla luna?

Così veniva promosso nei primi anni 2000 uno dei progetti urbanistici più ambiziosi della storia: l’arcipelago di Palm Islands. Realizzato sulle coste di Dubai, l’arcipelago è formato da 3 isole artificiali (di cui una è ancora all’inizio della costruzione) con una caratteristica unica: hanno la forma di una palma, con una mezzaluna attorno che fa da barriera alle onde.

Le “isole delle palme” sono nate dopo un grandioso boom di acquisti di case e terreni a Dubai. Non essendoci quasi più spazio da occupare sulla costa della città, quale trovata migliore, per attirare turisti, di creare nuovi resort sfarzosi e di lusso in mezzo al mare? Il problema, però, è  l’impatto ambientale che ha la costruzione di un'isola dove prima c'era solo mare.

Come nasce Palm Island

Tutto ha inizio nel 2001 quando il sultano di Dubai, Amhed Bin Sulayem, ebbe appunto l’idea di creare nuova terra in mezzo al mare. Così, nel giro di soli 5 anni, è sorta Palm Jumeirah: 56 km di nuova costa, nel Golfo Persico, un’area dell'Oceano Indiano quasi completamente chiusa fra territori con un clima caldissimo e arido.

Fonte: Google Earth

Già di suo il Golfo Persico è un’area marina particolare, in cui è stata riscontrata una temperatura di circa 35°, nella superficie dell’acqua e un'elevata salinità. Queste condizioni particolari permettono al Golfo di ospitare diversi habitat marini come barriere coralline, mangrovie e praterie di alghe che hanno imparato a sopravvivere in questo clima.

Il dragaggio, una minaccia per i fondali e le specie locali

Fin dai primi giorni di lavori, a seguito del dragaggio, cioè la raccolta della sabbia dai fondali marini e il suo successivo rideposito, l'habitat marino si è irreversibilmente danneggiato. L’attività di costruzione, che ha interessato almeno 75 km2 di fondale marino, ha soffocato o seppellito barriere coralline, letti di ostriche e campi sotterranei di erba marina, minacciando le specie locali. Questo prelievo forzato di sabbia ha reso le acque, tipicamente cristalline del golfo di Dubai, torbide impedendo alla vegetazione, O, almeno, a quella che non è già stata spazzata via nella raccolta di sabbia, di ricevere la luce del sole.

La costa naturale di Dubai sta scomparendo

Ma i problemi non riguardano solo i fondali marini. Se le spiagge di Palm Jumeirah attireranno sempre più turisti, le spiagge della costa naturale di Dubai stanno scomparendo.

Si sente parlare spesso del mare che inghiotte km di spiagge e la costa di Dubai non è esclusa, con un’unica differenza: è principalmente colpa delle isole artificiali. La sola presenza delle isole artificiali blocca il percorso delle correnti. Se normalmente la corrente spinge in modo equilibrato la sabbia lungo la costa mantenendola dritta, la costruzione di una mega struttura, come Palm Jumeirah, così vicino alla costa, ha alterato il movimento delle onde costringendo queste correnti a spostarsi e curvare in maniera innaturale. Per questo la corrente sta cambiando la forma della costa: in alcuni punti la sabbia si è accumulata allargando la spiaggia mentre in altri la spiaggia ha perso sabbia.

Solo Palm Jumeirah ha tolto alla spiaggia naturale di Dubai circa 40 chilometri, ovvero oltre il 60% dei 65 km di litorale.

L’unica soluzione? La manutenzione costante

Ogni anno, per non deludere migliaia di turisti che arrivano a Dubai per godersi il divertimento, il sole e le spiagge, grandissime quantità di sabbia vengono spostate attraverso lo stesso processo di raccolta e il successivo rideposito con un unico obiettivo: domare la natura che cerca di ristabilire gli equilibri naturali.

Per ridurre e tentare persino di invertire alcuni degli effetti dannosi, gli ingegneri cercheranno di costruire delle barriere artificiali al completamento delle isole. Infatti sembrerebbe che le barriere intorno alle isole possano fornire un nuovo habitat per specie di alghe e pesci che normalmente vivono in coste rocciose, scogliere e lagune sabbiose poco profonde, molto diverse da quelle che c'erano prima.

Ma anche in questo caso si sono lasciati prendere un po’ la mano.

Affondare relitti per attrarre pesci (e turisti)

L’idea è infatti quella di affondare diversi relitti: navi o aeromobili, una volta sott'acqua, sembra che possano contribuire ad attrarre pesci, oltre a fornire un'esperienza di immersione più suggestiva per i turisti.

Sebbene questo metodo abbia dimostrato di avere successo in alcuni luoghi, sicuramente gli habitat artificiali non possono sostituire gli ecosistemi naturali. Il rischio è che questi oggetti estranei allontanino la fauna originaria e attirino specie straniere, che potrebbero prendere il sopravvento e persino distruggere l’ecosistema nei dintorni di Dubai.

Quando la  ricerca del lusso distrugge gli ecosistemi naturali

La trilogia di isole dell’arcipelago artificiali di Palm Island (insieme ad altri progetti come “The World”, un complesso di 300 isole tutte artificiali che dall’alto somiglia al planisfero e oggi è ancora disabitato), è senza dubbio, dal punto di vista ingegneristico, una delle opere più grandiose e rivoluzionarie.  Allo stesso tempo, però, è necessario comprendere che costruire delle enormi isole di sabbia e rocce in un ecosistema già stressato dalle alte temperature della zona, provoca enormi cambiamenti nella fauna selvatica e nei processi naturali dell'area.

Così facendo ci ritroveremo città piene di lusso e sfarzo completamente sconnesse dall’ambiente circostante e che, anzi, rischiano di modificarlo e danneggiarlo Quando invece dovremmo capire che sviluppo e rispetto dell’ambiente non possono prescindere l’uno dall’altro.

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Polentona acquisita e curiosa instancabile. Sono a Milano dal 2016 e scrivo per passione da quando ho cinque anni. Amo il altro…