
Esiste un luogo congelato nel tempo da 50 anni: ti sto parlando di Varosha.
Se da lontano può sembrare una normalissima cittadina di mare, con spiagge dorate e acque limpide, appena ti avvicini scopri che è fatta di strade deserte e di edifici abbandonati. Circondata da un recinto di filo spinato, sotto sorveglianza militare costante, Varosha è una zona proibita, con una storia che vale la pena raccontare.
Cipro, oltre a essere la terza isola più grande del Mar Mediterraneo dopo Sicilia e Sardegna, è un paese diviso in due.
Nel corso dei secoli, il controllo dell'isola è stato conteso da numerosi imperi. La maggioranza degli abitanti, sin dall’epoca antica, è di etnia greca, anche se dal 1570 l’isola fu conquistata dall’Impero Ottomano e da allora è abitata da due culture: i turchi e i greci. Nonostante le difficoltà, le due comunità hanno convissuto fino al 1974, anno in cui l’isola venne letteralmente divisa in due.
Ma perché si è arrivati a questa drastica decisione? Per capirlo dobbiamo tornare al 1960, quando Cipro aveva ottenuto l’indipendenza come Repubblica di Cipro, con una Costituzione che consentiva a entrambe le etnie di essere rappresentate all’interno del Governo. Fu stipulato anche un trattato internazionale in base al quale il Regno Unito (di cui Cipro era diventata una colonia a fine 800), la Grecia e la Turchia si facevano garanti di questo equilibrio, con diritto di intervenire militarmente in caso di minaccia. Situazione che si verificò, perché questo equilibrio è durato molto poco.
Nel 1974 la Grecia organizzò un colpo di stato con l'obiettivo di unificare l'isola e annettere l’isola alla Grecia. In risposta la Turchia, appellandosi al trattato del 1960, invase l’isola e occupò la parte nord-orientale, e da quel momento nulla fu più come prima.
Il generale Peter Young, comandante delle forze britanniche sull'isola, tracciò (con una matita verde) una linea sulla mappa di Nicosia, la capitale, per separare i quartieri greci e turchi e fermare i combattimenti. Dopo poco, questa "Linea Verde" fu estesa a tutta l'isola, diventando una linea di cessate il fuoco lunga 180 km e che copre un'area di circa 350 km². Ancora oggi quest’area è sotto il controllo delle Nazioni Unite.
È proprio al confine di questa area, sulla costa est, che si trova Varosha, Maraş in turco, quartiere meridionale della città di Famagosta.
Diventata famosa negli anni 60/70 come destinazione tra le più glamour del Mediterraneo, Varosha era il porto più importante dell’isola e la maggior parte della ricchezza della Cipro greca veniva proprio da questa città. Contava 39.000 abitanti, quasi tutti greci-ciprioti, che nel periodo estivo arrivano fino a 100.000. Gli oltre 55 alberghi ospitavano turisti provenienti da tutto il mondo, tra cui attori famosi come Elizabeth Taylor e Brigitte Bardot, tutti attratti dalle incantevoli spiagge.
Ma tutto è cambiato la mattina del 14 agosto 1974.
Dopo il colpo di stato greco, l'esercito turco occupò la parte nord dell'isola, inclusa Famagosta. L'invasione costrinse circa 150.000 greci-ciprioti, residenti di Famagosta, ad abbandonare le loro case e tutto ciò che possedevano, senza sapere che non sarebbero mai più tornati. Si rifugiarono nel sud dell'isola, lasciando dietro di sé case, mobili, vestiti, fotografie e ricordi. Varosha fu bombardata e, da quel momento, il quartiere, completamente abbandonato e sotto il controllo turco, fu sigillato e pattugliato dall'esercito.
Oggi, Varosha è una città morta, ferma al 1974. Le strade sono deserte, gli edifici si stanno deteriorando e sono invasi dalla vegetazione. Questo rappresenta un enorme spreco di risorse, considerando che al momento dell'invasione, Varosha era nel pieno del suo sviluppo e stavano costruendo nuovi edifici per accogliere turisti. Devi considerare che la produzione di cemento, utilizzata per costruire case e strade, contribuisce al 5% delle emissioni globali di CO2, soprattutto nella fase di "cottura" di calcare, argilla e marna. Ora questi edifici, abbandonati per oltre 50 anni, si stanno deteriorando. La corrosione delle strutture potrebbe rilasciare nel suolo e nelle acque sostanze tossiche come piombo, mercurio fino all’amianto, noto per causare gravi malattie respiratorie come il mesotelioma e l'asbestosi. Nel 2002, una ricerca ha identificato 110 edifici pubblici ciprioti contenenti materiali di amianto.
La vegetazione nel frattempo si sta riprendendo i suoi spazi, invadendo gli edifici abbandonati e contribuendo al ripristino della flora e della fauna in via di estinzione. Un esempio significativo sono le spiagge, che, libere dai turisti, sono diventate nidi per le tartarughe marine. Ennesima dimostrazione di come la natura possa rigenerarsi quando le attività umane si riducono, creando nuovi habitat.
Eppure, nonostante il filo spinato che delimita il confine e i cartelli che avvertono i turisti che "foto e film sono proibiti", Varosha è diventata una sorta di attrazione turistica per chi è affascinato dalle città abbandonate e dalla storia che raccontano.
Mentre i residenti esiliati appendono regolarmente lettere al filo spinato, sperando di poter riavere un giorno le loro case, nell'ottobre 2020, dopo 46 anni di abbandono, una piccola parte della città è stata ufficialmente riaperta con finalità turistiche. Questo significa che nessun residente di quei tempi ha potuto fare rientro nella propria abitazione, ma che le autorità turco-cipriote hanno deciso di sfruttare il fascino di questo luogo attraverso percorsi prestabiliti, un'attività condannata dall'Assemblea del Consiglio d'Europa e dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Perché la situazione di Varosha non è solo un problema ambientale, ma soprattutto politico. Questa città fantasma è un simbolo del conflitto irrisolto tra le comunità greco-cipriota e turco-cipriota, un tempo fiorente, e rappresenta ancora oggi una ferita aperta nella storia di Cipro.
Negli ultimi anni si è iniziato a parlare di avviare la riqualifica di Varosha. L'ultima volta il discorso è stato intavolato nel 2021, in occasione delle celebrazioni per il quarantasettesimo anniversario dell’intervento militare sull’isola, quando il presidente turco Erdogan ha dichiarato di voler riaprire la località ai visitatori, annunciando la smilitarizzazione del 3,5% del sito e la sua trasformazione in un’area residenziale da sfruttare commercialmente. Questi progetti sembrano però dimenticare che le case in questo territorio appartengono a dei greco-ciprioti che da oltre 50 anni non possono fare ritorno.
Ad oggi, tutti i tentativi fatti dalle tre presidenze del Consiglio dell'UE nel 2005, 2006 e 2010, nonché il piano generale di Biden per Famagosta nel maggio 2014, per conseguire un "pacchetto globale" che prevedeva la restituzione di Varosha ai suoi abitanti originali sotto l'amministrazione dell'ONU in cambio di altri elementi, sono falliti. Anche le proposte avanzate dai leader greco-ciprioti in merito alla restituzione di Varosha non hanno avuto successo.
Sia la Commissione per le petizioni del Parlamento europeo che l'ONU concordano che la Turchia vede in Varosha una delle principali monete di scambio nel finale dei negoziati di risoluzione della questione territoriale e che l'unico modo per risolvere i conflitti tra le due comunità e riunire Cipro, compresa la restituzione di Varosha ai suoi abitanti, sia un accordo tra i leader delle due comunità. Eppure, le tensioni politiche e le questioni legali continuano a bloccare ogni progresso. Nel frattempo, abbandono, deterioramento e sofferenza continuano.
Dopotutto ci troviamo davanti a due comunità formate entrambe da rifugiati che hanno subito enormi perdite economiche e affettive.
La storia di Varosha è quindi un monito di come i conflitti possano distruggere non solo vite umane, ma anche intere comunità, il loro patrimonio e l'ambiente circostante. È un richiamo alla necessità di trovare soluzioni pacifiche e durature per i conflitti, affinché tragedie come quella di Varosha non si ripetano.