Un'enorme quantità di gas tossico che fuoriesce da una fabbrica di pesticidi, scatenando uno dei più gravi disastri industriali mai visti. È così che inizia la storia di Bhopal, nell’India centrale, che il 3 dicembre 1984 in poche ore si trasformò in una vera e propria camera a gas. Almeno 3.800 persone persero la vita e altre 300.000 subirono gravi problemi di salute: difficoltà a respirare, malattie neurologiche, malformazioni congenite nei bambini nati dopo l’evento, tutti avvelenati dall'aria che respiravano.
La fabbrica di Bhopal, la Union Carbide India Limited (UCIL) di proprietà della Union Carbide Corporation UCC, multinazionale chimica statunitense, fu aperta nel 1969, durante la cosiddetta “rivoluzione verde”: non quella che intendiamo oggi con questa espressione, ma un grande aumento della produzione di cereali alimentari. L’India usciva da un periodo in cui aveva sofferto una grave carenza di cibo a causa della siccità, così il governo incoraggiò la produzione locale di fertilizzanti e pesticidi per aumentare rapidamente la produzione di cibo per la popolazione di tutto il Paese. Per questo motivo lo sviluppo di questi prodotti fu ben accolto, tanto che il Governo fornì persino il terreno per realizzare l'impianto chimico con un contratto di locazione di quasi un secolo.
Quando lo stabilimento dell'UCIL aprì, portò con sé un’ondata di posti di lavoro. Per farti capire: Bhopal in quell'anno contava circa 300.000 abitanti e quasi tutte le aree intorno allo stabilimento erano deserte, nonostante fosse vicino al centro storico. In soli 15 anni, la popolazione triplicò, arrivando a 900.000 abitanti e molti si stabilirono abusivamente proprio intorno alla fabbrica, incuranti del pericolo.
Quando ti parlo di "pericolo" intendo che alla UCIL non veniva prodotto un pesticida qualunque, ma il "SEVIN". Per la produzione di questo insetticida — innocuo per l’uomo, secondo gli standard di allora — era necessario trattare gas estremamente tossici tra cui il MIC, l’isocianato di metile. Questo, oltre che letale, è un gas considerato "difficile", perché reagisce con l’acqua.
L'UCIL non si limitò al semplice utilizzo di questo gas; nel 1980, iniziò a produrlo sul luogo, ma i tempi d’oro durarono poco.
I pesticidi di nuova generazione in fase di sviluppo negli Stati Uniti e in Europa in breve tempo portarono a cercare sempre meno “SEVIN” e ben presto lo stabilimento di Bhopal fu in perdita. Nell'autunno del 1984 funzionava solo circa 1/5 della struttura e la manutenzione scarseggiava.
Tra crisi economica e malfunzionamenti ignorati, si arriva alla notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, quando all’interno della fabbrica ci fu un’infiltrazione di acqua in un serbatoio che conteneva circa 42 tonnellate di MIC. La reazione fu immediata: il liquido a contatto con l’acqua creò un esplosione di calore, trasformandolo in un vortice gassoso che iniziò a viaggiare lungo le tubature.
Nonostante i vari tentativi per neutralizzare la fuoriuscita del gas tossico, la manutenzione inadeguata, i sistemi di sicurezza difettosi e la mancanza di dipendenti specializzati, fecero sì che il gas si liberasse come un geyser sopra l'impianto. In breve tempo, circa 35 tonnellate di gas si dispersero nell’aria. La nuvola di gas avvolse un'area di oltre 40 chilometri quadrati, colpendo mezzo milione di persone.
Gli abitanti della zona si svegliarono in un incubo: tosse, occhi che bruciavano, nessuno riusciva a respirare. Il panico si diffuse rapidamente a causa della mancanza di informazioni su cosa fare. Per di più, la polizia di Bhopal era mal organizzata e non riuscì a gestire la situazione. Anche per i medici il lavoro non era semplice: senza conoscenze specifiche sul gas e sui trattamenti necessari, fecero il possibile per fornire assistenza, ma non servì.
Non si sa esattamente quante persone morirono quella notte. Secondo i dati ufficiali sono circa 5mila le vittime riconosciute dal governo, ma altre fonti — come Amnesty international — parlano di circa 10.000 persone morte entro tre giorni dall'incidente.
I sopravvissuti hanno sviluppato un'ampia gamma di malattie croniche e debilitanti causate dall'esposizione al gas, tra cui: disturbi respiratori, malattie agli occhi, danni al sistema immunitario, malattie neurologiche, tumori, nonché aborti spontanei e nascita di bambini con malformazioni congenite. Queste patologie hanno alzato la quota delle vittime a un numero che va dalle 15 alle 30mila morti premature — e un numero ancora più grande di danni permanenti.
L’avvelenamento di Bhopal non è finito qui. Dopo il disastro la fabbrica fu abbandonata e le sostanze chimiche rimaste all'interno negli anni si sono disperse nell'ambiente, inquinando acqua e suolo con agenti nocivi e metalli pesanti. La diffusione di queste sostanze tossiche ha raggiunto i 3,5 km di distanza dalla fabbrica, penetrando il terreno fino a oltre 30 metri di profondità e avvelenando lentamente, giorno dopo giorno, le persone che vivono intorno all'ex fabbrica.
Ci sono voluti anni perché venisse riconosciuto il fatto che anche l’acqua di tutta la zona fosse contaminata e che gran parte delle attuali patologie dipenda proprio da questo. Già nel 1997, in risposta alle prove emergenti di contaminazione dell'acqua, 250 pompe a mano attorno allo stabilimento furono dipinte con cartelli rossi, dichiarando che l'acqua fornita non era potabile. Tuttavia, non avendo altre fonti d’acqua, la maggior parte delle persone nelle comunità continuava a utilizzare quelle contaminate.
Solo nel 2004, dopo una lunga battaglia legale tra società e governo, la Corte Suprema Indiana ha obbligato il governo dello Stato del Madhya Pradesh — lo stato indiano di cui Bhopal è la capitale — a fornire acqua potabile sicura. Inizialmente erano solo 14 le comunità ritenute a rischio di avvelenamento a causa dell’acqua contaminata, poi si scoprì che la contaminazione era molto più estesa. Solo 10 anni dopo, terminarono i lavori per creare una nuova rete di tubi per portare nelle case acqua pulita dal fiume Narmada, ma la situazione non era neanche lontanamente risolta.
La lentezza e l'inefficienza della risposta dello Stato hanno solo peggiorato le cose. Questi nuovi tubi, infatti, passavano proprio attraverso le fognature contaminate, entrando in contatto con l’acqua tossica durante le giornate di pioggia e lasciando i residenti esposti alla contaminazione.
La dimostrazione è arrivata nel 2017, quando indagini approfondite hanno rivelato che la contaminazione dell'acqua si era estesa a nuove aree. Questo fenomeno è stato confermato dall'aumento di aborti spontanei e disturbi nello sviluppo osservati anche tra i residenti che non erano stati esposti direttamente al gas, le cui patologie, quindi, erano causate dall'acqua contaminata.
La responsabilità per il disastro e per la contaminazione è rimasta una questione controversa per anni.
Il CEO della Union Carbide —Warren Anderson — fu accusato di omicidio nel 1985 e successivamente venne effettuata una richiesta di arresto e di estrazione dagli Stati Uniti che, però, non fu mai realizzata. Nel 1989 La UCC, dopo anni di battaglie legali, ha accettato di pagare 470 milioni di dollari al governo indiano come risarcimento.
Ma per molti non era abbastanza: i sopravvissuti al gas, varie ONG, fino al governo dello Stato del Madhya Pradesh, hanno intentato varie cause e una petizione per opporsi, ritenendo che questa somma fosse insufficiente rispetto al danno causato.
A Marzo 2023, la Corte Suprema Indiana ha respinto definitivamente l’ultima petizione, affermando che non esisteva alcuna base giuridica per perseguire la società anni dopo l’incidente. Insomma, la Corte si è pronunciata contro ulteriori procedimenti, ponendo definitivamente fine alla lunga battaglia legale sulla risoluzione del disastro di Bhopal.
A distanza di 40 anni, la tragedia di Bhopal è ancora una ferita aperta. I sopravvissuti e le nuove generazioni continuano a lottare non solo per un risarcimento adeguato, ma anche contro le conseguenze a lungo termine, come malformazioni e malattie gravi. Alcuni problemi, però, potrebbero essere risolvibili. Un esempio può essere lo spostamento dei resti della fabbrica in una discarica sicura per evitare ulteriore contaminazione del suolo e dell'acqua, ma in India una discarica del genere non esiste. Un’altra soluzione potrebbe essere incenerire i rifiuti in un impianto creato per gestire quel tipo di materiale: un piano che è in discussione da oltre un decennio.
Sfortunatamente, la mancanza di volontà politica e gli interessi economici continuano a essere più importanti dei diritti delle persone, e questo, insieme all'indifferenza di chi ha il potere, ha impedito di risolvere la situazione.
Qualcosa di positivo c’è: dopo il disastro del '84, l'India ha visto crescere la consapevolezza ambientale e l'attivismo, portando all'approvazione dell'Environment Protection Act, una legge che ha fornito al governo il potere di prendere tutte le misure necessarie per proteggere e migliorare la qualità dell'ambiente e prevenire, controllare e ridurre l'inquinamento ambientale.
Allo stesso tempo i sopravvissuti e le loro famiglie non si sono mai arresi. Ogni piccolo passo verso la giustizia è frutto della loro tenacia. La loro lotta ha tenuto viva la memoria di Bhopal nella coscienza pubblica e politica per 40 anni.
Sicuramente il disastro ha lasciato cicatrici profonde, con danni ambientali e sanitari che persistono. Tuttavia, questo disastro ambientale ci ricorda che dobbiamo agire con responsabilità e fare passi concreti per salvaguardare il nostro pianeta e la salute delle persone. Bhopal rimane un simbolo del dolore delle persone che hanno vissuto quella notte e tutti gli anni successivi, ma è anche un promemoria per continuare a pretendere un futuro più sano — e più giusto.