PFAS in Veneto e Lombardia, la storia di un’eredità tossica nel sangue delle persone

Per questo episodio di Contro Natura abbiamo fatto un viaggio tra il Veneto e la Lombardia. In queste regioni è stata riscontrata una grande contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche nelle acque destinate a uso umano, con impatti negativi sulla salute dei cittadini.
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Rubrica a cura di Beatrice Barra
23 Febbraio 2024

Veneto, Lonigo. É da qui che parte il mio viaggio a ritroso nella storia dell'eredità tossica che ci è stata lasciata da molte attività industriali negli ultimi quarant'anni e con cui oggi dobbiamo fare i conti: i PFAS.

Sono in macchina per andare alla stazione di San Bonifacio e dal mio finestrino vedo campi verdi e case basse e colorate che sembrano non avere nulla a che fare con l'inquinamento delle grandi città. Accanto a me c'è Giovanna: ha la voce calma, come i suoi occhi chiari che spuntano dai grandi occhiali rossi e che s'incupiscono diverse volte mentre mi racconta la sua storia.

Giovanna Dal Lago, Mamme no Pfas

Giovanna è madre di quattro figli (capirai questa caratterizzazione andando avanti) e molti anni fa ha deciso di rinunciare alla sua casa in città e alla sua carriera per trasferirsi in campagna e consentire ai bambini di avere una vita più sana, a contatto con la natura "Perché ci credevamo davvero, ma siamo stati traditi" – traditi, ripete sospirando.

Quando parla di "tradimento" si riferisce alla scoperta, ricevuta durante la campagna di screening avviata dalla Regione Veneto nel 2017, di alti livelli di PFAS nel sangue dei suoi figli.

Cosa sono i Pfas, gli inquinanti eterni

Le sostanze perfluoroalichiliche, meglio conosciute come PFAS, sono composti chimici "che non esistono in natura, sono completamente generati dall'uomo", come mi spiega Giuseppe Ungherese che coordina la campagna Inquinamento di Greenpeace dal 2015. Con lui abbiamo posizionato tutti i tasselli necessari per avere un quadro più chiaro del problema.

Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento Greenpeace

Prima di tutto Giuseppe mi ha spiegato che queste sostanze sono usate in moltissimi settori industriali: per la produzione di padelle antiaderenti, l'abbigliamento tecnico, fino ad arrivare al liquido refrigerante presente nel nostro frigo. Non esiste solo una tipologia di PFAS, sono oltre diecimila i composti che rientrano in questa categoria.

La loro caratteristica principale? Sono inquinanti "eterni". Molti studi hanno dimostrato che rimangono nell'ambiente – e nel nostro organismo – per tempi lunghissimi, contaminando l'acqua che beviamo e il cibo che mangiamo. "Possono essere distrutti solo attraverso degli specifici processi chimici molto lunghi e complessi", aggiunge Giuseppe.

Queste sostanze hanno comprovati effetti negativi sulla salute. Sono "interferenti endocrini", ovvero competono con gli ormoni nelle funzioni che questi dovrebbero svolgere, e alcuni (tra cui i PFOA, presenti in Veneto) sono noti cancerogeni.

Come sono arrivati nell'acqua che esce dal nostro rubinetto?

Per capirlo  bisogna partire dal presupposto che oggi non esiste una legge che vieta o regolamenta la produzione e lo smaltimento di queste sostanze. "C'è la direttiva europea 2184 approvata nel 2020 che fissa il limite a 100 nanogrammi per litro per la somma di 24 sostanze" che entrerà in vigore nel 2026, ma in ogni caso non è una soluzione sufficiente.

Da un lato, non essendo ancora entrata in vigore, queste sostanze vengono smaltite nell'ambiente dopo l'uso senza nessun controllo. A differenza di altri inquinanti, però, si accumulano e rimangono nell'ambiente per un tempo indefinito.

Dall'altro, questa direttiva si basa su informazioni vecchie, che non considerano le scoperte scientifiche fatte negli ultimi anni. Il limite di 100 ng/l, infatti "non è cautelativo per la salute umana": è stato dimostrato che anche un'esposizione continua a concentrazioni minori può avere effetti sulla salute.

La zona rossa in Veneto

Il Veneto è stata la prima regione italiana a fare i conti con quest'emergenza. Nel 2013, infatti, sono state riscontrate altissime concentrazione di Pfas nelle acque a uso umano. L'area contaminata qui si estende per oltre 180km quadrati tra le province di Vicenza, Verona e Padova. Coinvolge 30 comuni e oltre 300mila abitanti. Dopo analisi e accertamenti che hanno attribuito allo scarico industriale dell'azienda chimica Miteni spa (situata nel comune di Trissino) la fonte principale dell'inquinamento, nel 2017 gli enti regionali hanno disposto un protocollo di screening sulla popolazione, per verificare la presenza delle sostanze perfluoroalchiliche nel sangue dei cittadini.

Area contaminata da PFAS, Veneto

La prima fase ha coinvolto i ragazzi nati nel 2002, che allora avevano 16 anni. Tra questi ci sono anche i figli di Giovanna, Claudia Cunico e Claudia Mezzasette. Ci siamo incontrate nella piazza principale di Lonigo, dove le ho viste arrivare con queste magliette bianche con delle scritte rosse che riportavano il valore di PFOA (una tipologia di PFAS) presente nel sangue dei loro figli. Sotto il numero leggo una scritta "State avvelenando i nostri figli".

Ci sediamo e, mentre iniziano a raccontarmi la loro storia, mi rendo conto quanto sia difficile per loro ripercorrere tutto quello che hanno vissuto.

"Un giorno è arrivato un avviso tramite posta in cui ci veniva chiesto di portare i nostri figli a fare queste analisi", mi racconta Claudia. Avevano sentire poche volte parlare di Pfas, ma non ci avevano fatto molto caso. La triste scoperta è arrivata con gli esiti.

"Prendo il foglio delle analisi di mia figlia e vedo quest'asterisco accanto alla scritta PFOA con un limite indicativo tra 0 e 8…mia figlia aveva 328. Credevo di svenire", mi spiega Giovanna con la voce tremante. Lo stesso giorno riceve anche gli esiti del ragazzo che aveva in affido dal 2010: 100ng/ml. In soli sette anni aveva un livello di contaminazione di oltre dieci volte superiore rispetto al limite previsto. Poco meno di quanto ha trovato Claudia nelle analisi di suo figlio Andrea (101,5ng/ml) e poco più di quelle del figlio dell'altra Claudia (66 ng/ml).

La cosa più grave? Nessuno sapeva cosa fossero queste sostanze e quali fossero i rischi per la salute.

Mamme No pfas, una lotta che non si arresta

Claudia, Giovanna e Claudia non sono le uniche ad aver trovato valori di questo tipo nelle analisi dei figli. Nei comuni compresi tra Vicenza, Verona e Padova ben presto inizia un passa parola tra i genitori preoccupati che decidono di vedersi per capire il problema e trovare una soluzione. Hanno chiamato medici, associazioni ambientaliste, esperti di ogni tipo per farsi spiegare il significato della sigla PFOA.

"Ogni volta che scoprivamo una cosa nuova saliva l'angoscia", ma il fatto di essere insieme ha dato loro la forza per non smettere di far sentire la loro voce. Solo allora hanno capito di essere le vittime del luogo con la più grande contaminazione da PFAS di tutta Europa. Rendersene conto prima era impossibile, perché questi inquinanti, pur essendo "eterni", sono invisibili.

Fonte: Mamme No Pfas/Facebook

"Credevo di vivere in un bel Paese, in un'oasi felice. Oggi ogni volta che vado a camminare mi dico: bello, sì, ma falso". Tutto il verde che colora le campagne venete, infatti, nasconde decenni di contaminazione che finiscono nell'acqua e nel cibo delle persone che lo abitano, generando una solta di realtà "invertita" in cui bere acqua fa male e mangiare ai fast food può essere più sano di consumare frutta e verdura a chilometro zero.

Lonigo, Veneto

La loro preoccupazione è costante, perché non sanno che effetti potrebbero avere queste sostanze sulla salute dei loro figli. La loro lotta, però, non si arresta. "Abbiamo bevuto acqua contaminata per quarant'anni, quindi ormai il danno per noi è fatto. Si può cambiare per il futuro, soprattutto perché non succeda più" dice Claudia, con uno sguardo intriso di rassegnazione per se stessa e speranza per le generazioni future.

Claudia Mazzasette, Mamme no Pfas

Girare con i valori dei loro figli sulla maglietta non è facile, ma metterci la faccia è l'unico modo per far capire che dietro quei numeri ci sono persone, è la loro forma di riscatto per il tradimento che hanno subito. "Non sono una scienziata e non ho nessuna competenza tecnica, ma detengo una verità che è la mia storia e quella dei miei figli", conclude Giovanna salutandomi con un sorriso.

Quello che chiedono le Mamme no Pfas è che venga fatta immediatamente la bonifica di tutte le acque e i terreni contaminati e che vengano adottati dei provvedimenti concreti e immediati per bandire la produzione di queste sostanze.

Ma non solo in Veneto: la contaminazione in Lombardia

Il Veneto, però, non è l'unica regione italiana contaminata da PFAS. Nel 2023 un'inchiesta di Forever Pollution Project aveva individuato 17mila siti contaminati in tutta Europa, tra cui si trovano anche alcune regioni italiane: Toscana, Sardegna, Sicilia, Piemonte (dove sono stati riscontrati livelli molto alti riconducibili al polo dell'azienda Solvay di Alessandria).

Fonte: Forever Pollution Project

Su questa linea, nel maggio del 2023 Greenpeace ha richiesto alle autorità lombarde i dati delle ats regionali sulla situazione delle acque. Dati che i ricercatori "hanno aspettato per mesi", come mi spiega Elisa Murgese, che ha coordinato le attività di campionamento in Lombardia.

Una volta ricevuti, hanno scoperto che la contaminazione interessava il 20% dei siti. Così hanno deciso di svolgere dei campionamenti indipendenti che hanno interessato 31 punti. E i risultati "sono stati sconcertanti": 11 di questi presentavano contaminazione da PFAS, ovvero il 35% del totale.

Di questi 11 siti, 4 superavano i livelli previsti dalla direttiva europea (100ng/l) e 7 presentavano livelli di Pfas "variabili". I siti sono stati scelti sulla base di criteri specifici: casette dell'acqua o fontaane vicine a scuole, parchi o in centri densamente abitati.

Elisa mi ha accompagnato in una casetta dell'acqua vicino alla metro di Crescenzago, che si trova esattamente di fronte a una scuola materna. Stando ai loro campionamenti quest'acqua presenta una concentrazione di PFAS di 26 ng/l.

Siamo state lì a parlare per circa un'ora e in quel lasso di tempo moltissime persone sono arrivate per riempire le bottiglie da portare a casa. Ad ogni bottiglia piena non riuscivo a fare a meno di chiedermi se quelle persone sapessero di bere acqua contaminata.

Mi spiega che i campionamenti (che non vengono fatti con la giusta costanza o che non vengono resi noti ai cittadini) dovrebbero essere costanti, specialmente nei punti in cui la contaminazione risulta "variabile". Questo permetterebbe di capire da dove arrivi e come interromperla.

"La situazione lombarda non è emergenziale come quella presente in Veneto", mi spiega Giuseppe, ma già alcuni siti superano di oltre 10 volte il limite (come abbiamo già spiegato, non cautelativo per la salute) della direttiva europea. Un primo passo potrebbe essere l'inserimento dei filtri (già presenti in Veneto), ma si tratterebbe "solo di un cerotto, perché l'unica soluzione reale è bandire la produzione di queste sostanze".

Perché la direttiva europea non basta

Nonostante il limite previsto dalla direttiva europea di 100ng/l, alcuni Stati europei hanno già adottato misure più drastiche per contrastare i rischi legati alla contaminazione da Pfas. "La Danimarca ha previsto un limite di 2ng/l, la Svezia di 4ng/l e su quest'ordine si stanno muovendo anche altri Paesi come la Germania, la regione belga delle Fiandre e l'Olanda", dice Giuseppe.

Ripensando a quanto detto da Giuseppe mi rendo conto che l'acqua che vedo bere a moltissime persone mentre sono con Elisa supera di oltre 50 volte il limite previsto in Danimarca, dove non sarebbe considerata potabile. A questo punto Elisa specifica che "il concetto stesso di limite è subdolo in questo caso", perché si tratta di un compromesso tra lobby industriali, politica e sanità. Tuttavia, se si ha anche solo il dubbio (e in questo caso si tratta di una certezza) che una sostanza può provocare danni alla salute dei cittadini, "l‘unico limite cautelativo per la salute umana è, semplicemente, ZERO".

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Polentona acquisita e curiosa instancabile. Sono a Milano dal 2016 e scrivo per passione da quando ho cinque anni. Amo il altro…