Ovunque ti giri c'è immondizia: sulle strade, sui tetti, nelle case trovi enormi sacchi di spazzatura maleodorante. Questa è Garbage City, la città dell'immondizia situata a Manshiyat Naser, un quartiere della zona occidentale del Cairo, in Egitto. Qui la sopravvivenza economica dei cittadini gira proprio intorno al business dei rifiuti.
La storia dei netturbini d'Egitto risale a oltre 100 anni fa. I primi gruppi a svolgere questo lavoro sono i Wahaya, o "gente delle oasi", emigrati al Cairo dall'oasi di Dakhla, nel deserto occidentale dell'Egitto. Guadagnano raccogliendo carta straccia e vendendola ai bagni pubblici nel centro del Cairo, dove viene usata per riscaldare l'acqua. Questo fino a quando il Governo proibisce l’uso di carta straccia come combustibile e i Wahaya sono costretti a trovare un nuovo business per vivere.
In breve tempo, mantenendo i diritti sui percorsi di raccolta dei rifiuti e le tariffe mensili pagate dai residenti, si accordano con un'alta comunità rinominata Zabaleen o “spazzini”. L'accordo è semplice: questi avrebbero raccolto la spazzatura e i rifiuti organici e li avrebbero usati per allevare maiali. Nonostante di solito siano animali vietati nei territori islamici, Manshiyat Naser fa eccezione, in quanto la maggior parte della popolazione è Cristiana Copta.
I maiali diventano un elemento vitale del sistema: separano i rifiuti organici dai materiali riciclabili, mangiandoli. Questo permette agli Zabaleen di trarre profitto dalla spazzatura in tre modi: vendendo al mercato carne di maiale ai cristiani della zona – una dozzina di maiali arrivava a generare fino a millecinquecento dollari di reddito supplementare -, vendendo camion carichi di letame agli agricoltori rurali che lo avrebbero usato come fertilizzante e vendendo materiali riciclati.
Quello messo in atto a Manshiyat Naser è un sistema quasi perfetto che, per molto tempo, è riuscito a trasformare i rifiuti in denaro. Le cose iniziano a prendere una piega diversa dal 2003, a causa di due decisioni del governo municipale del Cairo.
Quell'anno, nel tentativo di modernizzare la capitale, il Governo inizia ad assumere aziende private per lo smaltimento dei rifiuti. Il 20% dei rifiuti sarebbe stato avviato al riciclo, il resto sarebbe andato in discarica. Questo è un problema anche per gli Zabaleen, che da un giorno all’altro devono competere con consorzi multinazionali.
Tuttavia, il Cairo stesso sembra venire in loro difesa. Gran parte della città si sviluppa attorno a vicoli stretti destinati al traffico pedonale e ai carri trainati da asini, non alle auto o ai camion della spazzatura. Nelle strade più ampie, invece, l’intenso traffico rende estenuanti anche i viaggi più brevi. In poco tempo, le multinazionali si trovano completamente sopraffatte dalla spazzatura del Cairo, ma il trasporto non è l'unico problema.
Gli abitanti del Cairo, abituati a lasciare la spazzatura davanti alla porta dei loro appartamenti per gli Zabaleen, si rifiutano di portare ogni giorno i sacchi della spazzatura nei cassonetti. Anche in quei casi eccezionali in cui accade, i camion della spazzatura non riescono a raccoglierla con sufficiente frequenza: i cassonetti posizionati lungo i marciapiedi traboccano al punto da diventare vere e proprie mangiatoie per animali.
C'è un quarto problema. Il Governo decide di addebitare ai cittadini la raccolta dei rifiuti sulle bollette, creando indignazione e malcontento generale. I cittadini all'improvviso pagano due volte: una alle multinazionali, l'altra alla porta per gli Zabaleen, coloro che effettivamente raccolgono la spazzatura.
Nonostante gli interventi del Governo avessero messo in difficoltà gli Zabaleen, la vera prova per il popolo della spazzatura arriva nel 2009.
Come misura preventiva contro la minaccia di un'epidemia di influenza suina H1N1, il governo del Cairo ordina l'abbattimento di tutti i 350.000 maiali appartenenti alle famiglie Zabbaleen. Come detto precedentemente, i maiali erano un organo vitale nel sistema di separazione e smaltimento dei rifiuti organici. Da quel momento fu come se la macchina Zabaleen dovesse improvvisamente funzionare senza motore.
Tutt’oggi uomini, donne e bambini sono costretti a fronteggiare la produzione di circa 300 kg di rifiuti per abitante all'anno in Egitto, un numero basso in confronto ai paesi europei dove in media si produce circa 527 kg per abitante all’anno. Quello che stupisce è che i tassi di riciclaggio e recupero dei rifiuti gestiti dagli Zabbaleen sono estremamente elevati. Riciclano oltre l'80% di ciò che raccolgono, mentre in Italia viene avviato al riciclo solo circa il 57% dei rifiuti urbani trattati.
Una volta terminata la separazione gli Zabbaleen vendono questi materiali selezionati a grossisti, fabbriche o multinazionali, anche estere, che cercano materie prime a basso costo. Contemporaneamente hanno delle microimprese a conduzione familiare che creano anche nuovi oggetti d'artigianato come borse e collane. Un business basato sui rifiuti che contempla entrate diversificate e permette loro di guadagnare per sopravvivere.
Una volta conosciuta la storia degli Zabaleen è impossibile non domandarsi in che condizioni vivano queste persone che riescono a riciclare a mani nude spazzatura a mani nude.
Bisogna partire dicendo che la vita a Manshiyat Nasser è malsana. Nei vicoli, nei cortili, sulla soglia delle case (a volte senza corrente e acqua), le donne e i bambini si danno da fare in quella che potremmo chiamare "raccolta differenziata". Passano oltre 10-12 ore al giorno a dividere i vari materiali: carta, plastica, vetro, ferro, alluminio, fino ai rifiuti organici. Fin da piccoli, i ragazzi accompagnano i padri nella raccolta dei rifiuti, mentre le ragazze restano a casa a separare in maniera quasi maniacale i materiali riciclabili. Lavorano a mani nude senza alcuna protezione, a contatto con materiali pericolosi (amianto, piombo, mercurio), rifiuti taglienti, sostanze tossiche, lamiere, cibo ammuffito. Questo li espone costantemente a malattie respiratorie, infezioni cutanee e problemi muscoloscheletrici.
Come abbiamo visto, il rapporto con le autorità statali è sempre stato controverso. Un esempio evidente è la legge n. 38 del 1967, ovvero la legislazione egiziana ufficiale contenente 12 articoli sulla gestione dei rifiuti solidi. Questo documento proibisce lo smaltimento dei rifiuti solidi se non in "aree designate". Inoltre, sottolinea che i servizi di smaltimento dei rifiuti devono essere eseguiti da appaltatori autorizzati dal governo. Nega le licenze ai riciclatori, nonostante il loro ruolo vitale nella gestione dei rifiuti. Allo stesso tempo, però, il Governo non si è mai impegnato per far rispettare questa legge, piuttosto ha permesso loro di continuare a lavorare in “nero”.
Oggi le cose sono migliorate: la comunità si è modernizzata, hanno abbandonato i carri trainati da asini e possiedono veicoli a motore per spostarsi ma l’attività che tiene in piedi l’economia è sempre la raccolta e la divisione dell’immondizia. Nel corso degli anni, organizzazioni comunitarie come Spirit of Youth (SOY) e Association for the Protection of the Environment (APE) hanno contribuito a dare potere agli Zabbeleen attraverso programmi educativi per i giovani membri della comunità, assistenza in attività generatrici di reddito rispettose dell'ambiente come la tessitura e il patchwork. Entrambe le organizzazioni promuovono anche lo sviluppo di aziende di riciclaggio guidate dagli Zabbaleen. Ciò significherebbe che finalmente il loro lavoro verrebbe riconosciuto anche tramite tariffe più elevate, uniformi, veicoli governativi e programmi di formazione.
Pensandoci bene, il paradosso degli Zabbaleen rimane sorprendente: una comunità egiziana povera, che lavora in condizioni estremamente difficili e senza tecnologie moderne, riesce a riciclare una percentuale di rifiuti significativamente superiore rispetto a nazioni con sistemi avanzati di gestione dei rifiuti e tecnologie all'avanguardia.
Se da una parte gli Zabbaleen hanno sviluppato un sistema di riciclaggio altamente efficiente, dimostrato dalla quantità di materiale che riescono a riciclare, dall'altra, per continuare a svolgere il loro lavoro in modo sicuro e dignitoso, è fondamentale che ricevano il giusto riconoscimento e il supporto necessario. Fornire loro attrezzature di protezione individuale come guanti, maschere e abbigliamento resistente è essenziale. Inoltre, migliorare le loro condizioni di lavoro attraverso l'introduzione di tecnologie appropriate può ridurre il carico fisico e i rischi associati al loro lavoro.
Il riconoscimento del loro impegno e il supporto per migliorare le loro condizioni di lavoro non solo li aiuterebbe a vivere con maggiore dignità, ma aumenterebbe anche l'efficacia del loro sistema di riciclaggio, contribuendo ulteriormente alla sostenibilità ambientale del Cairo.
Il loro esempio dimostra che, con determinazione e ingegno, è possibile ottenere risultati eccezionali anche nelle condizioni più avverse ricordandoci che la vera sostenibilità non dipende solo dalla tecnologia, ma anche dall'impegno e dalla capacità di adattarsi alle circostanze.