La peste suina eradicata in Sardegna è un risultato storico: ma arriverà mai il giorno in cui gli abbattimenti non saranno più necessari?

La Sardegna ha finalmente eradicato la peste suina africana nelle popolazioni di cinghiali. La Commissione europea ha riconosciuto ufficialmente che dopo 40 anni di lotta non vi è più traccia della malattia.
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Kevin Ben Alì Zinati 26 Ottobre 2023

La peste suina africana è stata eradicata in Sardegna e questo è un risultato storico.

Erano più di 40 anni che la regione combatteva contro questa patologia virale estremamente mortale per suini e cinghiali selvatici.

Nelle scorse ore, però, la Commissione europea ha riconosciuto ufficialmente che nelle popolazioni di cinghiali presenti sul territorio sardo non vi è più traccia della PSA nei cinghiali selvatici.

Si tratta di una notizia importante, una vittoria perché si tratta di una patologia decisamente grave che può mettere in serio pericolo intere popolazioni di animali e, di riflesso, anche l'uomo. A questo però vogliamo tuttavia mettere una postilla, sempre la stessa: non c’è davvero nessuna alternativa all’abbattimento degli animali infetti o sospetti tali?

Facciamo un passo indietro. Come probabilmente sai, la PSA è una malattia virale che infetta esclusivamente le popolazioni di suini e cinghiali costringendoli alla morte nel 95-99% dei casi.

Ad oggi il virus non rappresenta un pericolo per l’uomo perché non è ancora in grado di penetrare nelle cellule umane: non colpirebbe un individuo nemmeno se mangiasse della carne infetta.

Questa patologia però può comunque diventare un problema per l’uomo in maniera indiretta, visto che la decimazione delle popolazioni di suini potrebbe rappresentare di fatto un gigantesco rischio economico per l’intero mercato della carne.

Il successo del Piano di sorveglianza ed eradicazione messo in atto dal Governo in Sardegna ha dunque sicuramente permesso di tutelare un territorio e di ridefinire in modo significativo la geografia delle prescrizioni ancora in vigore nell’Isola, dove fino a oggi erano state delimitate tre zone, oltre a una zona libera da restrizioni estesa già a maggio al 62% dei Comuni della Sardegna.

Ora la cosiddetta zona 2, quella immediatamente vicina ad almeno un caso di PSA, è stata cancellata mentre la zona 1, la cosiddetta zona cuscinetto (ora ridotta a 35 Comuni) si restringerà al solo perimetro attorno alla zona 3, quella ancora in fase di regolarizzazione, che resta comunque per dodici Comuni della Sardegna centro-orientale.

A questa, si legge sempre nella nota della Regione, si aggiunge una zona di restrizioni, in vigore fino al 22 dicembre, sui territori interessati dal recente focolaio ‘di importazione’ del genotipo 2 in un allevamento a Dorgali.

“Da oggi abbiamo la stragrande parte della Sardegna libera di poter produrre ed esportare le proprie produzioni sia di carni vive, che macellate, lavorate o trasformate” ha spiegato con entusiasmo il presidente della Regione Christian Solinas.

Il Piano di eradicazione presentato alla Comunità europea, tuttavia, tra le varie misure prevede anche la “sorveglianza attiva mediante attività venatoria e di controllo, regolamentata e nel rispetto delle misure di biosicurezza previste”. In sostanza, prevede anche la possibilità di utilizzare l’abbattimento degli animali come strumento di eradicazione.

Si tratta di una strategia efficace perché consente di contenere la diffusione del virus e il dilagare di un focolaio. Senza ospiti in cui albergare, l’agente virale fatica a sopravvivere e tende quindi a scomparire.

La malattia inoltre è anche in grado di insinuarsi in un animale in forma asintomatica e se l’animale in questione è ancora in vita e non presenta alcuna manifestazione clinica risulta complesso fare una diagnosi.

Se poi consideri l’eventuale tempo di attesa tra l’esecuzione del test e l’arrivo dei risultati, si finirebbe per lasciare al virus una finestra temporale in cui muoversi liberamente e contagiare altri individui.

Ciò che è auspicabile, tuttavia, è che nel futuro queste strategie prevedano soluzioni alternative altrettanto efficaci ma slegate dalla necessità di ricorrere all’abbattimento.

Una ce l’abbiamo già e consiste nella delimitazione delle aree colpite con barriere di biosicurezza: confini fisici entro cui confinare gli animali infetti e cercare di limitare l’ingresso o la fuoriuscita di agenti patogeni da un ambiente ristretto e controllato. I lavori per realizzarle però vanno a rilento e oggi la rete di barriere non è assolutamente ancora capillare quanto dovrebbe.

Un futuro senza ulteriore sofferenza animale, e dunque ripercussioni economiche, potrebbe essere possibile? Proviamo a ragionarci concretamente.