L’altra faccia della pillola anticoncezionale di cui non si parla mai

Ha fatto il giro del mondo la notizia di quanto avvenuto negli anni ’70 in Groenlandia, dove circa 4.500 donne avrebbero subito a loro insaputa l’impianto della spirale anticoncezionale. In realtà, la storia della contraccezione femminile è disseminata di episodi di sopraffazione e il suo stesso uso attuale rischia di non essere sempre a vantaggio delle donne. Ohga ha intervistato la scrittrice e scienziata Laura Tripaldi per esaminare i lati oscuri della pillola anticoncezionale femminile e capire perché questo farmaco si porta dietro un insieme complesso di significati anche culturali, politici e sociali.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Maria Teresa Gasbarrone 18 Ottobre 2023
* ultima modifica il 19/10/2023
Intervista a Laura Tripaldi Scienziata in Nanotecnologie dei Materiali e scrittrice

Tra il 1966 e il 1979 circa 4.500 donne inuit originarie della Groenlandia potrebbero aver subito l'impianto della spirale contraccettiva (Iud) a loro insaputa, e quindi senza il loro consenso. Al momento del trattamento, molte di loro sarebbero state ancora minorenni, alcune avrebbero avuto sui 13 anni, poco più che bambine.

La vicenda è uscita allo scoperto solo qualche anno fa e ora ha ottenuto una risonanza internazionale, dopo che un'inchiesta giornalistica da parte dell’emittente pubblica danese DR l'ha resa di dominio pubblico: ora 67 delle donne vittime di questa (ancora da accertare) politica governativa vogliono fare causa alla Danimarca, in rappresentanza delle 4.500 persone che hanno subito la stessa violenza da parte del governo danese di allora, che, secondo le loro accuse, avrebbe voluto in questo modo ridurre la popolazione nativa della Groenlandia, all'epoca colonia del Regno di Danimarca.

Per quanto questa storia ci possa sembrare scandalosa, qualora venisse confermata, sarebbe in realtà solo uno dei tanti momenti bui che hanno segnato la storia dei contraccettivi femminili.

Sebbene infatti la pillola ormonale e gli altri anticoncezionali femminili siano stati uno strumento di autodeterminazione fondamentale per le donne, c'è una parte della storia che li ha resi possibili e che li rendi tutt'ora disponibili che tendiamo a nascondere, o, almeno, ci raccontiamo a fatica.

Per fare luce su questa complicata materia, Ohga ha intervistato la scienziata in Nanotecnologie dei Materiali Laura Tripaldi, che ai lati nascosti delle "tecnologie di genere" ha dedicato il suo ultimo libro "Gender Tech – Come la tecnologia controlla il corpo delle donne".

Il lato oscuro della pillola anticoncezionale

Facciamo una premessa: la pillola anticoncezionale è stata alla base di una rivoluzione per l'emancipazione femminile, restituendo alle donne il diritto inviolabile di scegliere per i propri corpi e la propria vita, un diritto che ancora oggi in molte parti del mondo è continuamente messo in dubbio, o, peggio, negato.

"Una pillola contiene molto più di un principio attivo: è un dispositivo pregno di discorsi politici e significati culturali, capace di illuminare l'ambivalenza del rapporto della tecnologia con il corpo femminile".

"Gender Tech", Laura Tripaldi

Detto ciò, la stessa nascita della pillola anticoncezionale si porta dietro un carico di violenze e sopraffazioni. Violenze che, sebbene in forme più subdole e nascoste, si ripetono ancora oggi: le donne che decidono di assumere la pillola – a cui viene prescritta – devono infatti accettare un compromesso fatto di effetti collaterali piuttosto importanti, a livello fisico, ma soprattutto psicologico.

Una storia controversa

Basta fare un salto indietro di qualche decennio per scoprire come quanto accaduto alle donne inuit tra gli anni '60 e '70 non sia stato affatto una novità. Qualcosa di simile era già successo già negli anni '50, durante la fase di sperimentazione della prima pillola anticoncezionale, appena brevetta, ai danni delle donne di Porto Rico.

"Si tratta di una delle pagine più controverse – spiega Tripaldi – della storia della pillola contraccettiva e per capirla bisogna fare un passo indietro: già dagli anni '30 infatti il governo portoricano, in collaborazione con gli Stati Uniti, stava portando avanti un programma di sterilizzazione di massa sulle donne del Paese, realizzata attraverso modalità chirurgiche, allora le uniche disponibili".

Negli stessi anni, nel 1951, il chimico messicano Luis Ernesto Miramontes Cárdenas riuscì a sintetizzare il Noretisterone, ovvero un progestinico, capace, alla stregua del progesterone prodotto durante la gravidanza dal corpo della donna, di bloccare la maturazione degli ovuli. Nasceva così di fatto la prima pillola ormonale, con il nome commerciale di Enovid.

È a questo punto che le due storie si intrecciano: per essere messa in commercio, la pillola doveva infatti essere prima sperimentata, "ma – prosegue la scrittrice – non si scelse di sperimentarla negli Stati Uniti, piuttosto si decise di somministrarla su un gruppo piuttosto numeroso di donne portoricane, si sospetta per giunta a loro insaputa, almeno stando a quanto sappiamo oggi".

La usiamo in modo corretto?

Le criticità però non sono solo riferite al passato. "Per quanto riguarda il presente, è interessante – spiega ancora Tripaldi – come si sia evoluta la percezione della pillola contraccettiva negli ultimi decenni, da strumento finalizzato alla contraccezione pura e semplice a terapia per il trattamento di moltissimi disturbi, sia fisici che psicologici, che colpiscono le donne. Il rischio però è che quest'ultima diventi una sorta di panacea di tutti i mali".

Gonfiori, dolori mestruali, ciclo irregolare, acne, ma anche sbalzi d'umore e altri sintomi di natura psicologica. Oggi, si tende a prescrivere la pillola di fronte a innumerevoli problemi o sintomatologie femminili. Eppure, la pillola, essendo un farmaco ormonale, ha effetti sul funzionamento dell'intero corpo della persona che l'assume. Lo spiega bene Tripaldi nel suo libro:

"Quando una persona inizia a prendere la pillola, la presenza costante di progestinici nel sangue blocca il meccanismo di feedback che controlla il ciclo mestruale, mantenendo il corpo in uno stato di stabilità ormonale permanente. Ebbene, uno degli aspetti più interessanti del meccanismo di funzionamento della pillola è legato al fatto che gli ormoni non agiscono selettivamente sugli organi sessuali, ma intervengono sui meccanismi del nostro corpo in modo molto più pervasivo".

Quest'insieme di effetti può causare anche cambiamenti nella personalità. "Sebbene in letteratura non ci siano ancora evidenze scientifiche, abbiamo le testimonianze di moltissime donne che raccontano di aver percepito un cambiamento nel loro umore, a volte perfino nella loro personalità", spiega Tripaldi, che cita anche storie di donne in cui si sospetta un legame tra l'assunzione della pillola contraccettiva e l'insorgere di depressione.

Pillola contraccettiva maschile: miraggio o realtà?

Il grande successo della pillola ormonale e gli enormi interessi economici che ci sono dietro la sua produzione fanno sì che la ricerca medica e scientifica in questo settore si sia in qualche modo arenata: "Siamo rimasti a decenni fa, perché banalmente non conviene investire su altri farmaci o forme di contraccezione femminile", spiega la scrittrice.

"Allo stesso tempo – continua Tripaldi – non si investe, fatta salva qualche eccezione, sulla contraccezione maschile. Il fatto che non esista una contraccezione ormonale maschile non dipende da difficoltà scientifiche: anzi, già quando negli anni ’50 è stata messa a punto la pillola contraccettiva femminile sarebbe stato possibile produrne una sostanzialmente identica per gli uomini. Ma, allora era troppo forte il pregiudizio sociale, per cui si temeva che questo tipo di farmaco avrebbe intaccato la virilità maschile, a testimonianza di come le nostre sovrastrutture culturali entrino e influenzino perfino la ricerca scientifica".

Più che un limite scientifico, dunque, il vero ostacolo da superare in fatto di contraccezione maschile è culturale. Per quanto riguarda i risultati finora raggiunti nella ricerca, le ultime notizie arrivano dalla Cornell University, dove è stato messo a punto un farmaco di nuova generazione, candidato alla sperimentazione umana, che potrebbe funzionare da anticoncezionale maschile. Non si tratta però di un farmaco ormonale, ma una pillola in grado di bloccare per alcune ore la mobilità degli spermatozoi.

"Resta però interessante – suggerisce la scienziata – notare come per gli uomini si stia pensando a un farmaco che agisca localmente e non vada quindi a influenzare l'intero sistema ormonale, come accade per la pillola attualmente in commercio".

"Oggi, considerato l’ampio spettro di effetti collaterali che ha la pillola contraccettiva femminile, non credo neanche sia utile augurarci che venga introdotto il suo equivalente per gli uomini. Tuttavia, fa riflettere come gli stessi effetti che sarebbero considerati inaccettabili per la popolazione maschile, siano tutto sommato accettati e tollerati per le donne", conclude Tripaldi.

Autodeterminazione, a che prezzo?

Questo complesso argomento, che potrebbe ancora essere approfondito per ore, non vuole quindi mettere in dubbio in nessun modo il valore e l'importanza che la pillola anticoncezionale ha avuto e ha tutt'oggi per le donne.

"Il centro della questione – scrive Tripaldi nel suo libro – è che, al di là di qualsiasi valutazione morale, una pillola contiene molto più di un principio attivo: è un dispositivo pregno di discorsi politici e significati culturali, capace di illuminare l'ambivalenza del rapporto della tecnologia con il corpo femminile".

Tuttavia, è necessario riflettere sull'uso, spesso "automatico", che si tende a fare di questo strumento, sulla scarsa o nulla informazione – dalle scuole agli studi ginecologici – che troppo spesso le donne ricevono sul meccanismo alla base della pillola e sull'effetto che quest'ultima ha sui loro corpi.

Autodeterminazione significa anche e soprattutto questo: fare scelte consapevoli, non subirle.

Fonte | "Gender Tech – Come la tecnologia controlla il corpo delle donne" di Laura Tripaldi

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.