Nelle località sciistiche italiane l’unica cosa che fiocca è la chiusura degli impianti: cosa faremo con quelli dismessi?

Per non perdere turisti, il Paese continua a finanziare strutture dove la neve non c’è più. Il racconto di un lento declino con le voci di chi vive la montagna.
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Francesco Castagna 21 Gennaio 2024

Una delle ultime frontiere dello sci consiste nell'utilizzo delle intelligenze artificiali: un istruttore può già aiutarci a scendere a valle a distanza. Un'invenzione interessante, ma cosa accadrà quando gli effetti dei cambiamenti climatici spazzeranno via l'ultima neve naturale sugli impianti sciistici? Ce lo siamo chiesto in occasione della Giornata Mondiale della neve 2024. Molto probabilmente quest'avventura si trasformerà in un'esperienza totalmente da remoto. I visori a realtà aumentata ci catapulteranno in una località sciistica immaginaria per farci vivere un'attività impossibile da fare ormai dal vivo.

È il riscaldamento globale, "bellezza". Una minaccia che da anni viene denunciata dagli enti di ricerca nazionali e internazionali, mentre le istituzioni cercano ancora di salvaguardare il turismo locale.

Gli studi scientifici

Si va dall'avvertimento di Legambiente, secondo cui "Le località sotto i 1800 metri di quota sono da destinare a nuove forme di turismo oltre lo sci da discesa e non c’è più motivo che vi siano mantenuti i contributi per lo sci alpino", fino all'allarme del climatologo Luca Mercalli: "Il rischio è che in Piemonte si possa sciare solo fino al 2050, altri 25 anni, e solo perché, insieme alla Valle d’Aosta, dispone delle vette più alte". L'ultimo lavoro di Legambiente, che ogni anno pubblica il rapporto Nevediversa, porta alla luce dettagli interessanti sulla situazione degli impianti di risalita: l’Italia è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale con il 90% di piste innevate artificialmente. Non solo, nel rapporto emerge anche un dato che lascia intendere come potrebbero evolversi i ghiacciai in Italia nei prossimi 30 anni: Legambiente infatti sostiene che gli impianti sciistici al di sotto dei 1800-2000 metri potrebbero potrebbero diventare "strutture fantasma" entro il 2050.

Il risultato è che siamo passati letteralmente dai fiocchi di neve al fioccare di impianti dismessi, temporaneamente chiusi o sottoposti ad accanimento terapeutico

Il rischio è che molte strutture italiane potrebbero chiudere molto prima del 2050, anno di riferimento di chi ha preso in considerazione lo scenario più drammatico. Per la ricerca sono stati mappati 142 bacini idrici della Penisola utilizzati per l'innevamento artificiale.

Il risultato è che siamo passati letteralmente dai fiocchi di neve al fioccare di impianti dismessi, temporaneamente chiusi o sottoposti ad accanimento terapeutico. Per non perdere turismo infatti, diversi Comuni e Regioni stanno continuando a finanziare strutture in località dove la neve naturale non scende più e i costi economici ed energetici per sostenere gli impianti sono diventati irragionevoli. A essere insostenibile, questa volta dal punto di vista ambientale, è anche l'utilizzo della neve artificiale. Produrla, infatti richiede l'impiego di diversi elementi: i generatori di neve, l'acqua liquida per produrla, le torri di raffreddamento e i cannoni sparaneve.

L'allarme lanciato da numerosi scienziati e enti di ricerca non sembra essere però stato colto a pieno dai gestori degli impianti di risalita, né dalle amministrazioni locali. E purtroppo, anche se a livello nazionale riuscissimo a invertire la rotta, il riscaldamento globale è determinato dalle emissioni di altri Paesi che in questo momento non accennano a una adeguata revisione dei loro modelli di sviluppo: Cina, India e Stati Uniti d'America. Lo conferma anche il climatologo Luca Mercalli, che abbiamo sentito per avere qualche informazione in più in merito agli effetti del riscaldamento globale sugli impianti di risalita.

"Siamo in ritardo per intervenire": il climatologo Mercalli

"Tutte le ricerche scientifiche fatte finora sia da me che dai miei colleghi mostrano come abbiamo già perso un mese di innevamento alpino negli ultimi 50 anni. Con questa situazione di riscaldamento è probabile che molti impianti sciistici a bassa quota non avranno più neve per sciare", ci spiega Mercalli. In futuro quindi ci saranno aree geografiche di difficile utilizzo per questa attività, e saranno comunque molto ridotte, essendo poche le zone sopra i 4mila metri. In questi ultimi anni c'è una spinta delle società sciistiche ad espandersi alle quote più alte. Se a Cervinia (Valtournanche) si potrà ancora sciare (3.800 metri)  lo stesso non accadrà per la maggior parte dei comprensori sotto ai duemila metri. Mercalli li chiama "puntini sparsi sulla mappa", facendo riferimento agli impianti sciistici che molto probabilmente sopravviveranno agli effetti del riscaldamento globale.

Non è uno scenario sicuro, ma si parla di una situazione che potrebbe verificarsi con elevata probabilità. Il problema dell'aumento della temperatura è globale, quindi gli interventi vanno presi da tutto il mondo. Secondo il climatologo però gli ultimi accordi presi al termine della Cop28 non serviranno a evitare gli scenari appena descritti. "Al momento, in mancanza di una svolta convinta di tutti i Paesi, la temperatura salirà così come è previsto dallo scenario peggiore: ovvero potrebbe superare anche i 2.7° C. entro la metà del secolo". Gli accordi di Parigi prevedevano un aumento massimo di temperatura di 2°C entro il 2100. Mercalli però spiega che anche se facessimo tutto il necessario per limitare l'aumento della temperatura, la temperatura non scenderebbe lo stesso. Al massimo si potrebbe osservare un trend più lento rispetto a quello attuale: invece di 2.7°C, arriveremmo a 2°. Ciò si traduce in meno neve rispetto a oggi, l'ambiente alpino è stato messo ormai sotto pressione. Avremmo meno neve se l'accordo di Parigi venisse applicato con efficacia, ma ne avremmo ancora di meno se questo trattato non dovesse essere rispettato.

Poi c'è il problema della sostenibilità della neve artificiale in condizioni di un forte aumento di temperatura. Laddove non c'è la possibilità di avere neve naturale, si cerca di rimediare con quella artificiale. C'è però un problema: la neve ""tecnica" per non sciogliersi con il caldo ha bisogno di temperature molto basse, ovvero di freddo. Nei pressi dei comprensori sciistici a bassa quota le ore di freddo sono minori, a differenza dell'alta quota. Oltre a un certo limite poi, ricorda Mercalli, la neve artificiale viene degradata dal caldo. Bisogna prenderne atto: ci sono luoghi in cui la neve artificiale si può fare, e altri in cui non è proprio possibile farlo.

Mercalli ci racconta di aver spostato la propria residenza a Vazon, una borgata in Alta Val di Susa, per sfuggire agli stress termici delle città dove si arriva ormai sempre più frequentemente a raggiungere i 40°C. Stando lì, il climatologo ha avviato tutta una serie di azioni per limitare le proprie emissioni nella sua baita di montagna: efficiente, basata sul risparmio energetico e sulle rinnovabili e isolamento termico, grazie anche all'utilizzo degli ecobonus.

Lei quindi è a favore di misure volte a efficientare il consumo di energia delle abitazioni? 

Assolutamente sì. Qui si parla solo di soldi, io vorrei invece che il discorso si facesse sul risparmio di kilowattora e di emissioni di CO2 evitate. Gli ecobonus sono stati fatti per ottenere un risultato fisico, non uno economico. La discussione volge soltanto attorno ai miliardi che sono stati utilizzati, ma gli ecobonus non sono stati fatti per gioco, per distribuire soldi. Queste misure sono state pensate per portare le nostre abitazioni da un livello di colabrodo energetico a uno di ragionevole efficienza. Gli ecobonus aiutano le persone a fare questi lavori, ma il risultato deve essere misurato in risparmio di combustibile. Enea ha fatto diversi calcoli su queste misure: sono più di 3 miliardi di euro all'anno di soldi di combustibili risparmiati dalle famiglie, e conseguentemente anche emissioni di Co2 in meno, ovvero tutto gas che non abbiamo bruciato.

Tornando agli impianti da sci, insieme a Mercalli abbiamo commentato anche la decisione del governo di voler fare una pista da bob in Italia per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. "Possiamo tutti divertirci con lo sci o con lo sport, io per primo sono uno sciatore e sono molto contento quando nevica. Non vedo soltanto perché bisogna ottemperare a un certo standard di grandi opere che si è generato negli ultimi decenni. Le Olimpiadi si facevano centinaia di anni fa e ci si divertiva lo stesso. Facciamo delle Olimpiadi compatibili con l'ambiente: il che vuol dire che si possono riutilizzare delle strutture già presenti, che non vuol dire non farle", dice il climatologo.

Come ricorda Mercalli, le regole di queste competizioni le scriviamo noi, non è obbligatorio costruire una pista da Bob. Se non c'è la possibilità di farla in Italia, che si faccia in Svizzera dove è possibile.

Mercalli, come bisogna prepararsi dunque a questi scenari? 

Dobbiamo guardare questi scenari climatici come un avvertimento di prevenzione: se alcune zone della nostra montagna fra 30 anni non saranno più sciabili, bisogna fare questo cambiamento di approccio socio-economico, che viene riconosciuto da decine di studi e di governi diversi: Francia, Svizzera, Austria, Slovenia. Bisogna dare delle chance di sviluppo della montagna che non siano tutte basate sullo sci. Quello suggerisco spesso è che, con il caldo che aumenta, potrebbe incrementare la frequentazione della montagna in estate e compensare in parte le perdite dell'inverno. È una questione di strategia, abbiamo davanti a noi alcuni decenni prima di arrivare a questi esisti. Per non arrivare impreparati bisogna cominciare oggi, questo è il messaggio importante da comunicare. Bisogna smetterla di investire milioni di euro in impianti di aree che ormai sono ai limiti delle loro possibilità, perché tanto ce li ritroveremo fermi fra un po' di anni.

Il caso di Bolbeno: l'impianto sciistico più a bassa quota d'Italia (600m)

Il tema della sostenibilità ambientale ed economica delle strutture sciistiche a bassa quota trova il suo caso di studio proprio nel nostro Paese. A Borgo Lares, un Comune nato dalla fusione di Bolbeno e Zuclo, si trova la pista più a bassa quota d'Italia.

Siamo a soli 600 metri d'altezza, un dato che secondo diversi istituti definisce questo piano al limite della definizione tra collina (max 500-600 metri) e montagna (oltre i 600 metri). Abbiamo contattato il sindaco di Borgo Lares, Giorgio Marchetti, per capire come è cambiata l'attività sciistica nel corso degli anni e come stanno portando avanti il loro impianto, nonostante la scarsa altitudine.

Bolbeno ha un'antica tradizione sciistica, ci sono foto delle prime gare sul posto che risalgono al 1936. Le persone scendevano a valle, e poi risalivano senza impianti. Nel 1961-62 è stato fatto il primo ski-lift, in collaborazione con il Comune di Tione, e gli impianti sono stati dati in gestione alle pro-loco. Nel 1987 è stato fatto uno ski-lift nuovo che per due anni ha funzionato poco, perché non c'erano precipitazioni nevose. Le alternative erano due: la chiusura o l'impianto di innevamento. Il Comune ha consultato un meteorologo che aveva una serie di statistiche di temperature rilevate negli ultimi dieci anni, per capire se l'impianto fosse fattibile. Dopo una consultazione con gli esperti nel settore, l'amministrazione ha constatato che nove anni su dieci c'erano le condizioni favorevoli per avere un impianto di innevamento come era concepito all'epoca: massimo due cannoni per una pista corta da 1500 metri. Ora il Comune ha ventisette cannoni sparaneve. Nel '90 è partito l'impianto di innevamento, e da allora Bolbeno apre tutti gli anni le porte ai turisti. Certamente le condizioni geografiche sono favorevoli: la città è esposta al Nord, quindi il sole incide poco sulla pista da sci; Bolbeno poi è una città ricca di risorse idriche; le condizioni meteo sono favorevoli, soprattutto durante la notte.

Ora Bolbeno ha 51 Comuni convenzionati, con oltre 150mila persone che si recano all'impianto sciistico. "Abbiamo fatto negli ultimi anni tutta la valutazione ambientale strategica" -, ci spiega Marchetti -, "In questo studio abbiamo verificato la disponibilità di acqua, di suolo e degli spazi circostanti, e alla fine abbiamo ottenuto un parere favorevole e questo ci ha permesso di andare avanti con la procedura. Non è che possiamo dire che le condizioni di 40 anni fa sono uguali a quelle di adesso, è chiaro che una variazione di temperatura c'è stata". Marchetti si dice preoccupato in merito a questi cambiamenti, anche perché è consapevole del fatto che le condizioni per innevare in maniera artificiale devono essere favorevoli. Al tempo stesso ammette che le tecnologie degli impianti sono migliorate negli ultimi anni, e ci dice che uno degli strumenti più importanti che hanno permesso all'impianto di sostenersi è il battipista per risparmiare grandi percentuali di acqua e di energia.

Ma com'era Bolbeno 40 anni fa? Ce lo racconta proprio il sindaco Marchetti, tramite un aneddoto della sua infanzia. "Mia madre da piccolo mi raccontava sempre che prima c'era la neve che arrivava fino alle finestre di casa. Mio padre mi diceva invece che, quando faceva il carrettiere a 22 anni andava a prendere il legname in montagna, e mi raccontava sempre che per due inverni invece il mese non ce n'era". Normale amministrazione? Probabilmente, ma anche il sindaco Marchetti riconosce che negli ultimi anni l'uomo ha accelerato i processi che hanno portato a un incremento della temperatura a livello globale. Il sindaco si ricorda anche da piccolo la neve era maggiore rispetto ai giorni d'oggi. "È chiaro che se volessimo realizzare in questo momento l'impianto ex novo, sicuramente ci darebbero dei pazzi", riconosce.

Proprio come ha proposto Mercalli sull'utilizzo delle montagne anche in estate, Borgo Lares sta portando avanti da alcuni anni una strategia di diversificazione delle attività. "Durante l'estate facciamo lo sci d'erba, l'impianto nuovo che stiamo per fare nasce anche per il trasporto delle biciclette, quindi bisogna anche cercare di aumentare la possibilità di utilizzo degli impianti. Cerchiamo di non chiudere gli occhi davanti agli eventi, ma allo stesso tempo non essere catastrofisti".

"Due metri di neve erano la normalità": il racconto della Sicilia di 40 anni fa

Se al Nord si avverte l'aumento delle temperature, figuriamoci al Sud. Siamo ai piedi dell'Etna, in Sicilia, nei pressi di uno dei vulcani più importanti del nostro Paese. Tommaso Ferlito, maestro di sci da oltre 30 anni sugli impianti di risalita del vulcano, ci offre il ricordo di un panorama che, per essere ottimisti, sta lentamente sparendo. "Faccio sci da quando avevo nove anni, dopo un passato da agonista sono diventato istruttore nel 1991, quando avevo 31 anni", ci racconta. Attirato dalla neve, quando ancora non c'era un impianto di risalita, ha indossato il primo paio di sci nel 1969. "Quando avevo nove anni, gli inverni erano carichi di neve. Sull'Etna le quantità di neve che cadevano erano qualcosa di impressionante. Quando ce ne era pochissima, si trattava almeno di due metri di neve. Dire che la neve arrivava a quattro o cinque metri di altezza era una cosa più che normale, in una stazione invernale", ci spiega. Poi, con il passare degli anni, prima gli '80, poi i '90 e i 2000, Ferlito ci racconta che la situazione è diventata via via più critica.

Proprio come ha affermato Mercalli, la stagione  sciistica si sta accorciando sempre di più. Prima si iniziava intorno ai primi di dicembre e si arrivava fino ad Aprile, Ferlito ricorda che anni fa addirittura non era strano vedere persone sciare verso il 1° maggio. "Il primo impianto sull'Etna è molto antico, è stato fatto a Etna Sud, costruita e portata dal Monte Bianco. L'ha costruita il Conte di Torino insieme a una cordata di soci, fra cui gli attuali proprietari degli impianti a Etna-sud. Ora quelle strutture sono ferme, sono anni che lì non arriva più neve".

"Ferraglia", così Ferlito descrive le stazioni sciistiche a Nicolosi. Due impianti di risalita sono da dismettere, la seggiovia (che come ci spiega il maestro da sci, non ha mai funzionato a pieno) è stata costruita intorno all'anno 1998 e non ha più senso di esistere. A Nord invece ci sono quattro impianti dove si continua a sciare, ma Ferlito ci racconta di stagioni sempre meno nevose sempre più brevi. "Noi siamo, in questo momento, l'unica Regione senza neve, e molto probabilmente non ha nemmeno più senso aprire le stazioni da sci, se continua così", dice Ferlito.

Ormai la neve non arriva più ad Aprile, come quando ero ragazzo. Accade quasi ogni 7-8 anni.

Sull'Etna, infatti, ci vogliono almeno 50cm per sciare, non ci sono cannoni perché il vulcano non è provvisto di riserve idriche tali da innevare in maniera artificiale. "Per realizzare una pista da 1km ci vuole la disponibilità idrica di un lago. Sull'Etna l'acqua non c'è perché va sotto terra, e non si può pompare l'acqua per creare dei bacini a 1100 metri d'altezza, perché sarebbe insostenibile sia ambientalmente che economicamente". La situazione drammatica descritta da Ferlito è simile a quella di migliaia di persone che vivono le montagne in tutto il Paese, e che grazie al turismo invernale riescono a vivere. Purtroppo, però, le località che riescono a coprire i costi a fine stagione sono ormai sempre meno, secondo i dati Nevediversa 2023. Molti aprono perché hanno accordi con il Comune, o perché devono portare avanti strutture come alberghi, parchi etc.

"Il turismo bianco ha messo in moto un movimento che fa vivere milioni di persone intorno a questo settore: albergatori, camerieri, cuochi, autisti, macchinisti etc.", spiega Ferlito, raccontandoci di come è cambiato negli anni il turismo della famosa "settimana bianca". Si ricorda di essersi accorto che la situazione stava cominciando a cambiare intorno agli anni 2000, oltre 20 anni fa. Eppure si continuavano a concedere le autorizzazioni per la costruzione di nuovi impianti da sci al di sotto dei 2000 metri. Al contrario nostro, la Svizzera e l'Austria hanno stabilito per legge che non sarà più possibile farlo. "Poi ci sono stati anni in cui di neve ne ha fatta parecchia ultimamente, ma non è che un anno su sette fa la differenza, perché sta diventando una costante". 

I cambiamenti climatici stanno minacciando l'Italia sia dal mare che dalle montagne. Da una parte mettono a serio rischio le città che si trovano a un'altitudine molto vicina al livello del mare, dall'altra modificando interi habitat montani. Come ricorda l'IPCC, c'è ancora modo per intervenire. Non bisogna perdere la speranza e resistere. Sulle montagne del 2024 la resistenza si fa contro il riscaldamento globale.

Fonte| Nevediversa 2023;