Sei seduto al tavolo di un ristorante. Piatti e posate sono ordinatamente al loro posto e mentre da dietro il vetro del bicchiere acqua e vino ti guardano ammiccanti, un cameriere ti porge un libretto di carta, impreziosito da una copertina in pelle nera e lettere dorate in rilievo. Poi con fare accogliente ed elegante si avvicina e ti rivela che questa sera le meduse sono davvero deliziose.
Ieri quest’immagine probabilmente sarebbe stata un incubo digerito dopo una cena andata male, oggi potrebbe tramutarsi in una fantasia perché strano è bello e la curiosità ti punzecchia. E domani?
Abbiamo provato a sbirciare nel futuro della nostra gastronomia e la possibilità che un giorno potremo davvero ritrovarci delle meduse nel piatto o in cucina non sembra poi così fantascientifica. Anzi, è molto reale.
In questa direzione sta spingendo «GoJelly», un progetto europeo che dal 2018 sta studiando le meduse a 360°. La più intrigante di queste angolazioni ce l'ha raccontata la dottoressa Antonella Leone, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari di Lecce: "Stiamo indagando la sicurezza delle meduse come alimento per l’uomo e il loro uso come fonte di composti bioattivi con proprietà nutrizionali e farmaceutiche".
Le meduse nel piatto fanno un po' strano. Sono un alimento tradizionale nel Sud-Est asiatico, dove da circa 2000 anni si fanno grandi scorpacciate di meduse ma per noi europei sono soltanto misteriosi esseri acquatici, che vivono nelle oscurità del mare e da cui conviene stare lontani se non vuoi una dolorosa irritazione sulla pelle.
Siccome le meduse sono un alimento senza tradizione alimentare in Europa, di conseguenza non hanno una storia come «safe food» e la sua sicurezza deve essere dunque dimostrata e certificata dall’Efsa, l’ente europeo che si occupa proprio di stabilire i criteri che definiscono sano e sicuro un cibo.
Per noi, le meduse sono dei cosiddetti nuovi alimenti. “Questo concetto non si riferisce solo a quelli derivati da organismi viventi ma anche agli alimenti frutto di nuovi processi alimentari – ci ha spiegato la dottoressa Leone – Nella legge dedicata ai nuovi alimenti è stata aggiunta una specifica pensata appositamente per quegli alimenti che sono nuovi in Europa ma che hanno una lunga tradizione in paesi terzi: proprio come le meduse”.
Quando è stato approvato il progetto GoJelly, il compito di valutare la sicurezza delle meduse come potenziale prodotto alimentare per gli uomini è andato all’Ispa di Lecce.
I ricercatori, guidati dalla dottoressa Leone, hanno così iniziato a studiare le specie presenti nel Mediterraneo e nei mari del Nord per poi indagare quali di queste potevano essere deputate a diventare un alimento. “Abbiamo così individuato i parametri biologici, chimico-fisici e di processo per sviluppare e valutare un metodo per la produzione di alimenti a base di meduse”.
Abbiamo visto che una notevole quantità di persone si sono dette disponibili alle meduse come alimento
Se le meduse sono protagoniste nella cucina della parte orientale del Mondo, puoi facilmente intuire che l’unico procedimento di lavorazione oggi disponibile è appunto quello tradizionale cinese.
Si tratta di un metodo unico e secolare che, però, non è adeguato ai parametri di sicurezza europei: “Questo processo fa uso di sale e allume, ovvero sali di alluminio ed è un problema questa metodologia lascia nel prodotto finale quantità troppo elevate, e quindi tossiche, di questi sali di alluminio”.
È provato che le meduse siano potenzialmente commestibili, cucinabili ed effettivamente anche gustose: se ti infilassi in un qualsiasi ristorante, in Cina, le troveresti regolarmente nel menù offerte nelle modalità più variegate e probabilmente mentre tu aspetti, altri clienti sarebbero già al bis.
Il metodo di produzione cinese lascia nel prodotto finale quantità tossiche di sali di alluminio
Provare a trasportare un po’ di Oriente in Occidente significa trovare il giusto modo per declinarlo e adattarlo ai nostri usi, alla cultura e alle tradizioni culinarie che, come ben sai, specialmente in Italia sono praticamente dogmi sacri. Per questo, il primo obiettivo del progetto GoJelly è stato elaborare un metodo alternativo per trasformare la medusa in un alimento.
Nel Sud-Est Asiatico, l’essiccamento delle meduse avviene con sale allume e attraverso un procedimento molto lungo e manuale. È un metodo tradizionale, tramandato di generazioni in generazioni e che, secondo la dottoressa Leone, non si intende modificare, sostanzialmente perché il prodotto finale, molto croccante, è storicamente molto apprezzato. “Inoltre, in Cina, vengono tollerate soglie più alte per il contenuto di alluminio alimentare nelle meduse”.
Un prodotto processato con il metodo asiatico "supererebbe i limiti di 1milligrammo di alluminio per settimana per chilo di peso corporeo. Se pensiamo a un prodotto cinese, queste dosi corrisponderebbero a mezza porzione alla settimana di meduse”. Secondo i calcoli della dottoressa Leone, perciò, è chiaro che con una porzione alla settimana, un uomo di 70kg supererebbe i limiti indicati dall’Efsa.
Il nuovo metodo senza allume creato dai ricercatori leccesi si chiama «Mediterranean Style»: "abbiamo anche depositato due brevetti. Si tratta di una metodologia che fa uso di prodotti alternativi ai sali di alluminio per stabilizzare la biomassa di meduse dal punto di vista microbiologico”.
Come a dire: il primo passo per portare le meduse in tavola l’abbiamo fatto.
Come le maratone, anche per le meduse si va un passo alla volta. Quello successivo, i ricercatori l’hanno mosso direttamente verso le cucine. E non cucine qualsiasi.
“Una delle mission del nostro progetto è il trasferimento tecnologico e nel progetto abbiamo collaborato anche con alcuni chef stellati come Gennaro Esposito o Pasquale Palamaro”. Dalle loro idee e intuizioni, ci ha raccontato la dottoressa, sono nate diverse ricette a base di meduse del Mediterraneo, tanto che ne hanno fatto un vero e proprio CookBook, un ricettario.
Ci sono il carpaccio di meduse, le zuppe e anche i fritti. Le meduse, insomma, sono sempre più vicine, anche se ad oggi non sono ancora un alimento autorizzato in Europa.
Però: “L’approvazione è una procedura abbastanza veloce. Basterebbe che un Paese membro facesse la richiesta, che passerebbe poi da una valutazione della Commissione europea e da un parere di Efsa. In caso di giudizio positivo, l’alimento verrebbe approvato in quel paese e di riflesso in tutta l’Europa e così potrebbe essere commercializzato e somministrato nei ristoranti”.
Prima ti ho raccontato che uno degli obiettivi del progetto GoJelly è quello di verificare se le meduse, come alimento, hanno davvero delle proprietà nutraceutiche.
Quando parlo di nutraceutica intendo la combinazione di proprietà nutrizionali e farmaceutiche. Un esempio ne sono i vegetali, che contengono una serie di composti, come i carotenoidi o le antocianine che, come ci ha spiegato la dottoressa Leone, possono avere un basso potere nutrizionale ma una forte connotazione salutistica poiché in grado di favorire la corretta funzionalità di diversi processi del corpo umano.
Forse non lo sapevi, ma la farmacopea cinese raccomanda le meduse per il trattamento di molte patologie di tipo cronico o anche infiammatorio. “In realtà, ad oggi gli studi scientifici che confermino in maniera convincente queste proprietà sono molto pochi, perciò uno dei nostri obiettivi è stato avviare una serie di studi scientifici per verificare le reali proprietà nutraceutiche”.
Dunque, le meduse possiedono proprietà nutraceutiche? La dottoressa Leone ci ha messo sul piatto un altro punto a favore delle meduse. Alcune specie presenti sulle coste italiane, infatti, avrebbero una fortissima attività antiossidante e antinfiammatoria: “Per alcune specie di meduse questa caratteristica è legata alla presenza di microalghe che si stabiliscono come endosimbionti nei loro tessuti. Queste hanno una forte attività antiossidante ed estratti di queste meduse avrebbero un potere antiproliferativo sulle cellule cancerose”.
Proprietà nutraceutiche ma anche "pro-ambiente". Se ti ricordi, all’inizio la dottoressa Leone ci aveva raccontato che il progetto GoJelly studia anche la possibilità di utilizzare le biomasse delle meduse per individuare soluzioni contro l'inquinamento da microplastiche.
Questo lato dello studio ha preso avvio dall’osservazione di un gruppo di studiosi francesi secondo cui il muco di molte specie di meduse sarebbe in grado di agglomerare le nanoparticelle. “Una parte del nostro gruppo di lavoro sta studiando le caratteristiche del muco per sviluppare poi dei materiali, caratterizzati dalle stesse interazioni chimico-fisiche e in grado di filtrare le microplastiche. Sono coinvolti in questo i colleghi sloveni e israeliani”.
L’idea è sviluppare dispositivi da utilizzare a valle dei depuratori oppure a valle degli elettrodomestici casalinghi come lavatrici in modo da fermare le microplastiche o le fibre.
Forse sono buone, le produrremmo sicuramente in modo più sicuro, potrebbero aiutarci a ridurre la presenza di microplastiche dove non dovrebbero stare e avrebbero effettivamente proprietà nutrizionali e farmaceutiche: ma introdurre le meduse nel nostro universo gastronomico sarebbe una mossa saggia dal punto di vista ambientale?
Scenario: domani esplode la medusa-mania e tutti corriamo al supermercato o al ristorante perché non vogliamo più farne a meno. In questo caso, avremmo arricchito la nostra alimentazione o rischieremmo invece di mettere ancora una volta in pericolo un’altra specie vivente?
Le caratteristiche del muco di medusa può aiutare a sviluppare materiali in grado di filtrare le microplastiche
Se parliamo di sostenibilità nel senso di possibilità di approvvigionarsi oggi e per le generazioni future di questa risorsa, la dottoressa Leone fa una premessa: ad oggi non ci sono dati di pesca sostenibile perché non c’è pesca di meduse in Europa, “possediamo dati per quanto riguarda il contesto asiatico e dalla loro analisi risulta che anche le meduse possono risentire della sovrappesca”.
Dal momento che non ci sono altri dati, si possono solo fare delle ipotesi. E secondo la dottoressa Leone, se ben gestite le meduse potrebbero essere una filiera alimentare sostenibile.
Tutto in virtù del loro particolare ciclo di vita. “Una medusa ha una fase adulta, che è quella che conosciamo, e un’altra fase del ciclo vitale che si chiama polipo: uno stadio microscopico che vive aderente al substrato duro del fondo marino. Il polipo produce le meduse adulte e queste, possedendo sia forma maschile che femminile, generano i gameti che formano le planule dalle quali, a loro volta, si formano i polipi e poi nuovamente le meduse”.
Siccome verrebbe pescata solo una fase del ciclo vitale delle meduse, in teoria lasceremmo loro la possibilità di riprodursi. “Ma non è così semplice, anche tutte le condizioni ambientali devono essere favorevoli, e in un ambiente che cambia così velocemente, anche a causa dell’intervento dell’uomo, nulla è prevedibile con certezza”.
Se mai un giorno le meduse fossero autorizzate ad entrare nella nostra alimentazione, l’augurio della ricercatrice dell’Ispa di Lecce è che non si verifichi quel che avviene con il sovra-sfruttamento dei pesci, “che vengono pescati quando sono troppo piccoli o nella fase riproduttiva, impedendo di fatto che il ciclo vitale possa proseguire”.
A proposito della pesca di meduse e del tipo di mercato che potrebbe nascere un giorno, secondo la dottoressa Leone una produzione industriale di meduse non sarebbe fattibile: piuttosto, dice, le meduse possono e devono diventare un prodotto locale e stagionale.
Ci ha fatto l’esempio di ciò che avviene sulle coste della Georgia, negli Usa, dove la «cannoball jellyfish» oggi viene pescata dai professionisti impegnati nella pesca del gamberetto, che negli ultimi anni sta subendo una forte crisi. “In mancanza di altro, questi pescherecci si danno alla pesca della medusa, che viene poi trattata e spedita in Asia perché negli Stati Uniti non ha mercato. Non mi augurerei questo per le nostre meduse. Non mi augurerei che aziende non europee raccogliessero meduse del Mediterraneo e le trattassero con sale allume per spedirle poi sul mercato orientale".
Se venissero autorizzate, secondo la dottoressa Leone le meduse andrebbero ad aggiungersi ad altri prodotti, diversificando così la pesca e quindi l’offerta ittica dando un'ulteriore risorsa alla cucina locale. “Idealizzandolo, il nostro lavoro vorrebbe permettere di valutare un ulteriore prodotto dei nostri mari per il nostro mercato del lavoro e per il nostro pubblico”.
Portare le meduse sulle nostre tavole, avrai capito, è una cosa seria. Una volta confermata la loro sicurezza, messo a punto il metodo per produrle e compilata la trafila burocratica per l’autorizzazione, il passo più difficile sarà rompere i pregiudizi e farle accettare.
Come ti dicevo prima, all’interno del progetto GoJelly la dottoressa Leone ha provato ad indagare i gusti e le disponibilità degli italiani con un sondaggio e i risultati sono stati positivi e 1500 persone hanno dato un convinto sì: “una notevole quantità di persone si sono dette disponibili, molte di queste hanno anche stabilito con quali altri cibi vorrebbero associare le meduse”.
“Abbiamo notato che i soggetti con un livello culturale maggiore e una maggior apertura mentale, indicata da viaggi nazionali o internazionali, erano particolarmente aperti alla possibilità di utilizzare le meduse come alimento”. È chiaro poi che l’interesse di chef stellati può certamente avere un ruolo nello svincolare l’idea della medusa come animale poco attrattivo e indirizzarlo verso una valutazione positiva di preziosa risorsa alimentare.
Aspettiamo, insomma. Intanto il primo colpo nel muro della reticenza l'abbiamo piazzato. Vero?