Sentenza storica in Congo: 30 anni di carcere al bracconiere che ha ucciso più di 500 elefanti

La sentenza è stata emessa da un tribunale dello Stato africano ai danni di Mobanza Mobembo Gerard, ritenuto responsabile dell’uccisione di centinaia di pachidermi, che, come sappiamo, sono costantemente nel mirino dei cacciatori di frodo per le loro zanne. Per le associazioni animaliste si tratta di una grande vittoria.
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Federico Turrisi 27 Agosto 2020

Un chiaro messaggio a tutti quei bracconieri che ancora sono liberi e continuano a macchiarsi di crimini orribili: certi atti saranno puniti in maniera esemplare. Assume un significato importante la sentenza emessa negli scorsi giorni da un tribunale della Repubblica del Congo, che ha condannato uno dei cacciatori più famigerati del Paese, Mobanza Mobembo Gerard (noto nell’ambiente come Guyvanho), a 30 anni di carcere.

Le accuse che pesavano sull'uomo erano molto gravi: oltre 500 elefanti uccisi, con lo scopo di alimentare il commercio illegale d'avorio (come sicuramente saprai, gli elefanti sono le vittime per antonomasia di questo losco traffico per via delle loro zanne), e tentato omicidio nei confronti di un ranger del Parco Nazionale di Nouabale-Ndoki, in Congo. Quest'ultimo elemento in particolare ha contribuito ad incrementare la pena.

Secondo i giudici, Guyvanho avrebbe iniziato a compiere le sue "spedizioni della morte" in Africa centrale, e in particolare nella riserva di Nouabale-Ndoki (tanto che si era guadagnato l'appellattivo di "macellaio del Nouabale-Ndoki"), già dal 2008. Guyvanho era stato arrestato nel maggio 2018, ma era riuscito a evadere, prima ancora che iniziasse il processo, dalla prigione di Ouesso. L'anno scorso è stato nuovamente arrestato e questa volta trasferito nel carcere di Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo.

Per gli animalisti si tratta di una sentenza storica che segna una pietra miliare nella lotta contro i bracconieri e nella protezione della fauna selvatica in Congo e, più in generale, nel continente africano. "In precedenza, i processi relativi ai crimini ambientali venivano celebrati nei tribunali civili, e la pena massima prevista era di cinque anni. Questa sentenza invia un messaggio estremamente forte: i crimini contro la fauna selvatica non saranno più tollerati e saranno perseguiti ai massimi livelli", ha commentato Emma Stokes, direttore regionale della Wildlife Conservation Society.