Servitù militare in Sardegna: la “Sindrome di Quirra” miete vittime, ma non ha colpevoli

Il 65% di tutte le servitù militari italiane si trova in Sardegna. Queste zone sono sottratte ai cittadini per diversi mesi durante l’anno, perché usate per esercitazioni militari con vero munizionamento da guerra. Il problema più grande, però, non sono i cartelli che vietano l’accesso, quanto più i problemi recati all’ambiente e alla salute delle persone.
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Rubrica a cura di Beatrice Barra
1 Agosto 2023

La spiaggia di Murtas, sulla costa orientale della Sardegna, sembra un luogo incantevole, ma finita l'estate si trasforma completamente, diventando una base militare.

Ombrelloni e famiglie che fanno il bagno lasciano il posto a missili e carri armati. Ma come ci è arrivata la guerra in Sardegna?

La storia del poligono militare di Salto di Quirra

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale l'Italia è diventata la sede di numerosi poligoni militari, ovvero aree di territorio e di mare dove le forze armate svolgono le esercitazioni con le armi da fuoco.

L'Italia, come membro della Nato, si impegnò a dare agli americani una sede di addestramento e basi militari. Naturalmente, serviva un luogo adatto, che si trovasse in una posizione strategica: abbastanza distante dai paesi dell'Est – che facevano parte del blocco d'influenza sovietica durante la Guerra Fredda – e con ettari di terra quasi completamente disabitati. Fu scelta la Sardegna, nel cuore del Mediterraneo.

Così nel  1956 è stato costruito a Salto di Quirra il poligono sperimentale e di addestramento interforze con vero munizionamento da guerra, il più vasto d’Europa , che si estende tra Cagliari e Nuoro. Precisamente è formato da due zone: il "poligono a terra" (di circa 12000 ettari) – che va dai confini sud-orientali di Perdasdefogu ai margini della Baia di Capo San Lorenzo –  e il "poligono a mare", che invece occupa una superficie di circa 2000 ettari lungo il tratto della costa.

La "servitù militare" in Sardegna

Qui, da più di mezzo secolo, oltre al tradizionale ruolo di centro di addestramento di soldati e depositi di carburanti, armi e munizioni, avvengono delle vere e proprie esercitazioni, guerre simulate, sperimentazioni di nuove armi. L’area non viene impiegata unicamente per preparare i soldati italiani, ma è concessa in uso per esercitazioni militari anche di Stati stranieri e alcune aree sono date in affitto ad aziende private o centri di ricerca.

È proprio al centro di questo gigantesco poligono che c’è la Spiaggia di Murtas, una zona che in verità per ben 8 mesi all’anno è presieduta dai militari. Infatti, questa area, come molte altre in Sardegna, è soggetta a “servitù militare” cioè significa che siccome confina con impianti militari, per motivi di sicurezza, queste terre sia che siano pubbliche, o private, sono sottoposte a delle limitazioni. In poche parole, nessuno può andarci.

Oggi in tutta l’isola l’area totale destinata ad uso militare, e sottratta dallo Stato ai civili, è pari a 237,65 km quadrati. Pensa che il 65% di tutte le servitù militari italiane si trovano proprio sull’isola.

Ma il problema per gli abitanti del luogo non sono i cartelli "Zona militare. Limite invalicabile": sono le presunte conseguenze ambientali e sulla salute delle persone.

Le vittime della "Sindrome di Quirra"

Tutto ebbe inizio quando, più di vent'anni fa alcune madri, in seguito alle patologie tumorali riscontrate nei propri figli militari che avevano svolto servizio nei poligoni sardi, denunciarono la cosa. Di lì a breve, anche i cittadini iniziarono a segnalare che c’era qualcosa che non andava.

Tumori, leucemie e patologie neurologiche stavano colpendo in modo insolito tutti coloro che vivevano e lavoravano nelle zone adiacenti. Venne rinominata la “Sindrome di Quirra” che oltre alle persone sembrò contagiare anche gli animali: nacquero agnelli deformi, persino con due teste.

Devi sapere che molte armi e munizioni possono contenere metalli pesanti, tra cui anche l’uranio impoverito, che in pratica è un uranio privato di gran parte, ma non di tutta, la sua radioattività. Le munizioni, ad esempio, i proiettili realizzati con uranio impoverito quando impattano sull'obiettivo sprigionano temperature fino a 3000 gradi, in modo da rompere anche l'armatura massiccia di un carro armato. Una volta esploso, il proiettile all'uranio si frammenta in tante particelle di uranio impoverito che si diffondono nell'ambiente.

Serbatoio di uranio impoverito, con evidenziata una perdita – Fonte: US Federal Government/Wikimedia Commons

Secondo i comitati di cittadini e le associazioni pacifiste, proprio l’esplosione di questi ordigni bellici di volta in volta sprigionerebbe delle nanoparticelle metalliche che contaminerebbero il territorio circostante come Quirra, compresa l'erba che le pecore brucano al pascolo, entrando così nella catena alimentare. Mentre le polveri portate dal vento inquinerebbero l’aria e, se inalate dalle persone, potrebbero depositarsi nei polmoni e in altri organi causando a volte gravissime conseguenze. Per non parlare del fatto che il forte calore sviluppato durante le attività militari, renderebbe sterili alcuni terreni, dove, in poche parole, adesso non cresce più nulla. Tutt'oggi girovagando per questi luoghi è molto semplice trovare resti di missili e materiali che possono contenere scorie radioattive.

Ci sono le vittime, ma non i colpevoli

In Sardegna, in questi ultimi vent'anni si sono susseguite denunce, inchieste, archiviazioni, commissioni, perizie. Gli studi sui soldati, sui cittadini e sugli animali nati deformi dimostrerebbero come le nanoparticelle metalliche contenute nei loro tessuti potrebbero avere avuto origine, probabilmente, dalle esplosioni. Sospetto alimentato anche da presunte somiglianze con le patologie contratte dai militari di ritorno dalle guerre in Afghanistan o in Iraq.

Eppure, di fatto, oggi questo disastro ambientale e sanitario non ha nessun colpevole. Ben otto comandanti del Poligono, che erano stati accusati di "omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri per non aver interdetto le aree dove si svolgevano brillamenti e lanci di missili e dotato il personale delle necessarie protezioni", sono stati assolti nel 2021, perché non c’erano prove idonee circa la sussistenza dei fatti.

Questo è l’esatto motivo per cui in tutto il video usiamo il condizionale. Esistono due facce della stessa medaglia: alcuni sostengono che ci sia una chiara correlazione tra le attività militari e i problemi ambientali e soprattutto di salute, altri invece negano o minimizzano tale relazione. Il risultato? Le esercitazioni continuano: l’ultima a maggio 2023, la “Joint Stars”, l’esercitazione nazionale più importante della Difesa, che impiega più di 4mila uomini e donne e circa 900 tra mezzi aerei, terrestri e navali.

Cosa ci sarà da difendere se continueremo ad attentare alla vita?

Nonostante tutto, c'è chi non si arrende e combatte per vederci chiaro ed eventualmente neutralizzare questa potenziale minaccia silenziosa.

È dal dopoguerra che nell’isola si scontrano due fronti opposti: da un lato ci sono i numerosi movimenti pacifisti che vogliono ottenere il riconoscimento delle conseguenze negative di queste attività, sulla salute e sull’ambiente.

E sul fronte opposto, c'è la realtà storica e strategica dei poligoni militari in Sardegna, che contribuiscono alla sicurezza e alla cooperazione internazionale del nostro Paese.

Per questo, è necessario che le istituzioni e le forze armate collaborino con la società civile per trovare soluzioni sostenibili e responsabili, che garantiscano il rispetto delle norme ambientali, la riduzione delle emissioni e della dispersione di sostanze inquinanti, il recupero e la bonifica dei siti contaminati per riuscire a valorizzare le risorse naturali e culturali della Sardegna. Solo così potremo conciliare il diritto alla difesa con quello alla vita.

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Polentona acquisita e curiosa instancabile. Sono a Milano dal 2016 e scrivo per passione da quando ho cinque anni. Amo il altro…