Si aprono nuove prospettive nella lotta al tumore al seno, il prof. Foresta: “Un gene può dirci se una donna è a rischio”

Un nuovo studio dell’Università di Padova ha scoperto che il gene E2F1, importante nella regolazione della proliferazione cellulare, se presente in più copie è associato a un maggiore rischio di sviluppare la neoplasia. Non solo: questa alterazione genetica sarebbe un tratto ereditario.
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Kevin Ben Alì Zinati 23 Marzo 2021
* ultima modifica il 23/03/2021
In collaborazione con il Prof. Carlo Foresta Professore di Endocrinologia dell'Università degli Studi di Padova.

Quando senti parlare di tumore al seno, in mezzo tra diagnosi e screening devi considerare il ruolo dei fattori di rischio. Ovvero tutti quegli elementi che appartengono alla vita di una persona e che possono favorire l’insorgenza della malattia. Conoscerai anche tu i principali: l’età, la presenza di fattori ormonali, dietetici o metabolici o una pregressa radioterapia a livello del torace.

Secondo il rapporto 2020 dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica, il tumore della mammella è la neoplasia più frequente nelle donne italiane: quasi un tumore maligno su tre colpisce il seno e, nel 2018, il carcinoma mammario era la prima causa di morte per tumore nelle donne, con più di 13mila decessi.

La Sanità pubblica, però, negli ultimi anni è riuscita a riscrivere i contorni della situazione. Ha contribuito tanto, e bene, ad aumentare la consapevolezza da parte delle donne verso la patologia e, soprattutto, è riuscita a migliorare le attività di screening.

Oggi la maggior parte dei tumori maligni al seno viene diagnosticata in fase iniziale: quando, insomma, la neoplasia non ha ancora metastizzato, l’intervento chirurgico di asportazione può essere conservativo e la sopravvivenza a 5 anni è an cosa piuttosto elevata.

Questo significa che siamo sempre più abili a leggere in anticipo le mosse di un tumore al seno. Sappiamo, insomma, interpretare sempre meglio e più in fretta il triangolo diagnosi-screening-fattori di rischio.

Quasi un tumore maligno su tre colpisce il seno e, nel 2018, il carcinoma mammario era la prima causa di morte per tumore nelle donne 

Un ulteriore passo in avanti è rappresentato dal nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Unità di Andrologia e Medicina della Riproduzione, dell’Università di Padova. Come ci ha spiegato il coordinatore del progetto, il professor Carlo Foresta, la familiarità e quindi della possibilità di ereditare la malattia attraverso la trasmissione dei geni di padre in figlio oggi sono fattori di rischio ancora più determinante perché “abbiamo scoperto un gene che, come un campanello d’allarme, può avvisarci del potenziale rischio di sviluppare il tumore”. 

Fin dagli anni ’80 la familiarità risulta tra i principali fattori di rischio per il tumore al seno e gli studi che si sono susseguiti nel tempo avevano già fatto pensare all’esistenza di uno o più geni di “predisposizione”, elementi dunque in grado aumentare le possibilità, per una donna, di sviluppare il tumore della mammella.

Abbiamo scoperto un gene che può avvisarci del potenziale rischio di sviluppare il tumore 

Prof. Carlo Foresta, ordinario di Endocrinologia dell'Università di Padova

L’attenzione del professor Foresta e del suo team è ricaduta su E2F1. Si tratta di un gene normalmente presente in due copie in ciascuno di noi ma che, in alcuni casi, può tuttavia avere alterazioni numeriche e presentarsi più abbondantemente. “Questo gene produce una proteina molto importante dal momento che partecipa in modo significativo alla riproduzione e alla divisione cellulare. Entrambi meccanismi che, se alterati, portano a una proliferazione cellulare incontrollata contribuendo alla successiva formazione di un tumore”.

I ricercatori hanno così coinvolto nel loro studio 222 donne affette da tumore al seno con l’obiettivo di capire se un’alterazione costitutiva del numero di E2F1, e quindi una maggior produzione della “sua” proteina, potesse essere alla base dei tumori della mammella.

“Abbiamo visto che il 4,5% delle donne con il cancro al seno presentava un’anomalia numerica del gene E2F1. Avevano, dunque, più copie di questo gene che producevano le proprie proteine in modo eccessivo” ci ha spiegato il professor Foresta.

Che ha poi sottolineato il vero punto di svolta dello studio: “nella popolazione sana questa alterazione numerica non esiste, perciò abbiamo indagato chi erano queste donne con più copie di E2F1 e abbiamo notato che si tratta di pazienti con un tratto familiare di comparsa di tumore al seno. L’alterazione del numero delle copie del gene, secondo Foresta, sarebbe dunque una caratteristica che viene trasmessa in forma ereditaria.

Puoi intuire quindi che una copia in più del gene E2F1 nel profilo genetico di una donna potrebbe davvero rappresentare un fattore di rischio in più per la comparsa del tumore al seno. Anche perché, tra le alterazioni genetiche associate al tumore della mammella, quella individuata dal gruppo del professor Foresta sarebbe una delle più frequenti. “L’identificazione del gene può diventare un tratto da ricercare nelle forme famigliari per prevedere la comparsa della neoplasia”.

Le donne con più copie di E2F1 erano quelle con un tratto familiare di comparsa di tumore al seno

Prof. Carlo Foresta, ordinario di Endocrinologia dell'Università di Padova

Lo studio padovano ha allargato ulteriormente gli orizzonti della sua esplorazione della famigliarità come fattore di rischio per il tumore al seno. “Stiamo anche studiando se esistono delle condizioni che attivano la formazione di questa proteina e l’attività del gene E2F1 indipendentemente dal numero di copie presenti” ha continuato il professor Foresta.

In sostanza, i ricercatori stanno cercando di capire se ci sono altri fattori che possono determinare un incremento nel numero del gene e quindi nella a produzione della proteina ad esso connessa, a prescindere dalla costituzione genetica della donna.

“Uno l’abbiamo trovato – ci ha raccontato Foresta – ed è il calore. Questo gene si esprime di più quando si trova in situazioni di elevate temperature: il calore è quindi in grado di aumentare l’attività di produzione della proteina di E2F1”.  E quindi può contribuire alla spropositata proliferazione cellulare eche, a sua volta, è connessa all’insorgenza del tumore.

Nei prossimi mesi il team studierà la relazione tra temperatura ed E2F1, anche in relazione al cancro al seno: “si è aperto uno scenario per il quale serve capire se la formazione genetica e tutte le condizioni che attivano questo gene rappresentano davvero fattori di rischio” ha continuato il professor Foresta.

Restando ai dati forniti fino ad oggi dallo studio padovano, puoi capire quanto la componente genetica potrebbe presto diventare ancora più determinante come fattore predisponente al cancro della mammella: in futuro, insomma, potremmo puntare sull’individuazione di “profili genetici di rischio” anziché sull’analisi di pochi geni associati a una maggiori di suscettibilità.

“La scoperta di più copie del gene nelle donne con cancro al seno è importante nell’ambito della ricerca di biomarcatori tumorali – ha concluso il professor Foresta – L’obiettivo è arrivare a una diagnosi precoce e allo sviluppo farmaci antitumorali per un trattamento terapeutico sempre più personalizzato. Obiettivo che oggi appare un po’ più vicino.

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