Un vaccino contro il cancro: a che punto siamo e quanto ci possono aiutare quelli per il Covid-19

Probabilmente non ci avresti mai pensato, ma la rapidità con cui abbiamo trovato un vaccino a mRNA contro il Coronavirus è dovuta anche ai progressi della ricerca contro il cancro. Il professor De Braud, dell’Istituto tumori di Milano, ci ha spiegato come potremmo sfruttare questi risultati per tornare a concentrarci sulla lotta alle neoplasie.
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Giulia Dallagiovanna 24 Maggio 2021
* ultima modifica il 24/05/2021
Intervista al Prof. Filippo De Braud Professore ordinario di Oncologia Medica presso l’Università degli Studi di Milano e Direttore del Dipartimento e della Divisione di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano

I vaccini contro il Covid-19 sono arrivati con una rapidità straordinaria. In questi ultimi mesi non abbiamo mai smesso di ripeterlo. Quello che però forse non sapevi è che parte di questo risultato lo dobbiamo alla ricerca sul cancro. La BioNTech di Mainz, l'azienda che ha prodotto Comirnaty di Pfizer, stava appunto lavorando a un vaccino contro il tumore, quando ha avuto l'idea di costruire uno uguale, ma per il Coronavirus. E quindi, ora, si potrebbe fare il contrario: utilizzare i successi ottenuti in pandemia per puntare a trattare patologie che continuano a farci paura.

Prima di tutto, però, una premessa: stiamo parlando di vaccini terapeutici, cioè che contribuiscono a curare la neoplasia quando si è già sviluppata, e di quelli preventivi per evitare di contratte determinate patologie.

"La rapidità con cui siamo stati in grado di sviluppare un vaccino a mRNA contro il Covid-19 potrebbe aiutarci a sviluppare una tecnologia per migliorare le capacità di vaccinare contro il cancro – ci conferma il professor Filippo de Braud, ordinario di Oncologia Medica presso l’Università degli Studi di Milano e Direttore del Dipartimento e della Divisione di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. – È un obiettivo al quale si sta lavorando con intensità".

La ricerca di un vaccino contro il cancro si muove oggi su tre livelli

Siamo di fronte principalmente a tre possibilità: "La prima riguarda l'utilizzo di un vaccino a RNA che contenga un messaggero della cellula tumorale, invece che la proteina necessaria al SARS-Cov-2 per infettare la cellula – spiega il professore. – Si possono individuare delle modalità con cui personalizzare il farmaco per ogni singola persona, in base alle caratteristiche della neoplasia". E oggi esistono in effetti delle tecnologie che lo permettono, ma si tratta di un metodo poco sostenibile dal punto di vista economico, perché non è possibile standardizzarlo.

"La seconda possibilità – prosegue – è quella di partire da un pool di diversi antigeni, sempre legati alla trasmissione dei geni che possono controllare il tumore, che si sviluppa di fatto da un'anomalia genetica. I tumori più immunogenici sono quelli che presentano un elevato numero di mutazioni, perché si discostano maggiormente dal tessuto normale e generano più immunità. Nel processo di evoluzione e differenziazione delle cellule si potrebbero trovare dei bersagli comuni che potrebbero essere utilizzati anche in tumori diversi, quando hanno lo stesso profilo genetico attivato. Sarebbe un vaccino più facilmente realizzabile. Verrebbe associato a meccanismi di depressione dell'immunogenicità attraverso farmaci immunoterapici e quindi si creerebbe una sinergia tra la riattivazione di un processo di immunizzazione e l'inibizione del sistema di repressione da parte delle cellule tumorali".

La terza possibilità riguarda invece la combinazione tra il vaccino e le terapie geniche Car-T: "In questo approccio si modificano in vitro i linfociti del paziente per indirizzarli verso un particolare antigene della cellula tumorale. Potrebbero poi essere reiniettati insieme alla vaccinazione. Per il car-T abbiamo già dei risultati molto buoni, perché anche linfomi per linfomi che risultano inguaribili si arriva al 50-60% di successo. Potrebbe essere un sistema per implementare ulteriormente l'efficacia", conclude De Braud.

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