Abitare in una casa popolare può essere motivo di vergogna. Almeno, fino a quando non arriva un’epidemia

Ti ricorderai com’era prima del Coronavirus, quando dire il tuo indirizzo significava rivelare un dettaglio importante di te: un inquilino di un alloggio popolare. E ti ricorderai anche quello sguardo di pietà misto a rimprovero o i pregiudizi che circondavano questa tua situazione. Adesso però è diverso: avere una casa significa essere al sicuro.
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Rubrica a cura di Giulia Dallagiovanna
6 Aprile 2020

In un momento in cui dobbiamo restare tutti a casa, avrai apprezzato l'importanza di avere un tetto sopra la testa. Un fatto che davi per scontato, forse, ma che ora assume una luce tutta nuova: chi non ha un'abitazione in cui rifugiarsi è costretto per strada, perché mense e dormitori sono chiusi e i centri d'accoglienza pure. Dunque, poco importa quanto sia ampio o angusto il tuo appartamento, quel che conta ora è avere la possibilità di pagare l'affitto, nonostante la vacanza forzata dal lavoro. Così, anche vivere in una casa popolare è forse un tabù che può finalmente venire abbattuto.

Ma ti ricordi come'era prima di questa epidemia? In quel palazzo straripante di appartamenti e di persone, dove trovare un proprio angolo al riparo dai suoni degli appartamenti accanto è quasi impossibile? O dove la raccolta differenziata, l'acqua corrente e la luce che che funziona non possono essere date per scontato?

Forse non ti era mai venuta molta voglia di invitare a casa tua un amico o la persona con cui uscivi e ti sentivi un po' messo a nudo quando dovevi rivelare il tuo indirizzo a qualcuno. Sì, perché nonostante tutto quello che ci raccontiamo per mettere a tacere la nostra coscienza e sentirsi più bravi, abbiamo sempre quella smielata tendenza alla compassione. "Poverino, lui, non vorrei proprio essere nelle sue condizioni". Perché va bene accettare che qualcuno non possa permettersi di pagare un affitto, ma che non capiti a me.

Compassione, pietà, pregiudizio ora lasciano il posto alla nuda realtà: avere una casa è un diritto

Sopportare quello strano sguardo di pietà, che si porta sempre dietro anche un'ombra di rimprovero, non è facile. Ecco perché abitare in una casa popolare è ancora un tabù: in qualche modo è come se fosse colpa tua, se non ti fossi impegnato abbastanza a guadagnare uno stipendio più alto, a trovare un lavoro migliore. Per non parlare del pregiudizio che aleggia attorno a questi alloggi, secondo cui chi vi abita è probabilmente un piccolo criminale o comunque uno da cui è meglio stare alla larga.

Adesso, però, è diverso. Con un virus in giro si capisce meglio quanto sia reale e concreto il diritto alla casa: solo chi ne ha una è davvero protetto. E allora non ha più importanza quale sia la tua o quanto stretti e fatiscenti possano essere i suoi spazi interni. Ma soprattutto, non è più rilevante quello che ne pensano gli altri. Di fronte alla reale necessità, il tabù cade.

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Sono Laureata in Lingue e letterature straniere e ho frequentato la Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. Mi occupo principalmente altro…