Abortire è sinonimo di libertà ma le leggi e gli obiettori cercano di limitarla: due storie di chi l’ha vissuto

Aborto può voler dire sofferenza, sensi di colpa, ma sicuramente è sinonimo della libertà di poter decidere del proprio corpo, del proprio futuro. Nella Giornata internazionale dei diritti delle donne vogliamo denunciare le difficoltà che impediscono la piena applicazione della legge 194/1978 e lo facciamo attraverso le storie di chi quelle difficoltà le ha vissute, Annalisa e Sofia.
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Evelyn Novello 8 Marzo 2024
* ultima modifica il 08/03/2024
Intervista a Annalisa e Sofia Donne che hanno avuto accesso a IVG

"Il termine "interruzione volontaria di gravidanza", IVG, porta a pensare che tutto dipenda dalla volontà della donna. Ma non c'è volontarietà, io non ho potuto scegliere. Alcune situazioni ti capitano e basta". Questa è la storia di Annalisa e Sofia (nomi di fantasia) e tutte le altre donne che hanno scelto di abortire. Le ragioni possono essere mille, ma possiamo sintetizzarle con un semplice "non lo volevo". E non si tratta di un capriccio, di un giocattolo che volevi tanto e di cui ti sei subito stancata. Si tratta di una responsabilità troppo grande da gestire, in quel momento, in quel modo, con quel potenziale padre.

La legge 194 del 1978 sancisce, in Italia, la possibilità di abortire entro i primi 90 giorni dal concepimento ma ciò che può rendere una scelta dolorosa un vero e proprio calvario sono due fattori: la parziale e scorretta informazione in materia di IVG fornita da personale obiettore, e un lasso di tempo insufficiente per accedere alla pratica. Le storie che ti presentiamo oggi, in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle donne, sono intrise, in parte di dolore, ma, soprattutto, di consapevolezza di aver fatto, nonostante tutto, la scelta giusta. Le parole che leggerai sono delicati pezzi di vita che accomunano tantissime di noi, anche chi meno ti aspetti, perché, purtroppo, i pregiudizi che ancora regnano nella società non rendono possibile una serena condivisione di questi vissuti. Noi ci abbiamo provato e speriamo di aver reso loro giustizia.

La scelta di abortire

La storia di Annalisa inizia in Italia ma termina in Inghilterra. In mezzo ci sono una relazione tossica, minacce e violenza psicologica, i cui segnali, però, sono comparsi solo dopo la gravidanza. "Quando ho scoperto di essere incinta avevo poco più di vent'anni – ci racconta, – ero molto felice perché un po' mi ci vedevo mamma. Il problema, però, è che in quel momento vivevo una relazione che mi sono accorta solo dopo la gravidanza essere molto tossica. Il mio compagno di allora era molto possessivo, geloso. Controllava ogni messaggio, ogni mio spostamento. Prima ancora di fare le prime ecografie, avevo subito minacce, mi diceva che mi avrebbe tolto il bambino, che non l'avrei mai visto. Piuttosto che far nascere un figlio in un ambiente fatto di ricatti emotivi e di violenza, ho capito che la scelta migliore fosse quella di interrompere la gravidanza".

Tutti e tre i test hanno dato esito positivo. Ho pensato: "No, non può succedere a me, ho preso tutte le precauzioni del caso"

Sofia

Sofia ha un passato diverso sotto alcuni punti di vista, ma ugualmente forte. La sua gravidanza è stata frutto di una serie di fatalità e, l'aborto stesso, l'inizio di un percorso a tratti tragico che non si sarebbe mai immaginata di affrontare. "Avevo 29 anni – ci confida – un lavoro a tempo indeterminato ed ero single da poco. Quando ho iniziato a frequentare un ragazzo e al primo appuntamento abbiamo avuto un rapporto, il preservativo si è rotto. Ho preso immediatamente la pillola del giorno dopo, su consiglio della mia ginecologa, ma passando il tempo le mestruazioni non arrivavano. Ho fatto tre test di gravidanza. Tutti e tre hanno dato esito positivo. In quel momento ho pensato: "No, non può succedere a me, ho preso tutte le precauzioni del caso". Certo, immaginavo di voler figli intorno ai 30 anni, ma nella mia idea di famiglia ci deve essere amore, come c'è tra i miei genitori. Volevo un figlio ma non così, non in quel momento, non con quella persona che conoscevo appena".

Accesso all'aborto

Ritrovarsi da un giorno all'altro in una gravidanza non voluta significa, per la maggior parte delle donne, essere completamente impreparate sul tema dell'aborto. A chi rivolgersi? Quali diritti ci spettano? In una nazione come la nostra in cui il 64,6% dei ginecologi è obiettore di coscienza (dai del 2020), può accadere che nemmeno il personale sanitario faciliti l'accesso al percorso dell'IVG.

"La prima cosa che ho fatto – ammette Annalisa – è stata andare su internet e cercare la parola "aborto". Mi sono imbattuta in informazioni veritiere ma anche in affermazioni faziose date dai Pro Vita. Capivo che il giudizio generale era contrario e questo mi ha condizionato molto. L'unica persona che poteva darmi una mano era un medico che, però, mi ha risposto dicendo "Io questo non lo faccio perché vado in chiesa tutti i giorni"".

"Mi sono rivolta alla mia ginecologa – racconta Sofia – che mi ha fatto capire che non avrebbe appoggiato questo mio percorso. Ho iniziato a cercare su internet i consultori della mia città. Dopo aver firmato i moduli necessari, mi hanno detto di prendermi dei giorni per pensarci. Quando ho fatto la prima ecografia, il medico mi ha informata del fatto che fossero due gemelli. Il messaggio che ha voluto passarmi è così avrei impedito non a una, ma a due persone di nascere. Tutte quelle attese, quelle frasi tendenziose mi hanno dato la percezione che volessero prolungare i tempo solo per farmi cambiare idea. Ma rimandare e invitarci a riflettere serve solo a farci star male ancora di più".

L'aborto chirurgico

Ero circondata da giudizi come "avrai il senso di colpa per tutta la vita", "la pagherai all'inferno".

Annalisa

Come abbiamo detto, sono 90 giorni di gestazione il limite consentito per legge per accedere all'aborto. La conoscenza dello stato di gravidanza però, avviene, di solito, almeno dopo il primo mese dal concepimento. Calcoliamo poi il tempo necessario per giungere a una decisione, più o meno lungo, più o meno doloroso, e, infine tutte le varie procedure burocratiche per arrivare all'intervento. Che, a volte, in Italia, non è più legalmente possibile.

"Ero già intorno alla 11.ª settimana – racconta Annalisa – quando ho capito che questo mio ritardo nel prendere la decisione di interrompere la gravidanza poteva essere gestito solo all'estero e, così, la mia scelta è ricaduta su Londra. Non potevo accedere agli ospedali pubblici non essendo residente lì, mi servivano una clinica privata e una traduttrice. Per una serie di coincidenze fortunate, ho trovato tutto ciò che mi serviva. Il personale è stato gentilissimo, avevo di fianco un'infermiera che mi accarezzava finché non mi sono addormentata. Appena fatta l'operazione, mi sono sentita libera finalmente, libera da un problema".

Ma non tutto è come sembra. Il giudizio dilagante relativo all'aborto è spesso negativo, tanto da far sentire la donna un'assassina. "La voce si era sparsa – continua Annalisa – ero circondata da giudizi come "avrai il senso di colpa per tutta la vita", "la pagherai all'inferno". Mi sono ritrovata al centro di una gogna social iniziata per merito delle dicerie che metteva in giro il mio ex compagno. Sentiva di aver perso ogni potere su di me e, per questo, mi insultava. Quando mi ha chiesto un ultimo appuntamento per salutarci, al posto di raggiungere lui, sono andata dai carabinieri. Probabilmente se avessi accettato di rivederlo non sarei qua ora a parlarne".

Nel caso di Sofia, invece, è stata l'operazione stessa ha dare il là a un periodo molto difficile. "Da quando ho attivato le pratiche burocratiche è passato quasi un mese – spiega Sofia – ho potuto accedere all'intervento per un soffio, poco prima del termine. L'aborto chirurgico per me è stato un'esperienza traumatica. Dal punto di vista fisico mi ha fatto allergia l'anestesia e dal punto di vista psicologico ho avuto un periodo molto difficile in cui, di notte, mi sognavo madre. Ho immaginato tutto quello a cui stavo rinunciando".

storie aborto italia

Post aborto: ricadute psicologiche

Abortire significa sentirsi libera, ma può voler dire anche provare sensi di colpa, chiedersi se quella fosse la scelta giusta. Pensieri continui e assillanti che rendono necessario un sostegno psicologico. "Ho iniziato da subito un percorso di psicoterapia – racconta Annalisa – ma, quando poi è nato mio figlio 7 anni dopo, mi sono resa conto che quell'aborto fosse trauma mai elaborato. Essere di nuovo in gravidanza, affrontare un parto, affrontare tutto quello che concerne la cura di un bambino, è stato un continuo legame con quello che non è accaduto prima. Ora sto bene, ci ripenso ogni tanto ma mai con rimpianto. Prima dell'operazione ho pensato che sarebbe stato meglio morire piuttosto che uscire da quella clinica ancora incinta e ora ho la certezza di aver preso la decisione più appropriata".

"Ho avuto forti sensi di colpa – spiega Sofia. – Nei mesi successivi sono stata molto male, ho cercato di elaborare il trauma con la mia psicoterapeuta ma sono caduta in un momento di forte depressione. Nel frattempo vedevo le mie amiche che si sposavano, che facevano figli, e questo mi faceva scontrare con la vita che non ho scelto di avere. Sono passati 4 anni e so di aver fatto la scelta giusta. Rivendico con fierezza il diritto di decidere del nostro corpo e del nostro futuro ma non nascondo che la paura che possa accadere di nuovo mi ha fatto cambiare il mio approccio alle relazioni e al sesso".

La legge italiana sull'IVG

Viene fatta passare per una decisione sulla vita di qualcun altro, ma riguarda solo noi stesse.

Sofia

Al netto di quello che hai letto, è chiaro che abortire non sia una decisione presa così a cuor leggero. Eppure, non solo la 194 è evidentemente frutto di una mentalità piuttosto antica, ma da più parti si cerca di limitare ancor di più questo così esile diritto. A partire dalla proposta di associazioni Pro Vita ed esponenti di centro-destra di obbligare i medici a far ascoltare alla donna il battito del feto.

"Penso che sarebbe una violenza legalizzata – esclama Annalisa. – Se ho già deciso di non voler portare avanti una gravidanza, nessuno ha il diritto di provare a farmi cambiare idea. Posso anche aver risorse economiche, una relazione stabile e bellissima, ma se questa gravidanza non la voglio questo motivo è già sufficiente. Allo stesso modo, la 194 dovrebbe essere aggiornata ascoltando maggiormente le donne e la loro volontà. Io in due settimane ho speso più di 5.000€ e mi sento una privilegiata perché avevo la possibilità, ma è un servizio che la sanità pubblica dovrebbe garantire".

"Tutti i tentativi di dare sempre più forma umana a quello che è un embrione sono di una violenza devastanteconclude Sofia. –Trovo disumani tutti i tempi allungati con il proposito di farti cambiare idea, è un'attesa semplicemente frustrante. Viene fatta passare per una decisione sulla vita di qualcun altro ma è una decisione che prendiamo noi per noi stesse".

"A chi si trova nella situazione in cui mi trovavo io 7 anni fa direi che non è finita così – conclude Annalisa. – C'è ancora tanto altro di meraviglioso e tutte le voci che ascolti fuori e dentro di te non sono reali. Non sei un'assassina. I bambini non chiedono di nascere, è responsabilità di noi adulti riuscire a garantir loro una situazione in cui possano crescere al meglio. E strada facendo mi rendevo conto che questa garanzia io non gliela avrei potuta dare".

Un po' di dati

Dalle analisi relative all'anno 2021, le ultime pubblicate, fornite dal Ministero della Salute,

  • il numero di IVG è diminuito in tutte le aree geografiche del Paese (-4,2% rispetto al 2020);
  • le IVG chirurgiche sono state il 50,7% del totale degli interventi effettuati in Italia, secondo pareri medici, una modalità più rischiosa per la donna rispetto a quella farmacologica;
  • il 91,3% degli interventi è stato eseguito negli Istituti di cura pubblici, il 4,3% nelle cliniche convenzionate autorizzate, il 4,3% negli ambulatori pubblici;
  • il numero totale di sedi ospedaliere con reparto di ostetricia e/o ginecologia, nel 2021, risulta pari a 562, di queste solo 335 (59,6%) effettuano IVG. Solo in due casi (P.A. Bolzano e Campania) la percentuale è inferiore al 30% delle strutture censite;
  • il consultorio familiare è il luogo prevalentemente usato per il rilascio della certificazione necessaria alla richiesta di IVG (42,8%), rispetto agli altri servizi.
dati aborto italia 2021

Da questi dati, puoi capire l'importanza della figura dei consultori familiari, tra le prime vittime però, degli tagli al welfare che tolgono gli investimenti necessari per i servizi. L’ultimo censimento ufficiale risale 2019, quando se ne contavano 1800, quindi circa il 60% in meno dello standard minimo previsto per legge, ma già dal 2007 si registrava un calo costante. Teniamo presente, tra l'altro, che solo il 68,4% del totale dei consultori in Italia effettua counselling e rilascio certificati per l’IVG. Numeri sempre più preoccupanti che rischiano di non garantire il diritto all'aborto nel nostro Paese.

Dalle informazioni fornite dall'Associazione Luca Coscioni, in Italia, nel 2021, c'erano 72 ospedali con una percentuale di obiettori tra l’80 e il 100%22 ospedali e 4 consultori con il 100% di obiezione tra medici ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e OSS. Sono 18 gli ospedali con il 100% di ginecologi obiettori.

Le ragioni per cui riscontriamo un costante trend in diminuzione nel numero delle IVG possono essere molteplici. Potrebbe esserci minor volontà da parte delle donne di interrompere una gravidanza, potrebbe aver influito il banale calo demografico italiano, ma fanno la loro parte sicuramente anche la pesante percentuale di personale sanitario obiettore e la scarsa e scorretta informazione che, a volte, si rendono complici di figli non voluti.

Fonti | Ministero della Salute; Gazzetta Ufficiale; Associazione Luca Coscioni

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.