Arezzo, un ragazzo 16enne ha salvato un uomo col defibrillatore: perché è importante insegnare a usarlo già a scuola

Ad Arezzo, un ragazzo di 16 anni ha utilizzato un defibrillatore per salvare la vita di un uomo di 52 anni. Il giovane non aveva mai frequentato un corso ma sapeva cosa fare grazie agli insegnamenti di un professore di ginnastica. Una storia che dimostra, ancora di più, quanto la rianimazione cardiopolmonare dovrebbe arrivare prepotente sui banchi di scuola.
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Kevin Ben Alì Zinati 13 Luglio 2023
* ultima modifica il 01/08/2023

Le braccia tese e tremanti, le mani intrecciate sul petto che spingono una, due, tre, quattro volte. Niente. Poi due placche appiccicate sul torace, un bottone e una scarica. Il corpo vibra, il cuore riparte ma si ferma ancora. Altre due scariche. Dai, torna.

Quei dieci minuti, Alessandro non li scorderà mai. In quei dieci minuti di sangue freddo e coraggio, Alessandro ha capito che Marcello stava avendo un attacco cardiaco. Prima gli ha fatto il massaggio cardiaco, poi è corso al muro della chiesa dove era fissato il defibrillatore automatico e ha provato a fargli ripartire il cuore.

Ha continuato finché non è arrivata l’ambulanza con medici e personale sanitario per trasportare l’uomo subito in ospedale. Qui Marcello si è ripreso perché Alessandro l’aveva salvato.

Marcello Amadori ha una cinquantina d’anni ed è un papà: poteva essere il mio, il tuo. Alessandro Dioni invece, di anni, ne ha 16 ed è uno studente: potevo essere io, potevi essere tu?

Il tutto si è svolto nelle scorse ore ad Arezzo, vicino al muretto del piazzale di San Marco, al termine di una cena del campo scout tra famiglie dopo la quale Marcello ha accusato un malore, si è accasciato e ha cominciato a star male.

Un vero corso di primo soccorso, Alessandro non l’ha mai seguito e in quei dieci minuti ha messo in pratica ciò che il professore di educazione fisica del liceo aveva insegnato a lui e a tutta la classe facendo pratica su dei manichini.

In questa storia ci sono due eroi. Uno è Alessandro, sebbene non voglia fregiarsi di un tale appellativo. “No, non sono un eroe, sono uno scout” ha dichiarato in varie interviste.

La Treccani racconta che nell’antichità gli eroi erano coloro che compivano imprese prodigiose ed eccezionali e che oggi si tende a definire eroico chi dà prova di grande valore e coraggio portando a termine azioni straordinarie. Far ripartire un cuore senza essere formato per farlo rientra in questo genere di imprese, Alessandro: accettalo.

Dall’altra parte c’è un eroe senza nome e senza volto che merita tuttavia lo stesso applauso. Senza la sensibilità e la lungimiranza del professore di ginnastica, Alessandro non avrebbe saputo quali manovre salvavita applicare e come, non avrebbe pensato al DAE sul muro della chiesa. In quella situazione, chissà, Alessandro magari non sarebbe intervenuto.

Spinto da una propria sensibilità oppure da una circolare del preside, il professore di ginnastica in ogni caso ha compiuto qualcosa tipico delle storie di eroi. Ha sfidato un nemico, questa volta incarnato non da una persona fisica ma da un sistema che oggi continua a zoppicare e porta i ragazzi delle scuole a studiare tutto e a tralasciare molte delle cose che servono.

La legge 116/2021 prevede la sensibilizzazione sul tema della rianimazione cardiopolmonare e l’utilizzo dei DAE a scuola, sui banchi. La sua applicazione, però, è ancora lenta e troppo poco standardizzata, oltreché spesso lasciata in mano alle singole iniziative di pochi.

In Italia ogni anno si contano circa 60mila morti per arresto cardiaco. Facendo i conti, vuol dire 1 ogni mille abitanti, più o meno 7 ogni ora, la maggior parte dei quali avviene in luoghi extra-ospedalieri come case o piazze. L’incidenza di sopravvivenza dopo un arresto cardiaco è pari all'8%.

Una percentuale che potrebbe lievitare addirittura al 60-70% se la distribuzione dei DAE in strade e piazze delle città italiane ancora fosse più capillare – è spinta sempre dalla legge 116/2021 – e soprattutto se più persone conoscessero le manovre di primo soccorso. Oggi infatti il 58% delle persone che assiste a un infarto interviene con il massaggio cardiaco, il 28% prende il defibrillatore.

Tieni a mente poi che l’arresto cardiaco che avviene lontano dall'ospedale ha una percentuale di sopravvivenza ancora più bassa perché è "tempo-correlata": prima si interviene, più aumentano le possibilità di sopravvivenza.

La prima scarica con il defibrillatore, per evitare danni cerebrali, dovrebbe essere somministrata entro 3 minuti ma considera che ogni minuto che passa le possibilità calano del 10%.

Sensibilizzare, sì. Come fa per esempio l’Azienda Usl di Bologna in collaborazione con l’Italian Resuscitation Council con il progetto «Kids Save Lives», una campagna internazionale per sensibilizzare e formare la popolazione scolastica nella gestione delle emergenze cardiorespiratorie.

Certe cose però andrebbero insegnate, studiate. Dovrebbero diventare oggetto di corsi e lezioni. E qual è il luogo dove fare tutto questo? Hai capito.

Siamo convinti che toccare con mano cosa vuol dire salvare una vita forse – forse – aiuterebbe a renderci tutti quanti un po’ più umani.

Ci insegnerebbe un po’ di più il valore della vita: come tutelarla, valorizzarla e rispettarla. La nostra come quella degli altri. Un po’ come ci saremmo aspettati dall'utilizzo delle mascherine: proteggo me per proteggere te.

È qualcosa che non si può imparare solo sui libri, ma a scuola .

Giornalista fin dalla prima volta che ho dovuto rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”. Sulla carta, sono pubblicista dal altro…
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