Infarto: quali sono i sintomi e cosa può provocare un attacco cardiaco

L’infarto è la necrosi di un tessuto provocata dalla mancata ossigenazione. Può verificarsi in diverse parti del tuo corpo: l’ictus non è altro che un infarto al cervello. In questo articolo però parleremo di quello del miocardio, conosciuto come attacco cardiaco. Cioè il fenomeno al quale ti riferisci quando utilizzi questa parola.
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Giulia Dallagiovanna 31 Luglio 2019
* ultima modifica il 31/07/2019
Con la collaborazione della Dott.ssa Daria Liberto Cardiologa ed elettrofisiologa presso l'IRCCS Multimedica di Sesto San Giovanni (Milano)

Nella tua mente, la parola infarto sarà probabilmente associata ad attacco cardiaco. Ma quello al cuore non è l'unico tipo nel quale puoi incorrere. L'ictus, ad esempio, è un vero e proprio infarto del cervello, ovvero una mancanza di ossigenazione che provoca la necrosi dei tessuti. Quello al miocardio però è sicuramente tra i più comuni ed è il tipo su cui si concentra questo articolo. È sempre provocato da un'occlusione di una o più arterie coronariche, ma le ragioni alla base del problema possono essere diverse.

Tra i fattori di rischio c'è l'età, certo, ma anche lo stile di vita e l'alimentazione: lo sport rafforza il cuore mentre i cibi ricchi di grassi portano alla formazione di placche di lipidi nei vasi sanguigni che possono esplodere e generare dei coaguli, cioè dei trombi, che mandano il muscolo cardiaco in tilt.

Se ti avverti un forte dolore al petto e una sensazione di occlusione, o se una persona vicino a te lamenta questi sintomi, chiama subito un'ambulanza e, se puoi, dovresti intervenire con l'apposito massaggio cardiaco.

Cos'è l'infarto

In termini medici, l'infarto è una prolungata sofferenza ischemica di un tessuto, che porta alla necrosi, cioè alla morte, di questo. Di conseguenza, può colpire diverse parti del corpo, tra cui l'intestino, i polmoni o il cervello. Nell'ultimo caso, si parla di ictus. Come avrai capito, quello che tu comunemente chiamo con questo nome è in realtà solo una tipologia di un insieme più vasto, ma è proprio di questo che si parlerà nell'articolo. Il cosiddetto "attacco di cuore" è, in realtà, l'infarto acuto del miocardio, il tessuto che riveste le pareti del muscolo cardiaco.

Quando una o più zone di questa membrana non ricevono un'ossigenazione sufficiente, iniziano ad andare in necrosi e mettono in pericolo l'organo che dovrebbero proteggere. La ragione spesso è che una o più arterie coronariche risultano ostruite e non lasciano passare tutto il sangue che dovrebbe irrorare il cuore e portare a esso le sostanze nutritive necessarie alla sua sopravvivenza. In sostanza, è come se una mano invisibile stesse letteralmente soffocando il tuo muscolo più importante.

L'infarto colpisce soprattutto il lato sinistro del cuore, all'altezza del ventricolo e può essere diviso in due sottotipologie: l'infarto miocardico trasmurale, che provoca la necrosi della parete in tutto il suo spessore, e l'infarto subendocardico, che riguarda invece solo gli strati interni del tessuto.

Le cause dell'infarto

La causa principale dell'infarto è appunto l'ostruzione, o l'occlusione, di un'arteria diretta al cuore. Ma cosa provoca questa situazione? Altre patologie che possono avere come complicanza proprio l'attacco cardiaco. Vediamole insieme:

  • Arterosclerosi: la causa più comune. Si tratta della lenta formazione di placche formate da lipidi e globuli bianchi all'interno dei vasi sanguigni principali. Si chiamano ateromi e possono rimanere silenti per un po' tempo. Ma se si rompono danno origine a coaguli di sangue, cioè a trombi, che aumentano il volume della placca e diventano un improvviso ostacolo alla corretta circolazione.
  • Embolia: si verifica quando un frammento di placca si stacca e inizia a girovagare nei tuoi vasi sanguigni. Se li occlude, si forma un'embolia.
  • Spasmo coronarico: un fenomeno meno raro e che colpisce soprattutto chi fa uso abituale di droghe, come la cocaina. Una contrazione violenta, improvvisa e involontaria di un'arteria coronarica che ne causa l'occlusione.

Queste situazioni possono anche verificarsi assieme, soprattutto se le tue condizioni di salute non sono proprio al 100% e se vengono peggiorate da uno stile di vita poco sano.

I sintomi dell'infarto

Il sintomo più comune dell'infarto miocardico acuto è l'intenso dolore toracico, all'altezza del cuore in sofferenza. Si chiama anche angina pectoris e si estende oltre il petto. Colpisce la spalla, il braccio, la schiena, al collo, fino ad arrivare a mascella e denti. Persino lo stomaco può risentirne. In contemporanea, avverti un senso di oppressione, come se qualcuno ti stesse premendo il torace con un piede. Si concentra soprattutto all'altezza dello sterno, cioè verso il centro della zona interessata, e ti sembrerà proprio di venire stretto in una morsa.

Queste due manifestazioni possono verificarsi subito dopo uno sforzo o un'emozione molto intensi, ma possono anche avvenire senza nessun motivo scatenante apparente. Possono avere inoltre una durata variabile, dai 5 ai 20 minuti, ma anche ripresentarsi episodicamente per diversi giorni, aumentando di frequenza e intensità.

Le donne possono presentare sintomi diversi

In conseguenza di questi primi segnali, potrebbero poi insorgere altri problemi. Ad esempio, una forte sensazione di nausea e conseguente vomito, difficoltà respiratorie ed episodi di fiato corto o mancanza di respiro, vertigini e svenimenti. È naturale che in una situazione di questo tipo, la tua mente venga pervasa dall'ansia e da una percezione di morte imminente, sono comunque messaggi che il cervello ti sta inviando per farti intuire la gravità dell'episodio. Ne conseguono dunque un generale pallore, sudorazione e possibili brividi.

Il realtà però tutti questi sintomi si verificano assieme soprattutto nei casi più gravi. Quando insorgono in modo molto improvviso, determineranno quasi sicuramente la morte, poiché mancherà il tempo di intervenire. Ma, a dispetto di quanto appare nei film, si tratta per fortuna di una piccola porzione dell'intera casistica. Soprattutto in anziani o in chi ha appena subito un trapianto di cuore, invece, può addirittura risultare asintomatico. Quando invece gli interessati sono persone senza problemi di salute e non troppo avanti con l'età, può manifestarsi con dolori e senso di oppressione, che però migliorano con il riposo. In nessun caso, comunque, i sintomi o l'infarto sono da sottovalutare.

Sintomi dell'infarto nelle donne

Prima dei 50 anni di età, i più soggetti risultano essere gli uomini, ma le donne sono quelle che hanno una percentuale più alta di mortalità o di gravi complicanze. Questo perché è meno semplice diagnosticare un attacco cardiaco in una paziente. I suoi sintomi potrebbero infatti anche essere diversi rispetto al vicino di letto maschio. Potrebbero addirittura non percepire affatto il dolore e il senso di ostruzione, ma avvertire nausea, dolori al collo e alla schiena e una sensazione di svenimento. Su Ohga ti avevamo già parlato del fatto che le donne rischiavano di morire di infarto più degli uomini.

Le complicanze dell'infarto

Tra tutte le persone che vengono colpite da infarto, circa l‘11% muore. Una percentuale che per fortuna è in diminuzione, grazie a strumenti diagnostici sempre più precisi e a una maggior rapidità negli interventi. Chi supera l'episodio, però, potrebbe incorrere in complicanze anche molto gravi, soprattutto se il danno subito è stato ingente.

I problemi maggiori sono le alterazioni del ritmo cardiaco, ovvero le aritmie. Si tratta di una sorta di corto circuito provocato dalla necrosi dei tessuti che dà origine a un malfunzionamento del muscolo, che riesce più a contrarsi e rilassarsi in modo regolare. Alcune di queste variazioni sono pericolose, se non addirittura letali. La fibrillazione ventricolare, per esempio, è caratterizzata da una contrazione anomala e non simultanea delle fibre che costituiscono i ventricoli. Di conseguenza, non viene pompato più sangue a sufficienza nelle arterie. A questa condizione purtroppo si sopravvive difficilmente.

Un'altra complicanza probabile, ma che non risulta per forza letale, è invece l'insufficienza cardiaca, che potresti conoscere anche come scompenso cardiaco. Il muscolo sano rimanente non è più in grado di fare il suo lavoro in modo completo, perciò le contrazioni saranno più deboli e non verrò pompato tutto il sangue necessario nelle arterie. Al resto del tuo corpo non arriverà dunque ossigeno e nutrienti a sufficienza. Potrebbe però anche limitarsi a un malfunzionamento temporaneo, che si risolve a mano a mano che il cuore si riprende dal trauma. In altri casi diventa invece una condizione cronica, con la quale si può convivere, ma a patto di adottare diverse cautele e di sottoporsi alle terapie indicate. Nei casi estremi, sopraggiunge invece lo shock cardiogeno, che preclude la capacità di generare pressione. E questa situazione, invece, può rivelarsi fatale.

Se il danno al cuore diventa molto esteso e il muscolo non riesce a riprendersi, possono sopraggiungere degli aneurismi, cioè delle eccessive dilatazioni del tessuto che non sa come rispondere alla pressione del sangue che non viene più adeguatamente inviato alle arterie. Nei casi più gravi, si può arrivare a lacerazioni vere e proprie del muscolo e come potrai immaginare sono complicanze che si rivelano spesso fatali.

Non solo fibre e tessuto possono risentire di un infarto. Anche le valvole che si occupano di regolare il passaggio del sangue nelle varie parti del cuore, in particolare la mitrale a sinistra e tricuspide a destra, possono subire dei danni e non funzionare più a dovere. Una situazione da tenere sotto controllo affinché non pregiudichi la sopravvivenza.

I fattori di rischio per l'infarto

Ci sono diversi fattori che possono aumentare il rischio di soffrire di infarto. Alcuni di questi non sono modificabili, altri invece sì, perciò ti potrebbe essere utile conoscerli per intervenire in tempo sul tuo stile di vita.

Tra quelli che non puoi cambiare si trova l'età: come potrai immaginare, più passano gli anni e più crescono le possibilità. Anche il sesso è, in un certo senso, un fatto di rischio poiché prima dei 50 anni sono risultati essere più soggetti gli uomini, mentre i numeri si equiparano quando le donne entrano in menopausa e vengono loro meno gli ormoni protettivi per il cuore. Infine, come spesso accade, anche la questione familiarità è da tenere presente. Se nella tua famiglia sono frequenti le malattie cardiovascolari acute e se in alcuni dei tuoi parenti si sono anche manifestate mentre era ancora giovane, le probabilità saranno maggiori anche per te.

Aspetti che dipendono, almeno in parte da te, riguardano invece le tue abitudini e i tuoi comportamenti quotidiani. Prima di tutto, lo stile di vita è molto importante: rimanere seduto tutto il giorno e magari fumare abitualmente o esagerare con le quantità d'alcol ingerite mettono in serio pericolo la salute del tuo cuore. Allo stesso modo, anche una dieta ricca di grassi saturi e iodio non favorisce la corretta circolazione del sangue. Come hai visto, il più delle volte all'origine di un infarto ci sono proprio delle placche di lipidi.

Tra le patologie che aumentano il rischio di infarto c'è, poi, l'ipertensione arteriosa. Soffrire di pressione alta provoca un aumento del lavoro del muscolo cardiaco che, alla lunga, può stancarsi e iniziare a non funzionare più in modo adeguato. Così, anche il flusso di sangue ne risente e possono formare delle occlusioni arteriose. Un gatto che si morde la coda, in sostanza. Aumenta inoltre la probabilità di avere l'aterosclerosi che, tra le complicanze, annovera proprio l'attacco cardiaco e l'ictus.

Infine, il diabete. Troppo zucchero nel sangue non favorisce la circolazione e quindi nemmeno la corretta ossigenazione dei tessuti. Può dunque provocare problemi cardiaci in modo diretto, oppure causare insufficienza renale che, in secondo luogo, minerà il funzionamento del cuore.

La diagnosi di infarto

Quando insorgono i primi sintomi, non tentennare. Dirigiti subito al pronto soccorso oppure chiama un'ambulanza, perché, come abbiamo visto, con l'infarto non si scherza per nulla. Per la diagnosi definitiva il medico prenderà in considerazione anche la tua storia clinica familiare, ma soprattutto ti sottoporrà ad alcuni accertamenti. Il primo esame è di solito l'elettrocardiogramma (ECG), per verificare l'eventuale presenza di aritmie o la variazione nelle onde elettriche che rispecchiano i battiti del tuo cuore.

Anche delle banali analisi del sangue possono essere utili per conoscere meglio la situazione. Quando è in corso un attacco cardiaco infatti il muscolo produce un maggior numero di alcune proteine che vengono rilasciate nel sangue e diventano di conseguenza dei marcatori della patologia. Dovrai però ripeterle a distanza di tre, sei e nove mesi per tenere sotto controllo le funzioni dell'organo vitale.

Ma se l'infarto è ancora in corso, l'esame più utile è sicuramente l'angiografia coronarica: le ostruzioni nelle arterie vengono individuate attraverso uno screening con i raggi X. Se queste sono effettivamente presenti, si ricorre poi all'angioplastica, cioè all'impianto di un tubicino, chiamato stent, che deve mantenere il vaso dilatato e ristabilire la circolazione.

Cosa fare in caso di infarto?

Se alcuni segnali ti fanno temere di avere un attacco cardiaco in corso, o se una persona accanto a te sta subendo questo grave episodio, è fondamentale che tu intervenga tempestivamente. La prima cosa da fare è chiamare un'ambulanza, rispondere con precisione alle domande che ti verranno fatte e seguire le istruzioni che ti forniranno. Se invece non c'è disponibilità di mezzi, accompagna la persona in ospedale e ricorda che non si dovrebbe guidare quando ci si trova in queste condizioni.

La prima cosa da fare è chiamare un'ambulanza o raggiungere un ospedale

Se il medico ha prescritto la nitroglicerina, chi ha un attacco cardiaco in corso dovrebbe assumerla in quel momento, mentre si attende l'arrivo del personale medico, perché dilata temporaneamente i vasi sanguigni arteriosi. Un discorso simile vale per l'aspirina, che svolge una funzione anticoagulante e favorisce la prosecuzione della corretta circolazione. Previene dunque la formazione di trombi ed evita che la situazione peggiori. Nessuno di questi farmaci deve però essere assunto se un medico non lo ha consigliato.

Un trattamento d'emergenza fondamentale è il defibrillatore automatico, che riporta il cuore a un ritmo cardiaco normale grazie a una scarica elettrica. Se però non lo sai utilizzare, aspetta che sia una persona qualificata a intervenire. Esistono comunque corsi di primo soccorso e primo intervento nei quali insegnano anche come approcciarsi a questi strumenti salvavita. Al contrario, anche chi non è adeguatamente addestrato dovrebbe comunque applicare un massaggio cardiaco (rianimazione cardiaco-polmonare o RCP) secondo le istruzioni che gli vengono fornite. Una serie di compressioni ritmiche sul torace che aiutano a rifornire il cuore e il cervello di ossigeno.

Come si interviene in caso di infarto

Come ti dicevo prima, se l'infarto è ancora in corso all'arrivo in ospedale, il primo intervento sarà un'angioplastica coronarica per riaprire l'arteria occlusa. Dopodiché si potranno prendere altre misure, come un bypass aortocoronarico: in poche parole, se quel tratto di vaso sanguigno risulta ormai irrecuperabile, si utilizza una parte prelevata da un'altra vena del paziente e si costruisce una sorta di ponte, una deviazione per permettere al sangue di continuare a circolare.

Infine, vengono somministrati alcuni farmaci. Oltre all'aspirina e alla nitroglicerina, di cui ti parlavo, vengono anche prescritti dei trombolitici, per sciogliere i coaguli, e degli anticolagulanti e altre medicine che aiutino a mantenere il sangue più fluido e prevenire le aggregazioni di piastrine che provocano le occlusioni. Per limitare i danni si ricorre invece ai beta-bloccanti, che aiutano a rallentare il battito, diminuire la pressione arteriosa e favorire il riposo del muscolo cardiaco. Sono utili anche per prevenire nuovi episodi.

Infine, farmaci che provocano l'abbassamento del colesterolo nel sangue e aumentano le probabilità di sopravvivenza se assunti in tempo. Tra questi vi sono le statine, i sequestratori degli acidi biliari, i fibrati e la niacina.

Il parere dell'esperto

Abbiamo chiesto alla dottoressa Daria Liberto, cardiologa ed elettrofisiologa presso l'IRCCS Multimedica di Sesto San Giovanni (Milano), quanto lo stile di vita influisca sul rischio di infarto:

"Lo stile di vita influenza moltissimo le probabilità di soffrire di attacco cardiaco. Esistono infatti fattori di rischio non modificabili, come l'età, il sesso e la familiarità, ma anche comportamenti modificabili e, tra questi, vi sono stile di vita e alimentazione. Prendiamo come esempio la donna, che fino alla menopausa è meno soggetta a infarto, grazie agli ormoni protettivi, mentre una volta superati i 50 anni, le possibilità si equivalgono. Ma se si seguono comportamenti salutari, come praticare attività fisica almeno due o tre volte a settimana, per un totale di un paio d'ore, può aumentare il colesterolo HDL ("buono") nel sangue. Questa molecola protegge dalla formazione di placche ateromasiche nei vasi e quindi dal rischio di infarto. 

Grazie a uno stile di vita sano riusciamo quindi a mantenere elevati i valori di quelle sostanze che aiutano la prevenzione. Anche l'alimentazione gioca un ruolo importante: limitando i grassi e incrementando le quantità di frutta a verdura, si può agire sui alcuni fattori di rischio modificabili, come l'ipertensione arteriosa. A tal proposito, controllare la pressione una volta a settimana, anche se non si ha mai sofferto di questo problema di salute, è utile per correggere prontamente eventuali variazioni preoccupanti. E farmaci, dieta e attività fisica sono proprio i primi elementi che andiamo a modificare. 

Un discorso simile vale anche in caso di diabete. Può trattarsi infatti di una forma dovuta alla familiarità, ma se il soggetto diabetico controlla i valori glicemici e li mantiene entro i livelli consigliati, tende a diminuire i rischio di attacco cardiaco.

Infine, per cercare di allontanare questa probabilità il più possibile, è utile effettuare degli screening periodici, soprattutto con l'avanzare dell'età. Una visita cardiologia, un'ecocardiogramma e un elettrocardiogramma (Ecg) sono esami strumentali che aiutano nella prevenzione. Ma quello che meglio permette di valutare l'intensità del rischio è la prova da sforzo, perché mostra se vi sono modifiche nella soglia di sopportazione. Si tratta di una registrazione continua, tramite elettrocardiogramma, del battito cardiaco mentre si viene sottoposti a uno sforzo fisico massimale, calcolato in base all'età del paziente. Se vi sono cambiamenti, allora potrebbe essere un campanello d'allarme e si rendono necessari ulteriori accertamenti".

Fonti| Humanitas; Fondazione Veronesi

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