Catania sommersa dall’acqua è la testimonianza della gravità della crisi climatica (e di quanto siamo impreparati ad essa)

Un violento nubifragio si è abbattuto ieri sulla città etnea, provocando danni incalcolabili (e un morto, finora). Gli scienziati ci dicono che l’area mediterranea è un hotspot climatico ed è risaputo che il nostro Paese è particolarmente soggetto al dissesto idrogeologico. Mettere in sicurezza il territorio deve essere quindi una priorità: si chiama adattamento ai cambiamenti climatici.
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Federico Turrisi 27 Ottobre 2021

Siamo abituati all'idea che uragani e tifoni colpiscano con la loro furia Paesi lontani da noi. L'errore più grosso che possiamo fare è dimenticarci che la crisi climatica è una crisi globale. Riguarda quindi da molto vicino anche noi europei. Anche noi italiani. Esattamente a tre anni di distanza dalla tempesta Vaia, che causò la distruzione di decine di migliaia di ettari di foreste tra Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, nella giornata di ieri si è verificato a Catania un disastro ambientale che ci ricorda ancora una volta quali siano le conseguenze del cambiamento climatico in atto.

Ha ragione il movimento Fridays for Future: non dobbiamo chiamarlo maltempo. A proposito della perturbazione che sta interessando la Sicilia e la Calabria in queste ore, si legge e si sente parlare di medicane (dalla fusione delle parole inglesi mediterranean e hurricane), ovvero di ciclone tropicale mediterraneo. Detto in altre parole, si tratta di un intenso vortice di bassa pressione stazionario che trae la sua forza dall'energia termica sprigionata dalle acque calde del mare e che riversa poi sulla terraferma piogge torrenziali.

Il risultato sono le immagini, a dir poco impressionanti, che abbiamo visto in rete o al telegiornale: sale di ospedale e aule universitarie allagate, vie trasformate in fiumi. C'è chi non ha esitato a definirla "l'apocalisse". No, allo stupore e al senso di impotenza dobbiamo far seguire una fase di profonda riflessione. L'alluvione che ha travolto il capoluogo etneo è un assaggio di quello che ci attende in futuro se non facciamo subito qualcosa per ridurre le emissioni di gas serra.

L’"Osservatorio nazionale Città e Clima" di Legambiente ci dice che dall'inizio del 2021 ai primi di ottobre in Italia si sono registrati 113 eventi estremi, tra ondate di calore, siccità, allagamenti dovuti a piogge intense, trombe d'aria, esondazioni fluviali che hanno provocato danni in 99 Comuni. Una conferma del fatto che il cambiamento climatico è già qui e adesso.

Ipotizziamo per assurdo che domani si arrestino di colpo le emissioni di gas climalteranti di origine antropica. La temperatura terrestre continuerebbe comunque ad aumentare, perché l'atmosfera ha accumulato dall'inizio dell'età industriale a oggi già una grande quantità di gas serra. Il punto è un altro: di quanto aumenterà? Questo dipende dai nostri comportamenti attuali. In sostanza, ci dicono gli scienziati dell'Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), c'è ancora tempo – poco, a dire la verità – per scongiurare gli effetti più catastrofici causati dal riscaldamento globale ai danni degli ecosistemi e della popolazione. Dalle scelte di oggi dipenderanno le vite di domani.

Quando si parla di contrasto alla crisi climatica, sono due le parole chiave da tenere a mente: adattamento e mitigazione. Quest'ultima consiste, in estrema sintesi, nel prendere misure volte alla riduzione alla fonte delle emissioni di gas serra (vedi il passaggio dai combustibili fossili alle rinnovabili per la produzione di energia) e, più in generale, all'attenuazione del problema del cambiamento climatico (vedi per esempio alla voce "riforestazione").

Ma concentriamoci un attimo sulla prima parola. Dobbiamo prepararci a eventi ancora più devastanti di quello accaduto a Catania? La risposta è sì. Questo vuol dire, come leggiamo anche tra gli obiettivi della Cop26 di Glasgow, costruire difese, sistemi di allerta, infrastrutture e agricolture più resilienti per prevenire e ridurre al minimo i danni legati a eventi meteorologici estremi.

Ora, quella mediterranea è considerata dagli esperti una delle aree più sensibili al cambiamento climatico. Cioè, in gergo tecnico, è considerato un hotspot climatico. Citiamo un dato su tutti: lo scorso agosto proprio in Sicilia, e precisamente nei pressi di Siracusa, il termometro ha fatto segnare 48,8 °C, la temperatura più alta mai registrata in Europa.

C'è poi un altro aspetto a cui prestare la massima attenzione. L'Italia è un Paese fragile e particolarmente predisposto al rischio di dissesto idrogeologico. In parole povere, a frane e alluvioni. Questo è un punto fondamentale. E noi che cosa facciamo per contenerlo? Troppo poco. Il consumo di suolo non accenna a rallentare – è l'Ispra a ribadire che in Italia nel 2020 il cemento si è "mangiato" in media 2 metri quadrati di suolo al secondo – e la cementificazione selvaggia non ha fatto altro che aggravare negli anni il fenomeno della degradazione del suolo stesso.

Ad oggi, ricordiamolo, nel nostro Paese manca una legge a livello nazionale contro il consumo di suolo. Una lacuna imperdonabile in piena emergenza climatica. Le risorse previste dal Pnrr per la gestione e la prevenzione del rischio idrogeologico (2,49 miliardi di euro per i prossimi cinque anni) non sono sufficienti. A dirlo non è Ohga, ma il Consiglio Nazionale dei Geologi. Ci costa molto di più, in termini sia economici sia di vite umane, continuare a fare finta di niente che mettere in sicurezza il territorio. Parlamento e Governo, che cosa state aspettando?

Laureato in lettere e giornalista professionista, sono nato e cresciuto a Milano. Fin da bambino ad accompagnarmi c’è (quasi) sempre stato un altro…