L’Italia non sarà più “il Paese più bello del mondo”, se non ripensiamo l’approccio al cambiamento climatico

In Italia è ancora difficile parlare di misure per contrastare il cambiamento climatico. Questo perché farlo implica ripensare la nostra economia. Posto che una transizione energetica ed ecologica giusta non dovrebbe lasciare indietro nessuno, è possibile guardare oltre le polemiche quotidiane e costruire l’Italia del futuro?
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Francesco Castagna 24 Luglio 2023

C'è sempre un'esaltazione del nostro Paese nell'immaginario collettivo dei turisti, ma anche dei nostri connazionali: "Italiani, brava gente",  il "Belpaese", "Bella Italia, amate sponde", il Paese della "dolce vita", fino all'iperbole che conosciamo tutti: l'Italia è "il Paese più bello del mondo".

Potremmo concordare con questa definizione, anche se sappiamo benissimo che la frase in sé è piena di egocentrismo. E comunque non spetta a noi stabilire questo primato. Ciò che invece vorremmo fare è parlare di questa bellezza da un'altra prospettiva: siamo veramente consapevoli dello splendore dei luoghi in cui viviamo? Riusciamo veramente a comprendere l'importanza di preservarli per salvarli dagli effetti del cambiamento climatico?

Questa dovrebbe essere oggi l'unica considerazione importante. Tuttora, nei dibattiti, ogni riferimento agli effetti del riscaldamento globale nelle nostre città ci fa guardare al dito e mai alla luna: qualsiasi figura istituzionale che si permette di far notare quanto i nostri centri urbani d'estate non siano vivibili a causa del caldo, viene trattata come un nemico reo di voler attaccare il nostro turismo. In realtà il settore va già molto bene dall'inizio dell'anno: secondo gli ultimi dati Istat e Eurostat l'affluenza dei turisti in Italia si appresta a tornare nei prossimi mesi ai livelli pre-pandemici.

Ci sappiamo fare con il turismo. Questo è fuori da ogni dubbio. Tuttavia anche lo stivale italico ha il suo tallone d'Achille: ci sentiamo minacciati ogniqualvolta qualcosa o qualcuno ci fa notare che in futuro questo settore potrebbe non essere più così proficuo come lo è ora.

È successo tra maggio e giugno, quando abbiamo documentato le alluvioni in Emilia-Romagna: ai primi dubbi da parte dei cittadini e degli habitué della riviera, il ministro del Turismo Daniela Santanchè ha risposto prontamente: "Andiamo tutti in vacanza in Romagna per scongiurare la tragedia economica” (bene, e quella climatica che l'ha generata?).

È accaduto di nuovo il 23 luglio, quando il ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach, in vacanza in Italia, ha postato un tweet che ha fatto molto discutere: "[…]L'ondata di caldo qui è spettacolare. Se le cose continuano così, queste destinazioni di vacanza non avranno futuro a lungo termine. Il cambiamento climatico sta distruggendo l'Europa meridionale", invitando i turisti a trovare riparo nelle chiese, che secondo il ministro sono "fresche come celle frigorifere". E ha ben ragione, dato che sono anni che studi scientifici peer reviewed e report IPCC ci allertano della situazione.

Tornando alla pietra dello scandalo, la dichiarazione ha ricevuto numerose critiche dalla nostra classe politica, in particolare dalla maggioranza, che ha interpretato l'uscita di Lauterbach come un attacco al turismo in Italia. Anche in questo caso il ministro Santanchè si è affrettata a rispondere: "Stiamo affrontando il cambiamento climatico, che non riguarda solo noi ma tutto il Pianeta". Come al solito assistiamo a una polemica che guarda a un orizzonte troppo vicino, come se non avessimo le giuste lenti per decifrare un certo tipo di allarmi. Non si pone la giusta attenzione agli effetti del cambiamento climatico che aumenteranno negli anni a venire. Davvero pensiamo di sottrarci ai doveri previsti dagli obiettivi per il 2050 in materia di ambiente, energia e clima, semplicemente adottando la logica del "mal comune, mezzo gaudio"?

Qui il tema di fondo è che tutti gli istituti come l'IPCC ci ricordano come andremo incontro ormai a estati sempre più roventi. "Gli effetti sono destinati ad aumentare, con una serie di fenomeni che colpiranno tutte le sfere di interesse: a partire dalla disponibilità d’acqua e dalla produzione di cibo (produzione agricola, produttività degli allevamenti, itticoltura e pesca), passando per le aree urbane (colpite da alluvioni, danni di varia tipologia ad infrastrutture e a settori chiave dal punto di vista economico), per la nostra salute (malattie infettive, malnutrizione, salute mentale), e coinvolgendo tutti gli ecosistemi (terrestri e marini) e la biodiversità a vario livello", ci aveva spiegato Andrea Di Piazza, l'esperto di Ohga per i temi ambientali, commentando il 6° report IPCC.

Non possiamo soltanto incrementare la nostra percentuale di rinnovabili, come abbiamo fatto nel nuovo PNIEC, che comunque rimane bassa data la disponibilità di luce solare e di vento nel nostro Paese. Dobbiamo in ogni modo cercare di rendere vivibili le nostre città, come possiamo farlo?

Sembra banale, ma basterebbe diventare più verdi (qui avevamo parlato anche con l'architetto Stefano Boeri di rigenerazione urbana). Ciò significa ripensare i nostri spazi urbani, inserendo sempre più piante nelle nostre città. Anche in quei luoghi, nei centri storici, in cui non siamo mai stati abituati a vederle. Dobbiamo poi favorire il più possibile il trasporto pubblico, limitando le emissioni dei mezzi privati soltanto allo stretto necessario (attualmente molte persone che vivono nelle periferie o vicino ai centri urbani non possono ancora spostarsi agilmente verso il centro abitato). C'è bisogno di più mobilità dolce, ma soprattutto di riprogettare le città con materiali differenti, in grado di adattarsi meglio e resistere alle nuove temperature.

Ci sono poi effetti legati al cambiamento climatico di natura più grande. Gli incendi, le alluvioni, l'erosione delle spiagge, e l'aria insalubre stanno trasformando la morfologia del nostro Paese. Se da soli pensiamo di poter contare poco, sappi che non è così. Ogni giorno su Ohga ti raccontiamo come, se ognuno facesse la sua parte, potremmo ottenere notevoli miglioramenti sul clima. Nelle ore in cui fa meno caldo quindi, è giunto il momento di chiedere alle nostre istituzioni a ogni livello di prendere posizione su temi come: finanza green, stop alle estrazioni di combustibili fossili, decarbonizzazione dei trasporti, agricoltura sostenibile. Se non lo faremo, oltre a problemi legati alle alte temperature, potrebbero diagnosticarci la classica sindrome da rana bollita. Proprio la condizione di inazione che descriveva Chomsky, riprendendo un esperimento universitario:

“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°C avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”

Insomma, se la prossima volta che capiterà un episodio del genere tra due Paesi, ci comporteremo come due vicini che litigano perché "l'erba del vicino è sempre più verde", vorrà dire che non avremo capito proprio nulla. E allora altro che Belpaese.

Il mio interesse per il giornalismo nasce dalla voglia di approfondire tutto ciò che oggi giorno accade sempre più velocemente. Unisco altro…