Sentenza Carol Maltesi: se una donna è disinibita la sua vita vale meno

“Una palpata sotto i 10 secondi non è molestia”, “Era drogata”, “Era in abiti succinti”: sono solo alcune delle frasi che continuiamo ancora a sentire, ma che non possiamo più accettare. Dall’inizio di quest’anno sono stati registrati già 49 femminicidi, veniamo bombardati tutti i giorni da notizie di violenze o molestie di genere, ma ancora non abbiamo imparato a parlarne.
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Beatrice Barra 13 Luglio 2023

"Lei era disinibita, lui innamorato e si sentì usato": è questa la motivazione della sentenza con cui i giudici hanno negato l'ergastolo chiesto dal Pm e dalle parti civili per l'assassino di Carol Maltesi, la ragazza uccisa l'11 gennaio 2022 e poi fatta a pezzi da Davide Fontana, che aveva una relazione con lei e dal quale la ragazza si stava allontanando per trasferirsi a Verona dal figlio di sei anni.

In questo articolo non ci concentreremo tanto sul caso di cronaca, quanto più sulla sentenza. Partiamo da una domanda: come possiamo accettare che una donna non abbia il diritto di vivere come vuole senza mettere in conto di essere uccisa brutalmente, o che questo possa costituire una motivazione giuridica per negare l'ergastolo a chi lo fa?

Secondo i giudici il 44enne non avrebbe agito "né con crudeltà, né con premeditazione".
Il concetto di "crudeltà" nel diritto penale è definito dall'articolo 613 bis: "Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un trauma psichico […] – e poi – trattamento inumano e degradante per la dignità della persona".

Dopo questo chiarimento che lascia aperte molte riflessioni, la domanda che rimane sul tavolo è una. "Essere disinibita", o "lasciare qualcuno che ti ama perdutamente" può davvero rappresentare un'attenuante in fase di giudizio per una persona – riconosciuta dai periti sana di mente – che ha ucciso a martellate una ragazza, per poi nascondere il cadavere in un freezer ordinato su internet e spacciarsi per lei sui social per quasi tre mesi rassicurando amici e parenti di essere in viaggio?

Quello che sembra emergere dalla sentenza è questo: Davide Fontana amava perdutamente Carol Maltesi e quando si rese conto che lei voleva scaricarlo si sentì perduto e, in qualche modo, usato dalla ragazza con cui girava anche video hard. Furono quindi la disperazione dovuta alla consapevolezza di perderla ed essere messo da parte a scatenare l'azione omicida. Movente che, secondo i giudici, non può essere considerato "abietto o futile in senso tecnico-giuridico".

Il focus della questione non è – o, almeno, non dovrebbe essere – la decisione di negare l'ergastolo e optare per i 30 anni di carcere, che spetta ai giudici in base a valutazioni che, a differenza loro, non abbiamo le competenze per poter fare, ma la motivazione della sentenza. In che modo noi che ascoltiamo o leggiamo questa sentenza possiamo accettare che il fatto di "essere disinibita" non sia un movente futile se messo sulla bilancia con la vita di una ragazza di 26 anni?

A tutte le ragazze, bambine, donne che hanno ascoltato questa sentenza vogliamo ricordare che nessun comportamento, nessuna attitudine caratteriale potranno mai giustificare qualcuno che fa loro del male. E che il fatto di essere "disinibite" o semplicemente se stesse non è mai una colpa. Che non sono loro – come non lo erano le 125 donne uccise nel 2022 o le 49 uccise da gennaio a luglio di quest'anno, colpevoli solo di non essere state all'altezza delle aspettative di un uomo – ad essere sbagliate.

Ad esserlo è chi pensa di poter scegliere come una donna dovrebbe essere o vivere, al posto suo. E questo nessuna sentenza può cambiarlo.

Viviamo in una società in cui le violenze o le molestie nei confronti delle donne sono in aumento, ma la sensibilità sociale sul tema sembra regredire. Dopo aver ricordato alle donne di non farsi inibire per volere di qualcuno, chiediamo agli uomini perbene di rompere questa retorica della "minigonna che giustifica lo stupro" che nei casi peggiori diventa una sentenza in cui "essere disinibita diventa un'attenuante". Chiediamo loro di accettare un no senza eccezioni o forzature. Chiediamo ai politici di non rendersi complici e fautori della vittimizzazione secondaria: la vittima che diventa nuovamente vittima nel momento in cui viene messa in discussione o delegittimata una denuncia (per cui già ci vuole coraggio), nel momento in cui ci si appella al suo abbigliamento o alle sostanze di cui ha fatto uso per giustificare chi è stato accusato.

La facoltà di decidere e valutare ogni caso è dei giudici, questo è chiaro. Ma è dovere dei giornalisti trattare la violenza di genere con la serietà che merita, assicurando un'informazione dignitosa e corretta per tutte le vittime, ed è responsabilità di tutti i cittadini educare figli e ragazzi a pesare le azioni, senza dimenticare di dare l'esempio nel ponderare ogni parola che possa rappresentare una seconda, dolorosa, ferita.

Polentona acquisita e curiosa instancabile. Sono a Milano dal 2016 e scrivo per passione da quando ho cinque anni. Amo il altro…