I commenti sotto il post della polizia contro la violenza sulle donne raccontano storie gravissime

L’onda di rabbia che sta attraversando l’Italia dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin è forse più intensa delle precedenti, e rimbalza dalle piazze ai social. E così tutti cercano di aderire al trend. Ma gli oltre 1.600 commenti di donne che subissano di critiche il post della polizia di Stato raccontano storie ben diverse dalle belle parole istituzionali e mettono a nudo una realtà drammatica che ci ostiamo a non voler affrontare.
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Giulia Dallagiovanna 23 Novembre 2023

"Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l'ultima". Sono i versi di una poesia scritta nel 2011 dall'attivista peruviana Cristina Torres Caceres, diventati virali in questi giorni di protesta nelle piazze e sui social contro la violenza sulle donne, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. Un'onda emotiva di rabbia che ha attraversato l'Italia, trovando, forse per la prima volta, anche tantissimi uomini pronti ad aderirvi, denunciando in prima persona i privilegi di cui hanno sempre goduto a causa di una cultura maschilista e patriarcale dalla quale il nostro Paese fatica a liberarsi. E quando una protesta diventa un trend social, tutti sono pronti a scriverci un post. Lo ha fatto anche l'account Instagram ufficiale della polizia di Stato che, a commento delle parole di Caceres, ha aggiunto: "Ricordate, se #questononèamore non siete sole. Insieme per l'eliminazione della violenza di genere". Un invito incoraggiante e rassicurante, ma che è vero solo in teoria. Lo confermano gli oltre 1600 commenti di donne che hanno raccontato la propria esperienza, fotografando una realtà ben più drammatica dove le denunce non vengono a volte nemmeno raccolte.

"‘È riuscito a violentarti?' ‘No' ‘Allora non possiamo fare niente' wow, sì graziee".

"Vi ringrazio per quella volta, tra le tante, in cui vi ho chiamato perché sotto casa una ragazza stava subendo percosse ed è stata trascinata in macchina dal proprio compagno e ovviamente voi non vi siete nemmeno presentati. Ho dovuto urlare dalla finestra invano, perché lui è scappato in macchina".

"Da voi mi è stato detto ‘Signorina è normale litigare'. Non era normale, ed era davanti ai vostri occhi".

"Quella mattina ad Otranto. Quando vi ho detto del viscido che mi aveva seguita e molestata durante il mio cammino lungo la costa, quando vi ho detto in lacrime che ero terrorizzata che potesse capitare ad altre donne, la vostra risposta è stata ‘forse sarebbe meglio non intraprendere certe avventure da sola'. Ma che uomini siete? Che esempio date? Che cosa fate concretamente per la società? Ci deridete come se fosse tutto frutto della nostra fantasia, come se le denunce, fuoriuscendo dalla nostra bocca, non avessero valore".

"Quando ho provato a denunciare sono stata derisa pubblicamente in caserma".

"Quando sono stata accerchiata dalla baby gang nel mio quartiere e io e i miei cani siamo stati minacciati da questi ragazzi che riprendevano tutto e nel frattempo prendevano a calci i bidoni dell’ immondizia e distruggevano la fermata dell’autobus e vi ho chiamato sotto shock mi avete risposto ridendo “'signorina cosa vuole che facciamo?'"

Avanti così, per oltre 1650 volte. Storie simili, di richieste d'aiuto derise e denunce rimaste inascoltate. Episodi gravissimi che raccontano di un Paese capace di schierarsi in favore delle donne solo in teoria, mentre nella pratica non è capace di adottare strumenti efficaci di prevenzione e intervento.

Ieri il Senato ha dato il via libera al ddl contro la violenza di genere, ma senza includere un passaggio sull'educazione sessuale nelle scuole. Almeno per ora. L'intento è completamente sbilanciato sul lato repressivo e punitivo del reato: rendere più semplice l'applicazione del Codice Rosso, estendere le misure cautelari anche per chi risulta colpevole di percosse, atti persecutori, diffusione di contenuti sessualmente espliciti e tutti quei reati che potrebbero rappresentare il preludio di un femminicidio. Ma poi, come la ministra per la Famiglia, Eugenia Maria Roccella, ha ricordato, rimane compito delle madri educare i propri figli a non essere violenti. Le istituzioni possono anche non farsene carico.

Eppure lo scorso l'anno l'Italia era stata condannata dalla Corte Europea per i diritti dell'uomo per la sua inadeguatezza nel tutelare le donne che denunciano violenze domestiche. "Il compito di uno Stato non si esaurisce nella mera adozione di disposizioni di legge -precisa l’avvocata Titti Carrano della Rete nazionale D.i.Re, – ma si estende ad assicurare che la protezione di tali soggetti sia effettiva. L’inerzia delle Autorità nell’applicare la legge vanifica gli strumenti di tutela previsti".

Manca insomma la percezione della realtà culturale in cui siamo immersi, dove la presidente del Consiglio (che preferisce essere indicata come "il presidente"), Giorgia Meloni, è convinta di essere femminista solo perché cresciuta in una famiglia di donne. Dove un giornalista, ed ex compagno della premier, fa battute sessualmente esplicite alle colleghe, mettendole in imbarazzo, ma lo scandalo ricade tutto sulla sua figura e non sul contenuto delle sue frasi. Che in fondo, dai, sono solo giochi innocenti, no? Dove solo pochi mesi fa è esploso il cosiddetto #Metoo delle agenzie di comunicazione, dopo la pubblicazione di scambi di messaggi sessisti in chat create ad hoc. E ritenere che accada solo in quel mondo è, quanto meno, ingenuo.

È tutta questa palude culturale che non riusciamo a bonificare, dove non esiste un confine netto tra la battuta e la frase sessista, tra lo scherzo e la molestia, a creare i presupposti perfetti per una richiesta d'aiuto ignorata. E da qui, alla violenza e al femminicidio il passo è davvero molto breve. E sì, che ci piaccia o no, siamo tutti immersi nello stesso pantano.

Sono Laureata in Lingue e letterature straniere e ho frequentato la Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. Mi occupo principalmente altro…