La notizia era partita da Wuhan, quando ancora in Italia ci sentivamo al sicuro rispetto all'emergenza Coronavirus: il plasma dei pazienti guariti può aiutare chi è ancora ricoverato e sta lottando contro questa infezione. Come pratica non era, in realtà, del tutto nuova alle orecchie degli esperti. Già al tempo dell'epidemia di Ebola, nel 2014, si era infatti ricorsi a questo approccio sperimentale. Sembra però che nei confronti del Covid-19 abbia dato buoni risultati e i medici cinesi, che per primi l'hanno utilizzata, hanno trasmesso tutte le conoscenze apprese all'equipe del dottor Cesare Perotti, Direttore del Servizio Immunotrasfusionale presso Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, che ha avviato la sperimentazione in Lombardia. Ohga gli ha quindi chiesto come funzioni nella pratica questa tecnica e quali risultati si attendano.
Dottor Perotti, cosa significa di preciso il termine "iperimmune"?
Significa che siamo in presenza di una elevata quantità di immunoglobuline specifiche – in questo caso dirette contro il coronavirus – presenti nel plasma dei soggetti che hanno superato la malattia e, conseguentemente, l’infezione.
Questo plasma come può aiutare i pazienti?
Questo plasma, una volta che si è accertata la presenza di una quantità importante di immunoglobuline specifiche, può essere controllato con gli esami previsti dalla legislazione italiana, dopodiché può essere direttamente infuso al paziente.
Come funziona la terapia?
C’è una prima fase preliminare che, ovviamente, è quella della raccolta del plasma che poi viene congelato per il suo mantenimento ottimale e infine lo scongelamento e l’infusione diretta nel paziente.
Quali risultati ha dato fino ad ora?
Se parliamo dell’infezione più recente, quindi quella da covid 19, i colleghi cinesi ci hanno trasmesso la loro esperienza, fatta appunto a Whuan e condotta su più di 1000 pazienti.
Quali aspettative ci sono?
In medicina non bisogna dare messaggi trionfalistici ma razionali. La sperimentazione è appena partita, è ancora presto per parlare anche di risultati. Quando avremo raggiunto il numero di pazienti previsto dal protocollo, allora e solo allora, sapremo fare le dovute considerazioni che verranno condivise con la comunità scientifica.