Qual è l’immagine perfetta della natura? Forse delle dolci colline toscane, ricoperte da campi coltivati e file ordinate di cipressi? Ma siamo sicuri che non sia invece qualcosa di più selvaggio?
Ti sembrerà pazzesco, ma quasi metà dell’intera superficie abitabile del nostro pianeta è dedicata all’agricoltura. Nonostante che per produrre una certa quantità di cibo oggi ci basta solo il 30% del terreno agricolo che avremmo impiegato sessant’anni fa.
La Storia della civiltà umana inizia con la nascita dell’agricoltura, e da quel momento noi esseri umani abbiamo iniziato a trasformare foreste, praterie, zone umide… in campi. Pensa che se tornassimo indietro di 1000 anni troveremmo coltivato solo il 4% delle terre abitabili. Ma nel corso degli ultimi 150, noi umani siamo cresciuti parecchio e grazie alle innovazioni tecnologiche e all’espansione delle terre coltivate siamo stati capaci di produrre tanto cibo da sfamare, potenzialmente, tutti gli 8 miliardi di persone.
Quali effetti collaterali ha, però, tutta questa agricoltura? E davvero possiamo andare avanti così per sempre? Cerchiamo di capirlo.
Hai mai pensato a cosa succede quando passiamo da una foresta a un campo? A parte che rischiamo che un contadino infuriato ci spari pensando stiamo per rubargli le pannocchie.
Il primo cambiamento è il più evidente. Da un ecosistema verde, dinamico, ricco di piante diverse, alcune basse e cespugliose, altre alte come gli alberi, e animali di ogni tipo, funghi, microrganismi, batteri, si passa a una distesa ordinata, lineare e piatta di pochissimi tipi di specie vegetali. Tutto quel complesso sistema di vita che interagisce e produce risorse naturali, e che chiamiamo biodiversità, viene eliminato, perde la sua casa e fa posto invece a una cosa molto più semplice.
Su questo semplice pezzo di terra che ora rimane, dovranno crescere alcuni tipi di prodotto agricolo scelti da noi umani. Pochi, spesso uno solo per area. Questi prodotti dovranno prendere dal terreno le risorse di cui hanno bisogno, in particolare acqua e nutrienti, e le useranno per alimentare la propria biomassa, cioè radici e fusti, e infine le parti che ci interessano, foglie e frutti. Una volta maturi vengono raccolti e portati altrove. Perché questo funzioni serve che nei campi ci siano costantemente proprio quelle risorse: un continuo afflusso d’acqua e un suolo sempre pieno di nutrienti… ma questo è tutt’altro che scontato.
Partiamo dall’acqua: non essendoci più una foresta o un habitat che mantiene l’umidità al suo interno, e non potendo stare lì a fare la danza della pioggia ogni volta che serve annaffiare le colture, l’acqua viene prelevata dai corpi idrici intorno al campo, come i fiumi e i laghi, o dalle falde e le altre fonti d’acqua potabile disponibili nella zona. L’acqua, come sai, non è infinita. Anzi, nel mondo il 70% dell’acqua potabile è usata proprio per l’agricoltura.
Poi, i nutrienti: le piante dal terreno prendono diverse sostanze, le principali sono azoto, fosforo e potassio. In un habitat non coltivato, questi nutrienti si rigenerano autonomamente: dal suolo passano alle piante e agli animali, e quando questi muoiono tornano al suolo tramite l’azione di decomposizione portata avanti da funghi e microorganismi. È un cerchio. Ma in un campo coltivato questo cerchio si spezza. L’agricoltore deve allora aggiungerli esternamente, e lo fa applicando i fertilizzanti. Qui nasce un problema. Tali sostanze, che siano di sintesi o organici, finiscono spesso per sfuggire dal campo lungo i corsi d’acqua circostanti, o si infiltrano nelle falde acquifere sottostanti. Vanno perciò ad arricchire, fino all’eccesso, ambienti che non avrebbero bisogno di loro. L’eccesso di questi nutrienti nell’acqua di laghi e fiumi li rende inadatti per gli organismi che li abitano. Nell’acqua che usiamo noi, invece, creano seri rischi per la nostra salute quando la utilizziamo.
Torniamo al nostro campo coltivato. Avendo tolto la biodiversità che c’era prima, abbiamo anche rimosso tutte quelle interazioni tra insetti, uccelli e piante che mantenevano naturalmente sotto controllo gli attacchi da organismi infestanti. L’agricoltore allora deve ricorrere costantemente ai pesticidi per proteggere i raccolti. La loro sorte assomiglia a quella dei fertilizzanti: i pesticidi sfuggono dal campo e finiscono per inquinare il suolo e l’acqua. Non è mica un’eventualità rara: pensa che in Europa ogni anno si registrano concentrazioni di pesticidi che superano i limiti di sicurezza in più di un quarto dei siti di monitoraggio, e secondo una ricerca condotta in cinque Paesi europei, immagina, almeno due tipologie di pesticidi sono state trovate all’interno dell’organismo dell’84% delle persone coinvolte dallo studio. Inoltre i pesticidi non sono proprio dei cecchini: eliminano sì i parassiti, ma eliminano senza distinzione anche intere popolazioni di insetti, di uccelli e di diverse altre specie.
Succede poi un’altra cosa che potrebbe stupirti. Quando trasformiamo una foresta o una prateria in un campo, l’agricoltura cambia l’aria. Sì, l’aria! E lo fa in diversi modi.
Nel momento in cui abbattiamo la vegetazione e rivoltiamo il terreno per seminare o per fare spazio per gli allevamenti, rilasciamo in atmosfera l’anidride carbonica qui conservata. Non solo, impediamo a quel pezzo di terra di poterne catturare e conservare al sicuro dell’altra! Questo fa sì che quel terreno, che prima era nostro alleato per contrastare il riscaldamento globale, diventa improvvisamente un’altra fonte di emissioni. E non parliamo solo di emissioni di CO2: tutte le sostanze usate nei fertilizzanti, così come anche il metano generato dagli scarti agricoli e degli allevamenti, finiscono in atmosfera sotto forma di gas serra che intrappolano calore. Pensa infatti che il 33% di tutte le emissioni di gas climalteranti a livello globale sono dovute alla produzione del cibo. Da noi in Europa, sono circa il 10% del totale. Considera anche che fertilizzanti, pesticidi, macchine agricole utilizzano per essere prodotti e per funzionare, enormi volumi di combustibili fossili. Questo significa ulteriore emissione di inquinanti atmosferici e di gas serra.
Ma l’aria cambia non solo nel clima. I campi prestati all’allevamento in particolare rilasciano grandi quantità di ammoniaca, un gas pericoloso per la nostra salute sia così com’è, sia una volta che reagisce con altri inquinanti per formare il particolato di materia più fine, il famoso PM2.5 di cui senti spesso parlare. Un tipo di inquinamento dannosissimo per noi esseri umani, che causa, tra i tanti problemi, anche gravi malattie cardiovascolari e tumori alle vie respiratorie. Secondo l’OMS, figurati, circa un quinto di tutte le morti premature che si verificano ogni anno per l’aria che respiriamo è dovuto ai sistemi alimentari. E in Europa, tra le zone più colpite c’è proprio l’Italia Settentrionale.
Insomma, l’agricoltura per come viene fatta oggi, in particolare se parliamo di agricoltura intensiva, ha degli impatti severissimi sugli ecosistemi, dal suolo all’acqua, sulle altre specie, sugli habitat, fino al clima e, come chiara conseguenza, su di noi. E sai qual è la cosa più ironica di tutte? Che a pagarne le conseguenze è l’agricoltura stessa. Possiamo dire che si dà la zappa sui piedi eheh
Perché dico che l’agricoltura ne paga le conseguenze? Be’, riflettiamo su quanto visto finora. Qualsiasi agricoltore sa che le sue coltivazioni hanno bisogno di suoli ricchi di nutrienti, tanta disponibilità d’acqua, condizioni climatiche stabili e protezione da parassiti. Ma gli impatti che l’agricoltura moderna ha sul pianeta, come abbiamo visto finora, contribuiscono in modo importante a rendere i suoli sempre più poveri, le risorse idriche sempre più vuote, il clima sempre più instabile e la biodiversità sempre più ridotta.
In un mondo in cui l’atmosfera si riscalda sempre di più, temperature e precipitazioni vengono scombussolate. Pensa solo alla lunghissima siccità che ha interessato l’Italia in questi anni e che tuttora interessa parte del Mediterraneo. Se manca l’acqua, come sta succedendo in alcune zone della Spagna e dell’Italia anche in questi mesi, le coltivazioni non hanno da bere. Questo sta già colpendo duramente le rese delle coltivazioni di cereali, legumi, frutta e ortaggi. Se le temperature diventano troppo alte, rischiano di essere inadatte per permettere ai prodotti tradizionalmente presenti su un territorio di resistere. Per farti un esempio, sta succedendo da noi con il riso e il vino, che potrebbero non crescere più come hanno sempre fatto. Le alluvioni, che diventano sempre più frequenti soprattutto a seguito di lunghi periodi in cui non piove, rischiano con maggiore probabilità di spazzare via raccolti di interi anni come è successo in Emilia Romagna. E lo stesso vale per gli incendi, che capitano più spesso con il cambiamento del clima mediterraneo: nel 2023 si sono portati via il 20% degli introiti dei contadini greci. Lavorare la terra in un clima “pazzo” diventa più pericoloso, e già in alcuni contesti i contadini sono obbligati a lavorare di notte per sfuggire al caldo troppo estremo. Coltivare la terra può diventare addirittura impossibile: ti ricordi tutto quel gran parlare del cuneo salino nel delta del Po? Con livelli del mare sempre più alti, l’acqua a disposizione per le colture diventa più salata, inadatta perciò a molte produzioni.
La distruzione della biodiversità causata dall’uso dei pesticidi e dalla trasformazione degli habitat in campi ha delle conseguenze preoccupanti. In Europa le popolazioni di insetti impollinatori stanno calando drasticamente e questo minaccia la produttività dei raccolti, mettendo a rischio la sicurezza economica degli agricoltori e il cibo a disposizione per noi tutti. E lo stesso fa un suolo sempre meno ricco di nutrienti e sovrasfruttato, che diventa quindi troppo povero e fragile. I fertilizzanti poi hanno un costo, e più se ne devono mettere più difficile diventa anche reperirli.
Proviamo a sbirciare allora nel futuro: il 2050 sarà un anno in cui in giro per il pianeta avremo 9,8 miliardi di persone che, be’, a una certa vorranno pur mangiare. Mangiare di più, fino al 50% di più secondo alcune stime. E mangiare in modo adeguato, con il giusto apporto di nutrienti. Che si fa, dunque, non coltiveremo più? Sì, e poi che tristi diventano le video ricette dei food creator?
È chiaro che bisogna trovare modi per salvare l’agricoltura, ma in primo luogo dobbiamo salvarla da se stessa. Perché così non può sopravvivere. Questo significa che da qui ai prossimi anni dovremo mettere a terra grandi cambiamenti nei modi in cui produciamo, nel cibo che decidiamo di mangiare e nel modo in cui impariamo a gestirlo. E per quanto riguarda quello che succede nei campi, la sfida è transitare verso approcci che comportino meno emissioni, meno consumo d’acqua, meno uso di fertilizzanti e pesticidi e più spazio da liberare e ridare alla natura, capendo come integrare, invece che distruggere, la biodiversità.
La buona notizia è che ci sono tantissime nuove tecnologie in sviluppo che fanno proprio questo.Per l’acqua, per esempio, nuovi sistemi di irrigazione di precisione consentono di sfruttare al meglio questa risorsa. E così anche approcci originali alla coltivazione che aiutano a mantenere molta più umidità nel suolo. Come per esempio in alcune zone vitivinicole del Veneto, dove si sta testando l’uso della copertura erbosa tra le vigne per limitare l’erosione del suolo.
Vediamo sempre più sensori smart impiegati nei campi. Questi aiutano a capire dove e come inserire fertilizzanti e pesticidi, evitando gli eccessi e le fughe di queste sostanze verso l’esterno. Si stanno sperimentando metodi per integrare nei campi un variegato numero di organismi capaci di prevenire l’attacco da parte di parassiti, con meno impatti ambientali e sulla salute. Scopriamo poi sempre più sistemi per riutilizzare in modo circolare ciò che resta sul campo, cioè prendere quella parte delle coltivazioni non commestibile e convertirla in risorse come carburanti per i macchinari agricoli o concimi, abbattendo via via la dipendenza dai combustibili fossili e quindi eliminando le loro emissioni. E infine troveranno sempre più spazio tante nuove tecniche agricole che mimano le interazioni tra specie di piante, animali e funghi diversi, facendo sì che un campo coltivato possa rigenerare i nutrienti nel suolo invece che estrarli senza sosta, proprio come succedeva prima dell’agricoltura che conosciamo adesso.
In sintesi, la ricerca e la pratica agricola stanno trovando nuove strade per riuscire a produrre di più consumando meno risorse e generando meno impatti sugli ecosistemi. Usare meno e meglio, insomma. Al contempo, non mancano le idee per aiutare l’agricoltura ad adattarsi ai cambiamenti in atto. Da noi in Italia è il caso delle colture costiere, che devono fare i conti con l’innalzamento del livello del mare. Qui per esempio corre in aiuto la creazione di “aree cuscinetto” naturali, tramite per esempio il ripristino delle dune e delle aree umide costiere. Queste funzionerebbero come riserve di acqua dolce e offrirebbero rifugio alla biodiversità. Nuovamente, si va a imitare ciò che succedeva prima dell’approccio umano.
Ovvio, in questo momento di passaggio la difficoltà delle istituzioni sta nel bilanciare da un lato questo nuovo mondo agricolo, fornendo regole, indicazioni e conoscenze per arrivarci, e dall’altro dando supporto agli agricoltori per non lasciare che nessuno venga travolto dal cambiamento. Alla fine di tutto questo, però, ci guadagneremo tutti: un recente studio ha calcolato che i benefici del passaggio a sistemi alimentari veramente sostenibili, capaci cioè di continuare a darci da mangiare adesso e nel futuro senza distruggere le risorse naturali, ammonterebbero a 10 mila miliardi di dollari all’anno. Una vittoria per le comunità agricole, per le persone, per l’intero ecosistema.
Bene, abbiamo scoperto che il vero volto delle terre abitabili di questo pianeta è, almeno per metà, un campo coltivato. Abbiamo capito quali conseguenze insostenibili ha tutto questo. E abbiamo visto che le soluzioni esistono. Dopo questo video mi auguro tu possa seguire con più consapevolezza gli eventi che stanno interessando e interesseranno sempre di più l’attualità qui in Italia e in Europa. L’agricoltura ci riguarda tutte e tutti, inutile girarci intorno, e avvicinarci a lei tramite la conoscenza ci dà potere di fare scelte migliori anche come consumatori. Fammi sapere nei commenti quali domande ti sono venute in mente e troveremo insieme le risposte. Ciao!