Ti è mai capitato di prenotare un volo online e arrivare al punto in cui ti chiedono di spuntare una casellina e spendere qualche euro in più per compensare le tue emissioni?
L’idea è che pagando soltanto un piccolo extra, il tuo viaggio sarà “climate neutral” ossia non inciderà sull’emergenza climatica. Non sono solo le compagnie aeree a prometterti questa cosa, ma anche hotel, shop online, pubblicità delle grandi aziende, i governi, i tuoi artisti preferiti e… perfino le bottiglie d’acqua. Ma com’è possibile che bastano pochissimi euro in più per cancellare magicamente le emissioni del mio volo? In questo video seguiamo il percorso che fanno questi soldi per capirlo.
Immagina un’azienda che fa smartwatch di ultima generazione. Per procurarsi i materiali, dare energia ai macchinari con cui vengono assemblati, imballarli, trasportarli e gestire tutte le operazioni di vendita, genera emissioni di gas serra come la CO2. Come ti ho mostrato nei precedenti contenuti, questa CO2, una volta che entra in atmosfera, resta lì per secoli a intrappolare energia e come conseguenza fa aumentare le temperature medie del pianeta. Cosa potrebbe fare allora l’azienda per limitare l’impatto negativo dei suoi smartwatch sul clima?
Ha due strade. La prima: l’azienda cambia il modo di produrre lo smartwatch per tagliare le fonti di emissioni. Per esempio, sostituisce i materiali usati con alternative che hanno un’impronta carbonica molto più bassa – per i cinturini passa dal cuoio a fibre di origini vegetali. Oppure si assicura che la fabbrica sia alimentata con energia rinnovabile.
La seconda strada: calcola quanti chilogrammi di CO2 sta emettendo per ogni smartwatch e decide di compensarli. Cioè finanzia uno o più progetti che permettono di evitare di immettere in atmosfera quello stesso quantitativo di CO2, oppure che permettono di assorbirlo direttamente. I progetti per fare queste due cose, evitare e assorbire, sono tanti e diversi. Per esempio, l’azienda potrebbe mandare soldi a un progetto di riforestazione in Guatemala per piantare nuovi alberi. Oppure può mandarli a una comunità in Brasile per assicurarsi che un lotto di foresta amazzonica non venga tagliato. O ancora, può finanziare l’installazione di impianti di cottura più efficienti da un punto di vista energetico in un villaggio indiano. Siccome i gas serra, una volta in atmosfera, non hanno confini geografici ma riscaldano l’atmosfera, non è importante in quale posto del mondo avverrà questo risparmio di CO2. L’importante è che per ogni tonnellata di CO2 emessa dall’azienda ci sia 1 tonnellata di CO2 risparmiata altrove. Così l’impatto netto è considerabile nullo. Quando questo avviene si parla di net-zero, ed è alla base del concetto di neutralità climatica.
L’Università di Oxford stimava che nel 2021 più del 90% dell’economia globale rientrava in qualche obiettivo di net-zero. Questo significa in termini concreti che 149 Paesi, 252 città, 929 tra le aziende pubbliche più grandi al mondo hanno già promesso di essere in qualche modo sulla strada della neutralità climatica. Purtroppo però, come un vecchio burattino toscano ci insegna, non tutte le promesse sono valide. E quando si tratta di neutralità climatica, una promessa “valida” è quella che prima di tutto si concentra sulla riduzione delle emissioni, la prima strada che abbiamo visto, e solo dopo, per quella piccola parte di emissioni che proprio non si riescono a tagliare via, la strada della compensazione. Ma se andiamo a vedere i piani net-zero attualmente promossi, scopriamo che molti si basano principalmente proprio sulla seconda strada.
Tu mi chiederai: e be’, allora? Se hai detto che, matematicamente, tagliare le emissioni o compensarle è uguale per il clima, che problema c’è?
Per capirlo dobbiamo seguire quei pochi euro che stavamo per spendere in apertura. Vediamo cosa succede davvero. Abbiamo accettato di spendere 90 centesimi in più con la promessa che la compagnia viaggi li manderà a un progetto per piantare alberi in Uganda. Perché in Uganda? Perché un’operazione del genere costa meno che in Italia o in Europa. Ok, quei 90 centesimi dovranno andare nelle tasche di un contadino che pianterà un albero per noi – ma non ci arrivano subito. La compagnia viaggi li usa invece per comprare crediti di carbonio sul sito dell’azienda A. Un credito di carbonio non è altro che un attestato che certifica che una qualche azione di compensazione è stata fatta. Per ognuno di questi crediti abbiamo una tonnellata di CO2 verrà compensata. A è un’azienda specializzata proprio a fare questo: compra tanti crediti e li rivende a chi è interessato a compensare, come la compagnia viaggi, senza che questa debba andare a piantare alberi direttamente. Da chi li compra A? I crediti che la compagnia viaggi ha pagato coi nostri 90 centesimi, per esempio, arrivano da un’altra azienda, che chiamiamo B, che sviluppa progetti di riforestazione in Africa orientale. B è quella che si interfaccia con le comunità e le iniziative ugandesi e tutti i progetti che segue sono registrati sotto forma di crediti da un’organizzazione non profit, l’organizzazione C. C si occupa di calcolare quanti gas serra vengono risparmiati, nel senso di assorbiti o evitati, da ogni progetto. È quella che in pratica prende in mano il progetto e dice: “Va bene, con questi alberi che state piantando, secondo i nostri standard e secondo il nostro metodo di calcolo, è come se si assorbissero tot tonnellate di CO2”. C e B si affidano al lavoro di un soggetto terzo, D, che ha il compito di andare sul campo a validare e verificare che il progetto in Uganda sia effettivamente quello che ci si aspetta seguendo le metodologie proposte da C. D è quello che assicurerà che, alla fine di tutto questo giro, un contadino locale stia effettivamente piantando l’albero usando quei 90 centesimi che abbiamo aggiunto al prezzo del viaggio.
Evviva, possiamo fare i bagagli a cuor leggero allora…no? Probabilmente hai già notato alcuni aspetti controversi in tutto questo giro.
Partiamo dalla fine: al contadino arrivano, a conti fatti, meno dei 90 centesimi spesi, perché ci sono tanti soggetti coinvolti e ognuno chiede una parte. Con quei soldi che restano, gli stiamo chiedendo di piantare un albero per conto nostro, curarlo, e assicurarsi che non venga spazzato via da nessun evento naturale, umano o atmosferico. Chi ci dice che tra 80 anni quell’albero sia ancora lì a tenere al sicuro la CO2 assorbita?
Risaliamo. D, che si è occupato di controllare che il progetto funzioni veramente, viene scelto da chi sviluppa il progetto. In pratica, è come se una squadra di calcio decidesse a quale arbitro affidare la direzione della prossima partita in casa. Il registro e i metodi con cui i progetti vengono convertiti in crediti seguono poi il metodo dell’organizzazione C, che non segue uno standard prefissato e comune a tutti, e quindi potrebbe essere basato su calcoli inaccurati o su conoscenze scientifiche non aggiornate.
Allarghiamo ancora di più lo sguardo: dopo tutto questo processo, la compagnia viaggi e noi stiamo affermando di non avere emesso CO2… ma tecnicamente lo abbiamo fatto. Solo che adesso abbiamo in mano un certificato che attesta che verrà neutralizzata. Chi ci dice che questo sia valido? Facciamo caso che invece di un progetto che pianta alberi in Uganda si trattasse di un’iniziativa per combattere la deforestazione in Brasile. Il guadagno in termini di CO2 evitata c’è solo se quel lotto stava per essere disboscato e i nostri soldi hanno impedito che succedesse. Ma un consistente corpo di studi e indagini ha rivelato che una parte importante dei crediti acquistati dalle più grandi aziende sovrastimano la minaccia di deforestazione delle iniziative a cui fanno riferimento. Come dire: grazie per i soldi, ma noi comunque non stavamo per tagliare nulla…
E quindi, torniamo a noi: che dici, spuntiamo o non spuntiamo la casellina?
Piantare alberi, proteggere le foreste tropicali, migliorare i sistemi di cottura in giro per il mondo sono iniziative virtuose. Dobbiamo essere contenti che esistano meccanismi per spostare soldi dalle grandi aziende e dai Paesi sviluppati verso progetti di questo tipo. E contribuire noi stessi è in tutta onestà un modo per sentirci parte di questo percorso di transizione verso un mondo ecologicamente migliore. Ma diverso è dire che siccome ci sono questi progetti, allora quelle aziende e quei Paesi sviluppati di cui noi facciamo parte non debbano fare i conti con le proprie responsabilità in termini di emissioni di gas che alterano il clima.
Finché non ci saranno regole più stringenti e standard condivisi, sta a noi provare a capire che tipo di promessa di neutralità climatica abbiamo davanti, quando ne vediamo una. E no, non è per niente facile perché non abbiamo quasi mai informazioni trasparenti per valutarle. Una regola approssimativa potrebbe essere partire dai dati che l’azienda rende pubblici. Ci dice davvero quanti gas serra produce ogni anno? Copre tutte le emissioni legate alla propria filiera? Si è presa impegni veri e concreti per ridurle, prima ancora di compensarle? Le organizzazioni di protezione ambientale spesso giocano un ruolo fondamentale nel monitoraggio di questi percorsi – e a volte cercare studi e report affidabili sulle singole promesse può darci informazioni preziose. Considera anche che nel maggio del 2023 il Parlamento Europeo ha approvato nuove regole per impedire alle aziende di promuovere prodotti come “a zero emissioni” o “CO2-free” se dietro questi claim ci sono solo compensazioni e non veri tagli alle emissioni, quindi con il tempo potremmo vedere un cambiamento. Per ora, ricordati che un logo o una dicitura sull’etichetta, per quanto ammiccante, da soli non valgono nulla. E se tutto si riduce a una semplice casellina e qualche euro in più che ti chiedono di spendere, forse, qualche dubbio è giusto averlo.
Spero di averti aiutato a capire di più cosa significa neutralità climatica e quali rischi si annidano dietro queste due paroline magiche. Comunque puntare al net-zero, quando fatto bene, è fondamentale nella creazione di un mondo in cui noi e le prossime generazioni potremo vivere bene. Manteniamoci quindi positivi e consapevoli su questo.