Coronavirus: tutte quelle “morti sommerse” che sfuggono alle statistiche ufficiali

Stiamo parlando di persone decedute in casa, lontano dagli ospedali, a cui non è stato fatto il tampone. I medici, soprattutto nelle aree più colpite, denunciano una situazione al collasso e talvolta sono costretti a fare scelte drammatiche, come appunto lasciare morire i pazienti più anziani a casa.
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Federico Turrisi 30 Marzo 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

È possibile morire di Covid-19 senza neanche saperlo? Sì purtroppo è possibile. L'emergenza coronavirus si è abbattuta come uno tsunami su intere comunità, come per esempio quella della Val Seriana, nella provincia di Bergamo. Ma la situazione è critica in moltissime aree del nostro paese. Risultato, il sistema sanitario è sotto un'enorme pressione, con reparti di terapia intensiva saturi. Con il numero di nuovi contagiati in aumento, è impossibile garantire l'accesso alle cure a tutti allo stesso modo.

Già una decina di giorni fa Massimo Galli, direttore del reparto di Malattie Infettive dell'ospedale Sacco, in un'intervista al quotidiano la Repubblica aveva espresso un timore: "La gente viene lasciata a domicilio e non vorrei arrivare ad avere morti in casa misconosciuti". Il suo timore era più che legittimo. Ci sono infatti anziani che muoiono di polmonite nelle case di riposo o nelle proprie abitazioni (da soli o in compagnia dei familiari), senza che sia stato possibile anche solo diagnosticare loro la malattia. Ossia senza essere stati sottoposti al tampone, senza sapere se fossero positivi o meno, senza sapere se il coronavirus abbia causato il loro decesso.

Sono i cosiddetti casi sommersi, tutte quelle morti che non appaiono nei dati ufficiali. Questo vuol dire che il bilancio delle vittime è superiore rispetto a quello che ci comunica ogni giorno alle 18 la Protezione Civile. Sono in molti a sostenerlo. In primis i sindaci dei centri più colpiti. In un'intervista al Tpi, Giorgio Gori, primo cittadino di Bergamo, ha affermato che i morti sono quasi tre volte di più rispetto a quelli ufficiali.

Ci sono poi le denunce dei medici di famiglia. "Su 700 medici di base della bergamasca almeno 130 si sono ammalati per il coronavirus, alcuni sono morti, altri sono in terapia intensiva. Ci mancano i dispositivi di protezione adeguati, gli ospedali sono al collasso, più che pieni, quindi tantissime persone restano a casa con polmoniti bilaterali e noi non siamo in grado di visitarle”, sottolinea Paola Pedrini, segretaria della Federazione italiana medici di medicina generale della Lombardia. La stessa dottoressa Pedrini non ha esitato a sollevare un dubbio piuttosto allarmante: che i dati sempre più inattendibili sull'emergenza coronavirus servano a nascondere la responsabilità dei generali nella "Caporetto" della sanità pubblica italiana?

Lo stesso disagio viene lamentato dai medici di famiglia e della continuità assistenziale (ossia le guardie mediche) di un'altra città, Genova, che non è al centro dell'attenzione mediatica come quelle lombarde. Un gruppo di loro ha indirizzato alla Regione Liguria una lettera dove la situazione viene descritta in tutta la sua drammaticità.

"Andiamo tutti i giorni in studio, ci chiudiamo dentro e gestiamo telefonicamente i pazienti che hanno paura, quelli che continuano ad avere i problemi che hanno sempre avuto, quelli che sviluppano i sintomi influenzali tipici del coronavirus", si legge nel documento. "Li teniamo lontani dagli ospedali fino a quando non ci rendiamo conto che non possiamo fare altro e lo facciamo solo usando il nostro bagaglio di conoscenze e l’esperienza maturata sul campo in queste settimane. E a volte dobbiamo scegliere di non farlo e accompagnarli alla morte per telefono, perché in ospedale morirebbero ugualmente, ma da soli".

Purtroppo si è arrivati a scelte dolorosissime. Si preferisce garantire l'assistenza a chi ha più speranze e abbandonare al proprio destino chi invece è anziano e in condizioni già molto gravi. Ma per favore non parliamo di "morti dimenticate". Alla fine è probabile che i conti non torneranno e spetterà agli epidemiologi fare le loro analisi.

Quello che deve essere chiaro è che in casa si muore perché gli ospedali sono sovraccarichi, non si trovano bombole di ossigeno nel raggio di decine di chilometri, gli operatori sanitari sono sommersi di richieste e finiscono per ammalarsi loro stessi e perdere in alcuni casi la vita. Ciò che fa più effetto è forse l'impotenza dei medici che si vedono costretti a fare scelte che non vorrebbero mai fare. Poche storie: a questa emergenza non eravamo affatto preparati.

Fonte | Secolo XIX

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