Coronavirus in Italia: come si preparano gli ospedali nelle altre regioni? Intervista ai medici del Cardarelli di Napoli

L’azienda ospedaliera Cardarelli di Napoli, la più importante sul territorio, si sta preparando all’eventuale diffusione del Coronavirus entro i confini della Campania. I medici della struttura ci raccontano in che modo si sono attrezzati.
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Sara Del Dot 28 Febbraio 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Sebbene i contagi si siano verificati maggiormente nel Nord Italia, la diffusione del Covid-19 è imprevedibile e quindi attesa un po’ ovunque. Anche nelle regioni in cui si sono verificati pochissimi casi, quindi, le strutture sanitarie si stanno attrezzando per riuscire a gestire nel modo migliore possibile un’eventuale emergenza. Per capire meglio in che modo queste realtà si stiano preparando ad accogliere persone sintomatiche in percorsi specifici che impediscano loro di entrare in contatto con altri pazienti e con il minor numero possibile di membri del personale sanitario, abbiamo sentito la dottoressa Fiorella Paladino, direttrice del Pronto Soccorso dell’ospedale Cardarelli di Napoli e il dottor Maurizio De Palma, direttore del dipartimento chirurgico generale e specialistico della stessa azienda ospedaliera.

“Appena abbiamo avuto notizia della possibilità che il virus potesse diffondersi in maniera estesa”, racconta il dottor De Palma, “la nostra direzione generale ha istituito un tavolo permanente per gestire l’eventuale emergenza. La direzione strategica, il direttore sanitario e il direttore amministrativo hanno partecipato a diverse riunioni in Regione per definire le linee condivise da seguire a livello territoriale e in seguito a ciascuno di questi incontri tornavano in Azienda e riunivano il tavolo per fornire informazioni e quindi mettere in atto meccanismi di gestione del fenomeno. La prima preoccupazione è stata quella di creare all’interno del sistema di Pronto Soccorso un percorso specifico e autonomo dedicato agli individui di sospetta positività con l’introduzione di una tenda attrezzata per l’emergenza, così da evitare che il paziente possa entrare in contatto con tutti gli altri presenti al Pronto Soccorso. Tenga conto che normalmente da noi c’è un’affluenza enorme, arriviamo ad avere in osservazione anche 120-150 persone contemporaneamente.”

“Il nostro è un ospedale che non è dotato del dipartimento di malattie infettive”, prosegue la dottoressa Paladino. “Quindi teoricamente se funzionassero alla perfezione tutti i sistemi pre-ospedalieri, sia quelli dell’emergenza sia quelli dei medici di medicina generale, e soprattutto se i cittadini prendessero consapevolezza che devono rivolgersi in prima battuta al loro medico curante, da noi non dovrebbero arrivare. Ma poiché ciò non accade e i pazienti arrivano, come è già successo per alcuni casi sospetti, noi ci siamo organizzati installando delle tende esterne, con un’organizzazione di pre-triage che identifica rapidamente i casi sospetti tramite un questionario prima dell’ingresso del paziente nel circuito ospedaliero, in base ai criteri definiti dal Ministero della Salute. Se i pazienti presentano le caratteristiche per essere considerati sospetti, iniziano allora un percorso completamente separato da quello degli altri pazienti.

Per i casi più critici, ove non ci dovesse essere posto negli ospedali dedicati alle malattie infettive, stiamo approntando dei posti dedicati e sono iniziati anche dei lavori strutturali nel Pronto Soccorso per creare delle postazioni in isolamento.”

“Abbiamo effettuato tutta una serie di modifiche strutturali all’aspetto normale della struttura per prepararci all’accoglimento del paziente potenzialmente infetto, spostando sale e ambulatori al fine di garantire la pubblica sicurezza, prosegue il dottor De Palma. “Essendo una cittadella ospedaliera abbiamo diversi padiglioni che contano oltre 900 letti, quindi c’è un movimento enorme di persone. Trovandoci in una zona in cui c’è il Vesuvio e altre problematiche all’ordine del giorno, abbiamo sempre a disposizione un protocollo dedicato alle grandi emergenze, quindi ad esempio in caso di necessità potremmo chiudere la palazzina dedicata all’intramoenia rendendola subito fruibile per accogliere un’ondata straordinaria di pazienti.”

Ma le modifiche riguardano anche una maggior sensibilizzazione, informazione e consapevolezza non solo per operatori e pazienti, ma anche per familiari e visitatori, come spiega il dott. De Palma.

“All’interno dei reparti abbiamo fatto una verifica delle normali regole di comportamento non tanto del personale sanitario quanto più dei familiari che accompagnano i pazienti, facendo rispettare in modo fiscale gli orari di visita, invitando con alcuni cartelli a evitare l’affollamento nelle sale d’attesa… Infine stiamo cercando di dare un’informazione più completa possibile sulle caratteristiche del fenomeno, sulla sua facile diffusione, la grande virulenza ma anche sul fatto che non rappresenta una patologia gravissima, a eccezione di casi in cui sono già presenti gravi compromissioni cliniche”.

E l’attenzione è alta anche per quanto riguarda i presidi e la formazione del personale. “Se qualche volta magari alcuni presidi sono stati sottovalutati, come ad esempio le mascherine o alcune protezioni per gli operatori”, continua. “Dall’arrivo di questa problematica sono state adottate tutte le precauzioni e in alcuni ambiti è stata promossa una formazione del personale per la gestione delle procedure.” E la dottoressa Paladino sottolinea: Abbiamo a disposizione tutti i presidi di protezione individuale previsti dal Ministero, sia protocolli che procedure per infermieri e personale su come ridurre il numero di operatori che entrano in contatto con il paziente potenzialmente infetto, abbiamo percorsi separati, materiali e tecnologie dedicati… Siamo ben organizzati."

Anche il contatto e la comunicazione con le altre strutture sanitarie sono importanti. “Attraverso i nostri infettivologi” prosegue De Palma, “siamo in costante contatto con l’ospedale Cotugno, dove vanno tutti i pazienti affetti da malattie infettive e che rappresenta il centro di raccolta degli eventuali casi di Coronavirus. Si tratta della struttura in cui fino a pochi giorni fa inviavamo i tamponi per le diagnosi in provincia di Napoli”.

“A mio parere abbiamo dato molto risalto a una malattia che è un’influenza più forte”. Conclude De Palma. “E questo ci ha permesso di essere individuati come un paese a rischio, anche se questo rischio non è poi così esagerato. Ci si può ammalare, certo, però si guarisce. In più, oltre al problema clinico c’è anche un problema sociale ed economico. Perché se si ferma il paese perché abbiamo tutti la febbre, che succede?”

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